Letteratura

Figli della mezzanotte

Salman Rushdie e la sfida dell’immaginazione

  • 19 giugno 2022, 00:00
  • 14 settembre 2023, 09:19
Salman Rushdie

Salman Rushdie

  • Keystone
Di: Marco Alloni

Ci sono libri che lasciano segni indelebili anche dopo anni dalla loro prima lettura. Sono i cosiddetti libri “formativi” o “fondativi”, verso i quali il debito non è mai estinto.

Uno di questi è l’indimenticabile I figli della mezzanotte di Salman Rushdie, probabilmente il più “rushdiano” dei suoi romanzi, oltre a essere il primo, e il più mirabilmente debordante, anarchico, barocco e appassionato.

Certo, parlare di Rushdie (nato il 19 giugno 1947) senza ricordare I versi satanici è diventato quasi impossibile. Ma se quel romanzo tanto inviso ai mullah – così controverso, così spregiudicatamente provocatorio, così deliberatamente laico da sfiorare la blasfemia – ha rischiato di mettere un po’ in ombra le altre sue opere, la sua tragica fama ha tuttavia dato l’abbrivio anche alla conoscenza di romanzi meno celebrati.

I figli di mezzanotte – insieme a L’ultimo sospiro del moro, ultimo mirabile capolavoro – è una di queste, una delle perle irrinunciabili che Rushdie ha consegnato alla contemporaneità per riflettere sull’India, sulla natura umana e sul valore euristico del divertimento. Romanzo fluviale (oltre 500 fittissime pagine), costellato di una miriade di personaggi indimenticabili, I figli della mezzanotte racconta la lunga epopea di un ragazzino indiano nato esattamente allo scoccare della mezzanotte del 15 agosto del 1947. Una data cruciale non solo per lui ma per l’intero paese che gli ha dato i natali: poiché proprio il 15 agosto del 1947 l’India raggiunge l’Indipendenza.

Questa apparente coincidenza è in realtà una delle cifre costitutive dell’opera di Rushdie, e lo scrittore anglo-indiano la valorizza fino alle estreme conseguenze, facendo interagire le storie con la Storia nei modi più scanzonati, burleschi e rivelatori.

Abbiamo detto del valore euristico del divertimento. La cointeressenza, l’intreccio costante tra Storia e storie è in effetti uno degli espedienti narrativi più importanti nell’opera di Rushdie. Attraverso lo stratagemma narrativo di calare i grandi personaggi della Storia nelle vicende dei personaggi immaginari delle sue storie, Rushdie li riporta infatti a un livello di malleabilità tale da farne oggetti di una continua e motteggiante umanizzazione. In questo modo noi, sorridendo o ridendo, ovvero divertendoci, accediamo quasi per miracolo a una forma di conoscenza della Storia e del Potere che nessuna trattazione seriosa potrebbe raggiungere con altrettanta forza. Ed è questo uno dei pregi di Figli della mezzanotte: riconsegnarci attraverso il riso e il gusto del grottesco alla grande Storia senza esserne vittime.

Il protagonista di Figli della mezzanotte è un ragazzino, tale Saleem Sinai, dotato di poteri soprannaturali. Ma come nessun altro dei “mille e uno bambini” nati nell’ora fatidica dell’Indipendenza dell’India, ha un talento senza pari: poter entrare nella mente delle persone. Proprio tale talento gli darà agio di attraversare tutte le vicende, private e ufficiali, della sua rocambolesca esistenza come una sorta di cartina di tornasole degli umori sommersi del paese. Così scopriamo, insieme all’India – che molti autori occidentali, a partire da Tabucchi e Malraux, hanno dichiarato inconoscibile e irrappresentabile – molti aspetti della natura umana proprio grazie a quel magistrale tramite narrativo che è la giocosità.

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In questo risiede probabilmente il carattere unico dell’opera di Rushdie: novello Racine, novello Cervantes, compagno di strada di autori come Gabriel Garcia Marquez e Saul Bellow, il controverso autore dei Versi satanici ha inteso meglio di altri che lo strumento più efficace per rappresentare l’umano è la caricatura, ovvero la sfida all’ordine costituito e al rigore autoritario del conformismo attraverso quel gioco del ribaltamento che travolge la presunzione di verità in un continuo carnevale che la mette in discussione. Che è in fondo il mandato di qualsiasi grande romanziere: mettere letteralmente in crisi tutto il contestabile affinché sui dogmi e sugli autoritarismi, di qualsiasi natura essi siano, trionfi infine il disincanto della perpetua ricerca e del gioco con la vita.

Cadono così, nei Figli della mezzanotte, tutti gli idoli su cui si fonda la presunzione umana: da quelli del Potere a quelli della Religione, da quelli della Razionalità a quelli della Legge. Fino al punto di farci scoprire che la verità più interessante è infine la più comica, non essercene sostanzialmente alcuna al di là della sua eterna ricerca.

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