Fotografia e letteratura

Un’immagine (di Luigi Ghirri) vale più di mille parole?

Il paesaggio come dimora: riflessioni su “Viaggio in Italia” del grande fotografo emiliano, a 40 anni dalla prima pubblicazione, e il mondo “così com’è”

  • 24 luglio, 12:00
Luigi Ghirri
Di: Mattia Mantovani 

Cosa significa “viaggiare”, in senso reale e metaforico (nella finitezza dello spazio esterno, ma anche nel tempo e nella finitezza dell’esistenza)? Cosa si vede veramente nel corso del “viaggio”? Dove passa – se passa – il confine tra i dati del reale e la reinvenzione operata dallo sguardo, nello specifico lo sguardo fotografico? E infine: cosa si può contrapporre alla celebre quanto perentoria e opinabile affermazione di Susan Sontag? «La conseguenza più grandiosa della fotografia è che ci dà la sensazione di poter avere in testa il mondo intero come antologia di immagini».

La pubblicazione del volume Viaggio in Italia, uno dei più importanti punti di snodo nella storia della fotografia italiana contemporanea, riproposto dall’editore Quodlibet in occasione dei quarant’anni dalla prima edizione, non può che suscitare e rinnovare simili domande, perché si ha la tendenza a considerare acquisiti una volta per tutte concetti come “realtà”, “visione” e “viaggio”. Ma la verità è un’altra, ed è stata espressa con estrema chiarezza da Luigi Ghirri in una delle sue lezioni di fotografia del 1989: «Credo che dietro i disastri dell’ambiente vi sia una disaffezione che l’uomo ha sviluppato nei confronti del suo ambiente negli ultimi trenta o quarant’anni, alla quale ha corrisposto una fondamentale incapacità di relazionarsi con l’ambiente attraverso la rappresentazione. Quindi il recupero della rappresentazione visiva come strumento di relazione col mondo, di rapporto con l’ambiente può avere un grande peso culturale e una grande efficacia». Si tratta di una dichiarazione di poetica (poetica della visione nel senso più ampio, si potrebbe dire) che spiega tutta l’opera di Ghirri e nello specifico restituisce il senso del progetto culminato alcuni anni prima nel Viaggio in Italia.

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Ghirri, vedere oltre

Voci dipinte 08.09.2024, 10:35

  • Crediti foto: CSAC, Università di Parma masilugano.ch
  • Emanuela Burgazzoli

Relazionarsi con l’ambiente tramite la rappresentazione significa guardare il mondo con occhi diversi, percepirlo come inesauribile fonte di visioni e incantamenti, considerare il “viaggio”, nelle sue varie forme e declinazioni, come ricerca e possibilità di attivare una conoscenza intesa come avventura del pensiero e dello sguardo, lontanissima dalle astratte categorie scientifiche e da tutte le pretese (non meno astratte) di aver capito qualcosa in generale. È precisamente ciò che il viaggiatore italiano per eccellenza, Johann Wolfgang Goethe, aveva definito la «terza realtà, affascinante proprio nella sua fittizia esistenza». In questo senso, “trovare” significa sempre “ritrovare” qualcosa si era già trovato o comunque era già presente nell’immaginazione.

Diceva ad esempio Carlo Levi, viaggiatore curioso e attentissimo in terre vicine e lontane, che nel viaggio è presente «una frattura che è sempre una fuga, un’inconsapevole ricerca, uno scampo, un abbandono». La conseguenza è un voluto sfalsamento prospettico, perfino un paradosso: forse non viaggia veramente chi viaggia, ma piuttosto coloro che restano e «viaggiano all’indietro nel tempo immobile». Perché solo in questo modo è possibile percepire quella che lo stesso Levi, prendendo spunto dall’amatissimo Stendhal “italiano” di Roma, Napoli e Firenze, aveva definito la “compresenza di tutti i tempi”. Ci sono del resto parecchi modi di interpretare il viaggio e quindi la realtà che si percepisce attraverso la visione. Quale ricerca del “nuovo” nell’“ignoto”, come dicono i celeberrimi versi di una poesia di Baudelaire, oppure nel senso schiettamente romantico evocato da Novalis, quale continuo ritorno “a casa”, in un radicamento che teoricamente potrebbe e dovrebbe essere ovunque.

