Arte

Claudio Parmiggiani

L'arte come iniziazione al silenzio

  • 1 March, 06:23
  • 1 March, 07:56
  • ARTE
  • CULTURA
Claudio Parmiggiani
Di: Valerio Abate

Un artista difficile da collocare, sfugge a gruppi ed etichette, eppure è tra i protagonisti dell’avanguardia artistica internazionale.

Claudio Parmiggiani, nato il 1 marzo 1943 a a Luzzara, espone al Centre Pompidou di Parigi, al Pac di Milano, al Museum Moderner Kunst di Vienna, partecipa a diverse Biennali, invitato inoltre da Jean Clair alla grande mostra Mélancolie del 2006. Tiene mostre personali in tutto il mondo: da Londra a New York, da Berlino a Roma, da Tokyo a Zurigo, da Parigi a Bruxelles...

E nonostante ciò la sua ostinazione gli ha permesso di perdurare in un silenzio di quasi cinquant’anni in un contesto nel quale l’arte – quando non è merce – si dissolve nella comunicazione. Quello di Parmiggiani non è un silenzio rinunciatario, è una presa di posizione, un ethos radicale, è la fermezza di un’assenza che diventa una presenza ammonitrice. È la responsabilità dell’artista che gli impone di vivere l’arte e la poesia come verità, arte e poesia che in quanto tali divengono l’unica forma di esistenza e resistenza.

Ma la sua non è una resistenza ai tempi, bensì alla crisi culturale e valoriale che dilaga da molti decenni a questa parte. Il maestro di Luzzara attinge alla tradizione senza tuttavia farsi travolgere da un atteggiamento nostalgico o reazionario, egli crede in «un’eredità spirituale che non deve essere dissipata.» Contemporaneo è tutto ciò che vive in noi ora. «La mente non sogna in termini temporali, l’arte ancora meno. Beato Angelico, Caspar David Friedrich sono per me artisti contemporanei» (Claudio Parmiggiani in Una fede in niente ma totale, Le Lettere 2010).

La sua prima mostra si tiene nel 1965 a Bologna, durante il periodo del Gruppo ‘63 e dei poeti riuniti intorno a “il verri” di Luciano Anceschi. Parmiggiani sarà loro molto vicino in quell’aria di intesa e collaborazione tra artisti e poeti, e a Milano sarà in stretto contatto con Emilio Villa e Vincenzo Agnetti. Ma la frequentazione che tutti ricordano è quella giovanile nello studio di Giorgio Morandi, e di come Parmiggiani lo ricorda: «nel suo studio si poteva comprendere il significato metafisico della polvere». È da lui che apprende l’arte del silenzio e, al contrario di ciò che generalmente si pensa per la loro differenza di mezzi, non è un’influenza puramente etica, poiché «lo stile... non è una questione di tecnica, è – come il colore per i pittori – una qualità di visione» (Proust). Si allontana radicalmente da Morandi per «un senso di rifiuto all’idea di dipingere un quadro» – si considera un pittore che non fa pittura –, eppure l’etica inevitabilmente si mostra in estetica, egli stesso parla «del silenzio come di una materia» dentro la forma della sua opera.

«Dipingere con il fumo; dentro la tavolozza l’ombra e il tempo». Sono del 1970 le prime Delocazioni, ombre di bottiglie, libri, farfalle e figure assenti sulla parete, contorni tracciati dal fumo di un fuoco violento. Le sagome appaiono in una leggerezza estrema e tuttavia con quale risolutezza: «l’ombra è il sangue della luce, la metafora della fine, il nulla, e il nulla è l’unica stella».

Il fuoco ricorda all’artista il rogo di Giordano Bruno. Pire di libri accarezzati dalle fiamme e schiacciati da una campana di bronzo, immagini che suscitano l’eco del fuoco o la sensazione di toccare le ceneri ormai fredde. Polvere, vetro, fuoco, ombra, pietra, cenere, pigmento, luce, acciaio, sangue: sono le materie che modella oltre alle combinazioni poetiche di oggetti comuni. Insieme a Robert Morris nasce Melencolia II, un’esplosione scultorea dell’omonima incisione di Dürer in una bambusaia. In un’arena di pietra ci fa percorreew labirinti di vetro infranto. E poi c’è il Faro d’Islanda, una luce solitaria eretta a illuminare un deserto freddo e buio.

Nelle sue opere è sempre presente l’imporsi tragico del tempo in un’atmosfera cristallina ma notturna, dove queste immagini non si svelano; noi ci poniamo loro davanti tra il desiderio di afferrarle pienamente e il rischio di annientarle con una spiegazione. Parmiggiani impiega il pensiero sia come genesi dell’opera sia come oggetto o materia della stessa. Sa usare la parola come sa usare il fuoco e la polvere, e il suo unico libro è lì a testimoniarlo. Una fede in niente ma totale, un titolo eloquente, una dedizione materiale che però non gli impedisce di credere che l’arte debba parlare al cuore dell’uomo, e riconoscere che «nell’infanzia del tempo l’arte fu preghiera.»


Cercatori d'ombre

RSI Dossier 12.05.2022, 10:27

La metafisica di Parmiggiani è senza Dio. Eppure il sentimento religioso è pregnante, non pensa «ad un’arte religiosa ma ad una religiosità dell’arte». Attinge a una profonda spiritualità del gesto artistico, nella materia nuda e tragica. «L’arte è in sé un atto spirituale e una pratica religiosa», come per l’amanuense che traccia sempre gli stessi segni sulle stesse pagine con ferrea devozione. Si potrebbe dire che Parmiggiani sia inattuale in senso nietzschiano, col suo anomalo – forse anacronistico – atteggiamento in un’epoca nella quale non sappiamo più pregare, nella quale «come ciechi camminiamo tra le rovine», e dove sentiamo nient’altro che il «bisogno di ricostruire».

Claudio Parmiggiani, la voce dell'immagine

RSI Dossier 13.06.2019, 17:32

  • © Keystone

L’opera di Parmiggiani è costellata di immagini silenziose che egli ha saputo opporre alla paradossale iconoclastia del nostro tempo. E, proprio per il clamore asfissiante delle infinite voci e immagini che ci rincorrono, le sue opere necessitano di quella “pazienza dello sguardo” di cui parla Didi-Huberman. Riuscire, dunque, a prendersi il tempo per guardare delle immagini che nascono «dal silenzio, dall’ombra, dai falò dell’estate... dal bagliore del fulmine... dagli scialli neri di dolore, dal cimitero ebraico di Praga, dai sudari, dalle montagne di occhiali, di scarpe... dalle favole che mi raccontava mia madre, dalle ceneri di mia madre... dalle pagine di Rilke, dalla casa del sordo di Goya, dall’incendio della mia casa, dagli spettri di cenere contro i muri di Hiroshima... dal sogno, dal fango, dal sangue dell’arte, dal nulla.»

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