Letteratura

“L’épouse” nella Gaza del 1974

Anne-Sophie Subilia ci racconta come nasce un romanzo

  • 14.11.2023, 16:10
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Anne-Sophie Subilia

  • © BAK / Julien Chavaillaz
Di: Valentina Grignoli 

“Gaza, gennaio 1974”. L’intimità di un diario, la vicinanza privilegiata di una lettera. Così si apre L’Épouse, il quarto romanzo dell’autrice svizzero belga Anne-Sophie Subilia, vincitrice dei Premi svizzeri di letteratura 2023. Il libro, edito da Zoé nel 2022, è uscito anche per Capelli editore lo scorso ottobre con la bella traduzione di Carlotta Bernardoni-Jaquinta La moglie.

È un racconto intimo e staccato al contempo, al quale abbiamo e non abbiamo accesso, quello di Piper, moglie di un delegato ginevrino della Croce Rossa in stanza a Gaza nel 1974, l’anno seguente la guerra del Kippur. Un luogo che oggi assume un’importanza particolare, che è impossibile nominare senza avere di fronte agli occhi immagini devastanti, ma che in questo romanzo è cornice necessaria, già carico di quelle tensioni oggi esplose in maniera così violenta. In nome della letteratura è qui necessario fare uno sforzo e tornare a altri giorni.

Piper è la sposa, la moglie di, la donna, raramente viene nominata con il nome proprio, e infatti la sua è anche una storia di perdita e poi ricerca d’identità. È un personaggio secondario, in un ambiente di tensioni e aiuto umanitario, dove è suo malgrado immersa, e questo fa la forza del romanzo. Abbiamo il privilegio, con lei, di guardare un mondo attarverso uno sguardo laterale, trasversale, fatto di pause e riflessioni, uno sguardo più fresco e forse più ingenuo, rispetto a quello del marito in missione, ma per questo motivo forse più consapevole del mondo che la circonda.

La vita di Piper è scandita tra lunghe attese del suo sposo Victor, di ritorno da missioni volte a verificare lo stato dei prigionieri palestinesi e delle strutture che li ospitano, lunghe sieste nel patio, letture di romanzi che si fa spedire, qualche traduzione, passeggiate solitarie in spiaggia, aperitivi con il marito al tramonto in veranda, serate cinema al Club per espatriati, incontri con gli abitanti di Gaza, viaggi nei Territori. Sullo sfondo sempre l’enorme contrasto, che lei fatica ad accettare, tra la sua vita di privilegiata e la realtà nella quale sono immersi. E la consapevolezza di non avere un ruolo, se non quello di sposa di, nella missione che stanno vivendo.

Ho avuto il piacere di incontrare Anne-Sophie Subilia, per parlare del suo romanzo.

13:40

Intervista a Anne-Sophie Subilia

RSI Cultura 10.11.2023, 10:20

  • Michel Juvet (Chiasso/Letteraria)

Un titolo affascinante, L’Épouse, così come l’ambientazione. Una sospensione dalla realtà attuale, ma al contempo uno sguardo critico su aspetti oggi più concreti che mai .Come è nata in lei la figura di questa donna?

Credo sia nata in maniera progressiva. C’è una scena, all’inizio del romanzo, ed è veramente come ho incontrato io Piper. È sorta così, dalla sabbia, ha sceso le scale della sua casa a Gaza e io l’ho scorta. Ho avuto bisogno di tempo per avvicinarmi a questa donna che senza sosta continua a sfuggirmi, ancora oggi. Mi piace dire che non la conosco completamente, per me è più realistico restare in una scrittura che dipinge a pennellate sparse, a volte appuntite, una persona, piuttosto che pretendere di conoscerla completamente. Ci sono alcune scene in cui la vedo a distanza, non le sto vicina, e altre dove ho accesso a qualcosa di lei.

Credo che, nel cuore della sua esperienza, quello che ci racconta è il suo crescente abituarsi a un luogo nuovo, di cui deve ancora prendere le misure. E questo non accade immediatamente, soprattutto se culturalmente così lontano da noi. Una sfida, una vertigine, legata a questo spazio e soprattutto al tempo che Piper ha a disposizione. Nessuno si attende nulla da lei, se non una forma di autorappresentazione. Lei è la moglie di, tra gli espatriati, non le si chiede nient’altro.

Sullo sfondo una Palestina occupata. Ma la storia che leggiamo è anche un’altra.

