La città era preda delle lucine a intermittenza, della puzza di cibi precotti, dell’agitazione da acquisto compulsivo. Lampeggiavano vetrine e finestre, le auto e gli antifurto, pupazzi di raso e fiamme di stoffa si agitavano al soffio dell’aria calda dimenando braccia, teste e lingue.
Per strada busker annoiati storpiavano Dylan, i Beatles, i Rolling Stones, Amy Winehouse e Nada. La competizione per il podio della canzone più gettonata era sempre fra i due orribili e ipnotici motivetti pop: Last Christmas degli Wham! e All I want for Christmas is You di Mariah Carey. Non c’erano santi, fosse una boutique o un supermercato, la stazione radiofonica, perfino gli altoparlanti della cabinovia di Pila, le due canzoni venivano diffuse e Rocco le doveva sopportare almeno una trentina di volte al giorno.
Aveva segnato la musica natalizia all’ottavo livello della scala delle rotture di coglioni, ma era tentato di promuoverla al nono, dove aveva appena messo il rotolo di alluminio difettoso, che non è cosa di riportarlo ad uno strappo regolare.
Il sole stava calando dietro le montagne e con lui la temperatura. Aveva nevicato per due giorni consecutivi.
Le mani in tasca e i piedi congelati, Rocco Schiavone guardava la gente infagottata seduta a bere intrugli alcolici ai tavolini esterni dei bar riscaldati dai termosifoni a forma di fungo, mentre una puzza di fritto lo faceva sperare in un’anosmia improvvisa e benefica.
La neve ammucchiata ai lati delle vie era una pappetta sporca di gas di scarico e fango.
(Sotto mentite spoglie, Antonio Manzini, Sellerio 2025)
Anti-natalizio al massimo, questo nuovo Rocco Schiavone. Il vicequestore romano trasferito al nord, nella ridente città di Aosta, è tornato per una nuova indagine, per un nuovo caso diventato subito il libro più letto e venduto nelle ultime settimane nelle librerie della Svizzera italiana.
Si intitola Sotto mentite spoglie l’ultimo romanzone di Antonio Manzini, 500 pagine molto abbondanti che si leggono con agilità. Quindicesimo, se ho fatto bene i conti, racconto di Schiavone in una dozzina d’anni. Ormai è probabile che autore e personaggio siano diventati quasi amici…
A che punto è il suo rapporto personale con Rocco Schiavone, dopo più di dieci anni? Massimo Carlotto dice che lui, con l’Alligatore, ormai ci parla. Forse scherza.
Conoscendo Carlotto, mi sa che non scherza neanche un po’… No, io invece non ci parlo, con Rocco Schiavone. Non è un tipo frequentabile, quindi non ho voglia neanche di approfondire troppo. Mi piace ancora, mi diverte ancora scrivere le sue storie. Fin quando mi divertirò, spero di poter divertire anche il lettore. Quando non ce la farò più smetterò, perché annoiare il lettore, e soprattutto prenderlo in giro, è l’ultima cosa che ho nel cuore.
Cosa significa “prendere in giro” il lettore?
Se un libro è sincero, è sentito, necessario o comunque voluto, non stai prendendo in giro il lettore, perché stai dando quello che è giusto che uno scrittore dia quando si mette a scrivere. Prendi in giro il lettore quando scrivi un libro che è un trucco editoriale, oppure un libro scritto in maniera sciatta, senza attenzione, giusto per fare un libro. Io da lettore ogni tanto mi sento preso in giro da alcuni editori. Questo credo che capiti a tutti, e a me dà molto fastidio. Non vorrei mai essere un narratore che si fa beffe della persona che lo sta leggendo.
“Sotto mentite spoglie”
Alice 13.12.2025, 14:40
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Anni fa, ai tempi della prima stagione della serie TV Rai, ci fu un’interrogazione parlamentare su Rocco Schiavone, in Italia: chiedeva che la televisione pubblica non mostrasse un «modello sbagliato di poliziotto». Oggi quelle polemiche sono seppellite del tutto?
L’interrogazione parlamentare fu in realtà solo minacciata, poi forse probabilmente qualcuno si è reso conto che il paese aveva delle necessità un pochino più impellenti e più grosse di un vicequestore che fuma la marijuana... La cosa che a me ha sempre fatto sorridere è che c’è stata questa alzata di scudi scandalizzata sul fatto che ci fosse un vicequestore che faceva uso di marijuana. Ciò che invece è passato del tutto inosservato, ma forse anche normalizzato per queste stesse persone, è che questo vicequestore… ruba. Ecco, questo mi intristisce molto.
