Uscito in Francia nel 2023, il libro è diventato in poco tempo il caso editoriale dell’anno, vincitore di numerosi premi tra cui il Premio letterario Le Monde, il Premio Femina, il Premio Goncourt des lycéens. In Italia, portato da Neri Pozza nel 2024 con la bella traduzione di Luciana Cisbani, è stato insignito del Premio Strega Europeo e continua a far parlare di sé come di un libro «necessario»: «Tutti dovrebbero leggerlo», ha dichiarato il premio Nobel Annie Ernaux, aggiungendo che «leggere Triste tigre è come calarsi in un abisso con gli occhi aperti».
Triste tigre parte dalla terribile vicenda autobiografica di Neige Sinno – violentata dal patrigno dall’età di sette o nove anni, non lo ricorda con esattezza – per affrontare un dilemma che sta al centro della letteratura: la relazione tra la verità e il linguaggio. Com’è possibile raccontare un’esperienza così oscura? Come possono le parole esprimere l’impensabile?
Sinno ha difficoltà nel ricostruire la cronologia di ciò che le è accaduto, per anni le è sembrato impossibile scrivere questo libro, trattare degli abusi sessuali perpetuati dal patrigno da quanto era bambina fino alla sua adolescenza, e questo nonostante abbia avuto il coraggio – a diciannove anni – di rompere il silenzio e di denunciarlo, nonostante lo stupratore sia finito in carcere e lei si sia rifatta una vita lontano dalla Francia, scrivendo fiction e diventando a sua volta madre. Fino al giorno in cui non si è resa conto che scriverne era l’unico modo per affrontare davvero ciò che le è successo.
«Il tabù nella nostra cultura», dice, «non è lo stupro in sé, che è praticato ovunque, ma parlarne, prenderlo in considerazione, analizzarlo». Lo stesso stupratore non ha mai pronunciato la parola stupro. Perfino davanti alla giuria che lo ha condannato per quel reato, «secondo lui rimaneva un’altra cosa».
Per molto tempo l’autrice ha creduto di essere libera perché l’uomo non avrebbe più potuto danneggiarla, ma poi ha dovuto fare i conti con la terribile verità: «non ci si può sbarazzare di qualcosa da cui si è così profondamente costituiti», e tutto il suo carattere si è formato sulle azioni di quell’uomo, lo stupro è sempre stata una questione di potere più che di sesso.
Quello che Sinno ci consegna non è una testimonianza, non è un memoir, sono pochi i dettagli scabrosi che di solito caratterizzano questo genere di narrazione: le sue sono parole che puntano al silenzio, sono «archi tesi al massimo in modo da scagliare la freccia più lontano possibile», sono ragionamenti con cui ribellarsi all’insensatezza, all’odio, al dolore. Il male che da bambina ha guardato in faccia le ha insegnato la duplicità del linguaggio, quella zona grigia in cui ciò che è detto rimanda a un altrove, e non è forse questo il campo della letteratura?
E dunque scrivere non l’ha salvata, lei non si ritiene salva. “Triste tigre” non è che un lungo interrogativo sulla questione che più le sta a cuore: è davvero possibile scrivere un libro come questo, e come?
“Triste tigre” di Neige Sinno
Mirador 30.11.2024, 14:40
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