Leggiamo una sorta di incontro con la realtà. Questa donna ha molta energia che potrebbe dare agli altri, ma si ritrova di fronte al vuoto, non può fare molto. Attraverso di lei scopriamo il contesto. C’è questo scarto continuo tra le sue libertà, anche grandi, e le grosse problematiche che incontra la popolazione di Gaza. I blackout ricorrenti, l’impossibilità di uscire facilmente, le rappresaglie, e una presenza militare permanente. Lei si fa osservatrice di questo, che a volte la tocca altre no. Se vogliamo, quello che osserva ha una grande risonanza in lei proprio grazie alla sua passività. Gli episodi ai quali assiste hanno il tempo di prolungarsi in lei, di rivivere nella sua solitudine, se fosse costantemente in azione dovrebbe riprendersi continuamente. È come se ci fosse la cassa di risonanza di uno strumento in lei, che risuona a lungo. C’è qualcosa di doloroso che interviene. Avevo però anche voglia di mostrare che essere nell’ombra, un personaggio secondario, può avere molta influenza alla fine sugli altri, su quelli che sono in azione, alla luce. Lei cercherà di influenzare suo marito, e ci riuscirà, aiutando gli altri.

14:43

“La moglie”

Alphaville 23.10.2023, 11:05

  • editionszoe.ch
  • Lina Simoneschi

Parliamo della lingua e dello stile di questo libro. Una lingua che sembra risalire all’epoca in cui la storia è ambientata e uno stile che vacilla sempre tra vicinanza e lontanantza. Il punto di vista e la focalizzazione sono esterne, sembra di assistere all’evolzione intima di Piper, ma da lontano. Poi a volte, improvvisamente, ci si avvicina in zoom. Ci sentiamo sempre al limite di qualcosa.

La sfida, o il piacere!, era quello di cambiare continuamente focalizzazione. A volte sentirmi davvero dietro la macchina da presa, come un individuo che osserva, ma che non è sicuro di quello che scorge o che legge come segni, espressioni. Mi sono spesso immaginata con questa videocamera sulle spalle nel cercare di scrivere la scena o la sequenza che si sviluppavano sotto i miei occhi. Non ho necessariamente sempre avuto accesso al pensiero. Stare lì, in qualcosa di fisico, che parli del linguaggio del corpo, quello che appare insomma. Questo mi ha portato anche a differenziare le mie interpretazioni. È stato chiaro progressivamente che questa era una scrittura di avvicinamento, dove uso spesso parole come “probabilmente” “o “forse”, perché non ho sempre le chiavi per accedere.

Lei ha costruito il romanzo anche partendo da materiale d’archivio, a volte abbiamo davvero l’impressione di essere in un album di fotografie color sepia. Queste sono le fotografie dei suoi genitori, che davvero hanno vissuto quell’anno a Gaza… anche se i personaggi se ne distanziano.

Sì, ho avuto la possibilità di avere gli album di famiglia. C’erano foto di ogni sorta, ogni scena e situazione. Ma non avevo molti commenti insieme alle foto, a meno che ponessi loro determinate domande, non avevo informazioni. Ci sono più foto che io ho guardato senza sapere nulla, forse solo dove accadeva l’azione. A partire da lì ho deciso di auscultarle, esaminarle, entrarci. Provare a capire cosa sucitavano come scrittura.

Per concludere, uno degli incontri più importanti nel romanzo è quello tra Piper e il giadiniere Hadge, che ha il compito di far nascere un giardino accanto alla casa, dalla sabbia. Che ruolo avrà questo magnifico giardino e l’incontro tra persone così differenti?

Il giardino per me è centrale, sin dalle prime pagine del libro. Esiste e fiorisce grazie alla cura di Hadge. Dietro il giardino c’è l’intelligenza sensibile e il lavoro di un anziano agricoltore palestinese: se dovessi scegliere un eroe sarebbe proprio lui. Senza Hadge il giardino sarebbe restato una distesa di sabbia. Per me non è la metafora di qualcosa d’altro, della resilienza per esempio del popolo palestinese. È qualcosa che può accadere davvero, nella vita, che qualcuno si prenda cura di un terreno incolto che lo trasformi attraverso la cura. Anche io contemporaneamente ero rapita dal piacere di far fiorire lo spazio virtuale della pagina e di sentire il giardino trasformarsi lungo la stesura del testo. La cosa più importante per me però è che il giardino non sarebbe stato quello che è se non ci fosse stato l’incontro così importante tra Piper e Hadge. È il riflesso del loro incontro, del benessere naturale tra la donna e l’agricoltore. Qualcosa che è di un altro ordine, più spirituale.

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