Luigi Ghirri, Capri, 1981. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri..jpg

Luigi Ghirri, Capri, 1981

  • Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri

Ma la definizione più centrata è forse quella che ha fornito il compianto Gianni Celati commentando i chiaroscuri delle foto scattate nella Valle Padana e sul Delta del Po dall’amico Carlo Gaiani: un semplice “luogo” diventa un “paesaggio”, e di conseguenza «uno sfondo sul quale proiettare il pensiero» nonché «una possibile dimora dove sia sensato morire», solo ed unicamente quando è scritto – nel senso di visto, percepito, vissuto – in una lingua che si conosce. Perché in caso contrario rimane un “non luogo” anonimo e incomprensibile, aggredito e infine sopraffatto dall’«infinita miseria del nuovo». Il mondo attuale ne è pieno, esattamente come è pieno di location che non dicono nulla all’immaginazione: panorami frigidi, sfondi astratti sui quali è impossibile proiettare il pensiero, “non luoghi” dove ha poco senso vivere perché non ha alcun senso morire. Ai non-luoghi è necessario rispondere con l’elogio del  “niente di speciale”, che lo stesso Celati ha proposto sulla scia del leggendario e pioneristico progetto Un paese di Cesare Zavattini e del fotografo americano Paul Strand, confluito nel 1955 nell’omonimo libro fotografico (uno dei primi esempi di “letteratura per immagini” e ideale precursore del Viaggio in Italia) dedicato al luogo natale di Zavattini, la cittadina di Luzzara nella zona di Reggio Emilia. 

14:26

Dossier: “Viaggio in Italia” (4./5)

Alphaville 12.09.2024, 12:05

  • luganolac.ch
  • Enrico Bianda

Non deve quindi stupire che Celati, in qualità di accompagnatore e narratore (il suo reportage Verso la foce è poi apparso con lievi modifiche nell’omonimo libro del 1988), abbia partecipato al progetto Viaggio in Italia, la cui storia è tutta da raccontare. All’inizio degli anni Ottanta, il suo amico e quasi compaesano Luigi Ghirri aveva coinvolto in un comune progetto venti fotografi che già dalla fine del decennio precedente avevano sperimentato modi non convenzionali di rappresentare la realtà e i cambiamenti sociali in atto un po’ ovunque nel Paese, da nord a sud. Citarne alcuni sarebbe far torto a molti, vale quindi la pena di ricordarli tutti: Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Gianantonio Battistella, Vincenzo Castella, Andrea Cavazzuti, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Vittore Fossati, Carlo Garzia, Guido Guidi, Shelley Hill, Mimmo Jodice, Gianni Leone, Claude Nori, Umberto Sartorello, Mario Tinelli, Ernesto Tuliozi, Fulvio Ventura e Cuchi White.

Il progetto si concretizzò nella mostra collettiva Viaggio in Italia, inaugurata nel gennaio 1984 alla Pinacoteca Provinciale di Bari e in seguito riproposta a Genova, Ancona, Roma, Napoli e Reggio Emilia, dove approdò nei primi mesi del 1985. L’esposizione era accompagnata dall’omonimo volume, con una lunga introduzione di Arturo Carlo Quintavalle e lo scritto già ricordato di Celati. Il volume ebbe numerosi riscontri a livello internazionale, soprattutto in Francia, e riuscì a comunicare l’idea molto innovativa del territorio e del paesaggio inteso come un sistema di risorse impensate, minime, inappariscenti e quotidiane, lontane non solo dal sensazionalismo della cronaca, ma anche dai panorami dolciastri e improbabili delle cartoline turistiche (oggi diremmo forse dall’immancabile scatto che accompagna l’immancabile “post” su qualche social network).

Luigi Ghirri, Lago Maggiore, 1984. Crediti fotografici CSAC, Università di Parma. © Eredi di Luigi Ghirri..jpg

Luigi Ghirri, Lago Maggiore, 1984

  • Crediti fotografici CSAC, Università di Parma. © Eredi di Luigi Ghirri

Si tratta di un’idea perfettamente esplicitata nelle righe iniziali del reportage di Celati, dove le particolarissime condizioni di luce lungo la Via Emilia – un tema ripreso dallo stesso Celati alcuni anni dopo, in una delle Quattro novelle sulle apparenze – diventano uno scenario di proiezioni immaginative e quindi una rappresentazione del mondo, nel senso spiegato anche da Ghirri: «Al mattino presto in queste pianure la luce è tutta assorbita dai colori del suolo. C’è un vapore azzurrino che fa svanire le distanze, e oltre un certo raggio si capisce soltanto che le cose sono là, disperse nello spazio. E’ col sole alto e la luce netta che cominciano a vedersi grandi separazioni».

