Letteratura

“L’immoralista” di André Gide

Guardare al passato, ai margini, alla primordialità per riscoprire la nostra più autentica natura

  • 27 aprile, 13:26
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Di: Marco Alloni  

Il tema della ribellione alla norma, alle convenzioni – per esteso, al vivere civile – è caro da sempre e in particolare ai giovani e al loro vivido afflato ribelle, alla loro ansia di palingenesi e svolta. Ma in verità è anche il sostrato che sottende tutti quei processi di scopertà del sé che potremmo far rientrare sotto il titolo di formazione identitaria e di cui la grande letteratura è sempre stata alveo di accoglienza.

Tema complesso, quello della ribellione. Tema che nella sua problematicità più elementare può essere riportato alla grande questione del dissidio tra Natura e Cultura e, sul piano ancor più dirimente della formazione dell’Io, all’altrettanto cruciale questione del dissidio tra Io conforme e obbediente e Io inconforme e disobbediente, ovvero tra adesione dell’Io alle regole sociali e morali di una società rassicurante ma vincolante, coercitiva, e ribellione, anarchica e libertaria, a quella stessa società in nome e in vista di una scoperta radicale di sé.

Questi temi sono materia di indagine e scandaglio nello straordinario romanzo di André Gide L’immoralista. Un racconto che potrebbe essere considerato antesignano di tutta la letteratura del dissenso e dell’emancipazione, del rifiuto e della protesta, che si è poi dispiegata nel corso del Novecento.

La storia, non troppo lunga, prende le mosse da un viaggio di nozze in Tunisia del professore parigino Michel, che in quella terra si ammala di tubercolosi avviandosi a una lunga e penosa convalescenza. Lo accompagna la giovane sposa Marceline, per la quale Michel prova sulle prive un sentimento tiepido, ma a cui via via consacra una dedizione sempre maggiore. I due compiono un lungo periplo dall’Africa settentrionale al nord dell’Europa per poi rientrare, attraverso il Meridione d’Italia, di nuovo in Nordafrica.

Durante questo itinerario accadono due fatti decisivi, uno intimamente legato all’altro: mentre Michel comincia a guarire, ritrovando vivissimo il desiderio di vita, Marceline si ammala a sua volta, e mentre Michel riscopre le pulsioni che più autenticamente gli corrispondono, una segreta metamorfosi comincia a impadronirsi di lui.

Siamo nel cardine dell’azione, nel cuore del romanzo: Michel si rende conto, attraverso quel fenomenale strumento euristico e introspettivo che è la malattia, che ciò che egli fondamentalmente brama è incontrare il suo essere autentico, la sua più vera natura, il suo Io più puro e recondito. E progressivamente comincia ad alternare la sua presenza accanto alla moglie a sortite sempre più durature, appassionate, tra i giovani e i lavoratori delle contrade in cui si trova di volta in volta a vivere.

Giovani, ragazzi, lavoratori: anticipando di mezzo secolo Pasolini, Gide spiana in effetti con il suo L’immoralista la strada maestra a quella che può essere definita la letteratura dell’istinto. E seppur meno esplicitamente di Pasolini o Genette, seppure precedendoli di qualche decennio, suggerisce anche quel che all’epoca doveva apparire quanto meno impensabile: che anche l’omosessualità è un dato di natura, che anche in essa è annidata l’autenticità dell’Io.

Michel gode infatti, soprattutto, della compagnia, tanto più coinvolgente quanto più selvaggia, dei ragazzi, dei giovani. E con tanto maggior trasporto quanto più essi – come nel Pasolini delle borgate e nel maturo Pasolini terzomondista – provengono da realtà arretrate, primarie e popolari. Gode nel riconoscere in essi dapprima, e in sé di riporto, sempre più intensamente, una naturalezza e spontaneità che la civiltà moderna borghese occidentale gli ha da sempre precluso.

Aderisce così a questa passione per l’immediatezza del vivere al punto da rinascere a sé come una sorta di araba fenice.

Una rinascita che procede dapprima dalla malattia – che in chiave simbolico-fisica sembrerebbe incarnare il male europeo per antonomasia: essersi inesorabilmente allontanata l’Europa dalla purezza dei propri istinti per consegnarsi troppo a fondo alla civiltà delle convenzioni e delle macchine – ma poi, in un secondo momento, la rinascita è ancora più radicale: si esprime nella scoperta che al di là della malattia, quando ormai la guarigione è cosa fatta, l’unico spazio di mondo che continua a palpitare è il suo margine meridionale, la sua porzione primitiva. Allora Michel, indirettamente, diventa ribelle non solo di un mondo ma di una cultura: quella progressista. E nella regressione agli istinti, alle passioni primeve, all’adesione assoluta alla corporalità del vissuto, si fa testimone della crisi dell’Occidente.

Ed è questo aspetto, questo livello critico fondamentale, che tanto ci si ritrova a rimpiangere leggendo libri come L’immoralista: sapere che la letteratura, fino a tempi recenti, osava esprimersi come contrappunto alla norma, al conformismo e all’ovvio, quando oggi inclina così volentieri, inesorabilmente, a proporsi come letteratura di conferma, ammiccando al noto per non osare l’affondo in mondi altri, siano essi quelli della denuncia del presente e della modernità, della rivalutazione dell’Altro e dei mondi arretrati, dell’esaltazione della natura contro i falsi miti che accompagnano la cultura nella sua pretesa civilizzatrice.

Gide maestro di letteratura, dunque: perché prima di tutto maestro di vita e di libertà. Gide dopo la cui lettura il pensiero appagato di noi stessi vacilla, l’imperativo alla ribellione torna prepotente – come in tutta la letteratura che conta – e l’interrogativo se civiltà e purezza siano compatibili riemerge insidioso e tentatore dalle ombre.

Interviste impossibili: “Davide”; letture: André Gide; musica: “You’ve got to move”; meditazione: “Come usare la ricchezza” (Luca 12, 16-21)

Tempo dello spirito 30.07.2017, 08:00

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