È una citazione da una lettera di Cuno Amiet (28 marzo 1968) ripresa dall’autore di una recensione del 1894 alla grande mostra alla Kunsthalle di Basilea dedicata al pittore nato a Soletta nel 1868. L’esposizione farà scalpore: Amiet all’epoca infatti può essere considerato una figura all’avanguardia nella pittura moderna svizzera e il suo ritorno un anno prima dal decisivo soggiorno a PontAven, in Bretagna, segna la parte più intensa e sperimentale della sua carriera artistica fino al primo Dopoguerra. Amiet dimostra infatti di aver assimilato la lezione del postimpressionismo francese, dei “fauve” e dell’espressionismo tedesco, sperimentando nuove tecniche e utilizzando il colore come mezzo espressivo e compositivo.
Allievo di Frank Buchser a Hellsau, il pittore solettese, nato il 28 marzo 1868, aveva seguito studi artistici a Monaco e Parigi in compagnia dell’amico Giovanni Giacometti; ma dai mille stimoli della metropoli francese, come dalle proposte dei colleghi tedeschi del gruppo “Die Brücke”, Amiet fugge, preferendo la provincia e un contesto rurale e agreste: dapprima la campagna bretone, dove può attuare la ricerca di un’arte in armonia con la natura genuina e autentica espressione della gioia di vivere, e dal 1898 a Oschwand, piccolo villaggio dell’Alta argovia bernese, che diventa il centro della sua esistenza fino alla morte nel 1961. Residenza, atelier, galleria personale, ma anche giardino e frutteto, tanto da diventare il personale paradiso terrestre di Amiet che vi ospiterà amici, collezionisti e allievi.