Sono inoltre molto incisive e illuminanti alcune considerazioni di Quintavalle, il cui scritto introduttivo va considerato alla stregua di manifesto programmatico: «Tutte le cartoline sono ugualmente irrealistiche, sono mitiche rappresentazioni di città ideali dove la realtà del vivere, del gestire, dello spazio quotidiano, la realtà di quello che oggi chiamiamo lo spazio urbano, l’arredo, oppure l’architettura degli interni viene del tutto mistificato, anzi cancellato, rimosso. Si vive in cartolina il falso del nostro mondo, un doppio che è assurdo perché non esiste, non rappresenta nulla». In Viaggio in Italia c’è invece l’idea della fotografia come forma della conoscenza o perfino come principio gnoseologico, si vorrebbe quasi dire come abito morale e costume dell’intelligenza. Le dieci sezioni o tappe che scandiscono il viaggio (“A perdita d’occhio”, “Lungomare”, “Margini”, “Del Luogo”, “Capolinea”, “Centrocittà”, “Sulla soglia, “Nessuno in particolare”, “Si chiude al tramonto, “L’O di Giotto”) fanno capire che Viaggio in Italia è principalmente un viaggio dentro l’immagine e insieme una riflessione sul significato dell’immagine stessa. Beninteso: una riflessione molto inattuale, lontanissima – allora come oggi – dai frasari alla moda.

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Vita di Luigi Ghirri

Diderot 03.06.2020, 17:10

  • Keystone - Luigi Ghirri

L’attualità di un progetto come Viaggio in Italia consiste proprio in questa sostanziale quanto feconda inattualità. È vero, infatti, che la “cartolina” come rappresentazione di un peraltro non meglio definibile “paesaggio ideale” è scomparsa, però non è scomparsa – e anzi si è perfino accentuata con le nuove tecnologie e un certo loro abuso – la tendenza a rappresentare il paesaggio stesso come una quinta intercambiabile e “virtuale” nel senso deteriore del termine: un “non luogo” uguale dappertutto, sempre più simile allo sfondo astratto e irreale di una vita astratta e irreale. Il che non è privo di implicazioni, ovviamente.  

Viaggio in Italia proponeva invece (e continua a proporre) una forma di approccio ai dati del reale che mette in dubbio non solo la logica raziocinante, ma anche talune ipocrite e indiscusse certezze umanistiche, dove c’è sempre un io regolatore e ordinatore che si illude di aver capito qualcosa in generale a proposito del mondo esterno e utilizza strumentalmente il paesaggio quale semplice sfondo. Come ha scritto giustamente Celati, qui come non mai traduttore de La Certosa di Parma di Stendhal, la realtà reinventata e rimodellata nel racconto per parole o immagini si pone agli antipodi di «tutti i totalitarismi moderni, che vogliono farci dimenticare le incertezze su noi stessi; ma proprio perché predicano la felicità, ci rendono ancora più estranei al mondo così com’è».

Luigi Ghirri, Rimini, 1977. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri.jpg

Luigi Ghirri, Rimini, 1977

  • Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri

Viaggio in Italia rimane insomma un invito a guardare il mondo “così com’è”, con altri occhi, che non siano quelli dell’ottimismo aziendale, della cementificazione selvaggia, delle ubriacature pubblicitarie, della cronaca fine a se stessa e delle flaubertiane idées reçues. Può darsi che sia stato e rimanga un invito utopico, ma l’utopia è l’unico presupposto di una vita di progetto e speranza. Nelle ultime pagine di Verso la foce c’è un etologo di lingua tedesca che arriva sul Delta del Po e a un certo punto non capisce più nulla in quell’intrico di acque che confluiscono in altre acque: Wo wird aus diesem Wasser Meer?, continua a chiedere («Dov’è che queste acque diventano mare?»). Il senso più profondo di Viaggio in Italia è ravvisabile con ogni evidenza nella non-risposta a una simile domanda.

Perché in definitiva non c’è una risposta, non c’è un punto preciso in cui le acque diventano mare, perché l’esistenza non va da nessuna parte e l’unica verità che rende giustizia alla fatalità biologica del vivere e morire è nelle cose che succedono perché succedono, nella pura esteriorità dei fenomeni. Ghirri e i suoi compagni di viaggio l’hanno fissata in meravigliose fotografie. Gianni Celati, da parte sua, l’ha sintetizzata e consegnata a futura memoria nelle ultime righe di Verso la foce, proprio riflettendo sulle “acque che diventano mare”: «Noi aspettiamo ma niente ci aspetta, né un’astronave né un destino. Chiama le cose, perché restino con te fino all’ultimo».

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