Arte e Spettacoli

Werner Bischof

L’intensità della fotografia

  • 20.02.2023, 10:30
  • 31.08.2023, 11:59
Werner Bischof

Werner Bischof

Di: Francesca Cogoni 

“Solo il lavoro fatto in profondità, con un impegno e un coinvolgimento totali, può davvero aver valore”. Una dichiarazione che rivela un approccio, un modo di lavorare ma anche di agire e vivere. Appartiene a un fotografo che, nel corso della sua purtroppo breve ma intensa carriera, ha osservato e documentato il mondo con instancabile curiosità e misurato rigore. Un uomo che preferiva considerarsi artista anziché reporter, ma che è finito col diventare uno dei più talentuosi e apprezzati fotoreporter del Novecento, nonché uno dei grandi protagonisti della Magnum Photos: Werner Bischof.

Werner Bischof, Essicazione del grano, Castel di Sangro, Italia, 1946.

Werner Bischof, Essicazione del grano, Castel di Sangro, Italia, 1946

  • © Werner Bischof Estate - Magnum Photos

“Bischof per curiosità professionale sperimentava tutte le possibilità offerte dalla macchina fotografica, così nella sua opera si trovano studi naturalistici accanto a istantanee, sperimentazione accanto a reportage. La diversità testimonia di una tensione che si gioca tra lo studio e il teatro degli avvenimenti” ha scritto Hugo Loetscher (Werner Bischof, Federico Motta Editore, 1990). Difatti, quello del grande fotografo svizzero è stato un percorso multiforme, per certi versi complesso e inquieto, fitto di esplorazioni, indagini e riflessioni, che Bischof riportava costantemente nelle sue lettere e nei suoi diari.

Ancora oggi possiamo scoprire aspetti inediti e poco noti di questo importante fotografo, come rivela l’interessante mostra in corso fino al 2 luglio al MASI Lugano: “Werner Bischof. Unseen Colour”. Un progetto espositivo che, attraverso un’ampia selezione di immagini a colori, porta l’attenzione su un lato meno conosciuto del lavoro di Bischof, ovvero il sapiente ricorso al colore, testimoniando quanto egli fosse non solo un maestro del bianco e nero, ma anche un abile sperimentatore delle qualità espressive del colore.

Werner Bischof, Modella con rosa, Zurigo, Svizzera, 1939

Werner Bischof, Modella con rosa, Zurigo, Svizzera, 1939

  • © Werner Bischof Estate - Magnum Photos

Nato a Zurigo il 26 aprile 1916, Werner Bischof si avvicina alla fotografia all’inizio degli anni Trenta. Alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, alla quale si iscrive nel 1932, frequenta il corso di fotografia appena lanciato da Hans Finsler, esponente della corrente Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività). Influenzato dai principi di questa tendenza artistica, Bischof comincia a ritrarre piante, conchiglie e altri elementi del mondo naturale con notevole accuratezza formale e una particolare attenzione per la resa dei dettagli. “È stato un puro caso che la mia compagna sia diventata la macchina fotografica e non il pennello. Fin da bambino amavo la pittura, ma nella Scuola di Arti e Mestieri non c’era posto nella classe di arte grafica, così provai a frequentare la sezione di fotografia. La macchina fotografica mi affascinò con le sue infinite possibilità. Passeggiare in lungo e in largo nei boschi mi faceva dimenticare la gente. Gli animali, le piante, le meraviglie della natura, questo era il mio mondo”.

Werner Bischof, Studio, Zurigo, Svizzera, 1943

Werner Bischof, Studio, Zurigo, Svizzera, 1943

  • © Werner Bischof Estate - Magnum Photos

Nel 1936, dopo il diploma e il servizio militare, Bischof apre il proprio studio di fotografia e grafica a Zurigo e comincia a ricevere le sue prime commissioni nel campo della pubblicità e della moda. Nel frattempo, lo spettro della guerra incombe sull’Europa. Il fotografo si sente come in una torre dorata nella sua terra natia, ma il clima là fuori è insopportabile. Nel 1940 scrive: “Perché sempre la stessa, triste condizione, accompagnata da tutti gli orrori, distruttrice di ogni bellezza ‒ la guerra”.

È grazie alla natura e alla fotografia che Bischof riesce ad affrontare dubbi e inquietudini. Solitario, si immerge completamente nella ricerca di nuove possibilità tecniche e visive, affina le proprie capacità, studia in modo approfondito la luce e la composizione. Con costanza e precisione, sviluppa un linguaggio fotografico rigoroso e affascinante. Nel 1942, le sue immagini finiscono sulla rivista culturale Du diretta da Arnold Kübler. Bischof ne diviene collaboratore fisso per alcuni anni ed è grazie a tale incarico che avviene la sua evoluzione professionale da fotografo still-life a fotoreporter. Tra il ’44 e il ’45, infatti, Bischof realizza i suoi primi reportage dedicati agli invalidi e ai profughi in Svizzera. Sono immagini dure e toccanti, che hanno una vasta risonanza. Verso la fine della Seconda guerra mondiale, il fotografo si sente pronto a lasciare la sua “comfort zone”: il mondo pacifico e protetto fotografato finora è rimpiazzato dalla devastazione e dalla ricostruzione post-bellica. Si reca in Francia, Lussemburgo, Olanda e Germania. “I crateri delle bombe pieni d’acqua, questi piccoli stagni disseminati in tutta Europa, tutto, tutto è macerie. […] Per me che non mi ero mai potuto fare un quadro esatto della realtà, poiché mancava un rapporto diretto, questa era un’esperienza sconvolgente”. Scosso ma deciso a conoscere il “vero volto del mondo”, Bischof attraversa in lungo e in largo il continente testimoniando le macerie, la miseria, il caos, la condizione dei bambini, e fornendo un ritratto del dopoguerra autentico e profondo. Viaggia anche in Italia, dove nel 1947 incontra un’amabile ragazza zurighese, Rösli (Rosellina) Mandel, figlia di un esule ungherese molto attivo nel movimento operaio svizzero, che diventerà ben presto sua moglie.

Werner Bischof, Il Reichstag, Berlino, Germania, 1946

Werner Bischof, Il Reichstag, Berlino, Germania, 1946

  • © Werner Bischof Estate - Magnum Photos

Alla fine degli anni Quaranta, mosso da una nuova consapevolezza del suo ruolo di fotografo, Bischof sviluppa un’insofferenza verso l’uso troppo sensazionalistico, commerciale e manipolato dei suoi scatti. Desideroso di una maggiore indipendenza e libertà di movimento e di espressione, nel 1949 decide di aderire come socio alla nota agenzia Magnum Photos. “La cosa più importante, secondo me, è che sono tutte persone affidabili e di tendenze socialiste. Due di loro hanno partecipato alla guerra civile spagnola. È gente troppo libera per legarsi a un giornale” scrive in una lettera a Rosellina.

Werner Bischof fotografato da Ernst Haas, Parigi, 1950.jpg

Werner Bischof fotografato da Ernst Haas, Parigi, 1950

Con un bellissimo reportage sull’Europa orientale, quindi, Bischof si congeda dalla rivista Du e inizia il suo cammino come fotografo indipendente, spostandosi per lunghi viaggi da una parte all’altra del mondo e pianificando con estremo impegno e cura ogni reportage. Tra il 1951 e il 1952 si reca in India, Corea, Giappone, realizzando numerosi servizi per la prestigiosa rivista statunitense Life. Dall’India, dove documenta la terribile carestia nella regione del Bihar, scrive: “Per la prima volta ho potuto fotografare senza inibizioni, senza meditare sulla composizione”. I suoi scatti appaiono esteticamente impeccabili e al tempo stesso spontanei, spesso dolorosi ma anche colmi di bellezza. Bischof, infatti, vuole mostrare dei territori visitati non solo la sofferenza e le brutture, ma anche i lati positivi, le piccole e belle storie quotidiane. “In questo momento non vedo giustificazione alcuna al mio viaggio a meno di non essere completamente impegnato sul presente e sui problemi del nostro tempo. D’accordo, ma perché non fotografare in modo bello una storia umana positiva? Che cosa spinge tutti i redattori del mondo a cercare immagini drammatiche e di forte presa emotiva?” scrive ancora dall’India. E così, oltre alla gente esanime tra le strade di Patna, Bischof cerca di indirizzare il suo obiettivo anche verso ciò che di bello lo circonda, come i danzatori della scuola di danza Kathakali in un villaggio dell’India meridionale.

Ma sono le persone, l’atmosfera e le tradizioni culturali del Giappone ad affascinare Bischof più di tutto: “Ciò che ho visto negli ultimi giorni è così complesso che potrebbe riempire un libro. Da un’incantevole padiglione d’argento a laghi e immaginarie cascate di muschio, […] casette del tè in paesaggi magici e bacili di pietra per lavare le mani… migliaia di prodigi”. E il libro effettivamente sarà pubblicato: nel 1954 viene dato alle stampe uno splendido volume che racchiude tutta l’armonia, la purezza e la spiritualità colte da Bishof in terra nipponica.

Werner Bischof, Orchidee (studio), Zurigo, Svizzera, 1943

Werner Bischof, Orchidee (studio), Zurigo, Svizzera, 1943

  • © Werner Bischof Estate - Magnum Photos

Nonostante i numerosi incarichi, però, il fotografo continua a non ritenersi pienamente soddisfatto del modo in cui vengono sfruttate le sue immagini ed è oltremodo deluso dall’atteggiamento della stampa internazionale. Del reportage per Life realizzato in Corea, dichiara: “È duro fotografare in un campo di prigionia, restare umani e poi vedersi eliminare dalla censura le foto migliori. Qualche volta mi domando se ora io non sia diventato un ‘reporter’, una parola che odio profondamente”.

Dopo l’Estremo Oriente è la volta del Messico e del Sud America. Nel 1953, Bischof informa Robert Capa del suo desiderio di partire per il Sud America, di andare “lontano il più possibile dalla civiltà, dentro la natura”. Imbarcatosi a Le Havre, raggiunge New York, dove ritrova fiducia nel mezzo fotografico ‒ “Rimango sempre stupito ogni volta che entro nel Museum of Modern Art di New York e vedo che la fotografia è l’unica forma espressiva vera e legata all’uomo” ‒ e accetta diversi incarichi per poter finanziare il suo agognato viaggio sudamericano. Ma è proprio nell’America meridionale, precisamente nelle Ande peruviane ‒ tra “montagne, giungla e genti sconosciute” ‒ che il fotografo trova la morte il 16 maggio 1954, a soli 38 anni. L’automobile su cui sta viaggiando insieme a un geologo e un autista peruviano precipita fatalmente in un burrone. Pochi giorni dopo, la moglie dà alla luce il loro secondo figlio, esattamente nello stesso giorno in cui Robert Capa muore calpestando una mina in Indocina.

Werner Bischof, Trummerfrauen (donne delle macerie), Berlino, Germania, 1946

Werner Bischof, Trummerfrauen (donne delle macerie), Berlino, Germania, 1946

  • © Werner Bischof Estate - Magnum Photos

“L’artista è un uomo che ha ricevuto dalla natura una grande energia vitale e che trasmette le impressioni più profonde suscitate in lui dall’ambiente. A tal fine gli serve l’esercizio delle sue capacità creative, lo studio dei diversi mezzi espressivi e, in particolare, una volontà non comune che gli consente di superare ogni dubbio: la strada è dura e pochi hanno fortuna” annotava il fotografo nel suo diario nel 1943. Ebbene, se guardiamo all’opera che ci ha lasciato e all’esemplare percorso intrapreso, Werner Bischof è stato senz’altro un grandissimo artista.

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