E allora, già che siamo in tema: qual è l’etica di Rocco Schiavone, e quale la sua idea di giustizia?
Rocco Schiavone è nato in mezzo a una strada, quindi la sua è un’etica stradaiola… anzi, visto che è romano: sampietrinesca. Ci sono delle regole precise da rispettare, che lui come poliziotto, ma anche altri come banditi, hanno sempre rispettato. Ma la giustizia… la giustizia è un problema serio, perché è un concetto umano. In natura la giustizia non esiste, nessun animale ha il concetto di giustizia. Soltanto noi, fin da quando siamo piccoli, diciamo sempre: «Non è giusto». È una cosa molto sentita dall’essere umano, ma la giustizia purtroppo è soggettiva, mentre la legge è oggettiva. È difficilmente la legge riesce a essere d’accordo con il senso di giustizia.
Com’è cambiato Rocco, in questi anni? Il suo lato malinconico sta prendendo il sopravvento?
Schiavone, non è l’invecchiamento che lo sta uccidendo: è la sua noia esistenziale, una vita che non ha nessuna proiezione verso il futuro. Quindi, la sua è una depressione antica, diciamo così: è un depresso funzionale, se vogliamo usare un parolone.
Ma a lei personalmente piace, il Natale?
Lo odio. Mi piaceva da bambino, per i regali, perché andavo a giocare da nonna in Abruzzo, incontravo i miei cugini… Le riunioni familiari, quando si è piccoli, son belle. Dopo sono cominciate a diventare una noia spaventosa. Ora, io non lo festeggio granché, non sono credente… ma vedo che anche i credenti, non è che lo festeggiano in maniera religiosa. Il Natale dovrebbe essere una festa religiosa, la nascita del figlio di Dio… invece è una ridda spietata, consumistica, senza senso.
Sotto mentite spoglie è lungo quasi 600 pagine, più di ogni altra indagine di Rocco Schiavone. È cambiato il suo modo di scrivere, in questi anni?
Guardi, la realtà è che l’unica cosa che mi sta succedendo è che mi vado a peggiorare la vita da solo, cioè mi infilo dentro storie più complesse. Forse dovrei tornare alla semplicità dei primi tempi, in cui la storia era più diretta, più tranquilla…
Questo è anche un giallo che punta molto sulla trama, cosa che ormai si vede sempre più raramente. Quindi lei ci crede ancora, nel giallo di trama classico?
Sarò sincero: non sono in grado di rispondere a questa domanda, perché non sono un lettore di gialli. Cioè, ne leggo, leggo i classici, leggo magari dei thriller, ma non sono un vero lettore di gialli. Credo che il giallo in generale abbia bisogno della trama, e però abbia bisogno anche di parlare della società che ospita questa trama. Credo che sia bello è importante non fare soltanto un gesto enigmistico, ossia raccontare dieci persone che su un treno ammazzano una persona, ma cercare di capire altre cose: cos’è questo nostro Paese? Che problemi, che domande ci poniamo?
Fin dal titolo, il tema più importante di questa storia è quello del mascheramento, che nella cultura italiana ha - come dire - una certa importanza, da Pirandello in giù.
La maschera per il mio Paese è un elemento fondamentale: veniamo dai romani che usavano la maschera nel teatro, il teatro classico italiano si nutre di maschere, da Goldoni. La maschera per noi è cultura, è il modo di mostrarci, è il modo di mostrare qualcos’altro di noi. È una cosa che negli altri paesi non cattolici non esiste. Sembra dire che gli italiani sono molto presenti a se stessi soltanto nell’intimo, nel segreto delle loro stanze. Pirandello ce l’ha insegnato: quando si è in una comunità, quando ci si mostra, ecco che vengono fuori le maschere.
Ha già pianificato tutto il passato e il futuro di Schiavone? C’è da qualche parte un grande schema?
Non ce l’ho. So più o meno cos’è stata la vita di Rocco fino a questo momento. Però, come dire, quello che gli è successo davvero l’ho già raccontato in altri libri, per cui il resto è una narrazione di quotidianità, non è così fondamentale... se ci sono dei pezzi che magari possono servire, della vita di Rocco passata, che abbiano a che fare con quello che sto raccontando, allora sì, li uso. Poi tutto questo attiene anche a come funzionano i nostri ricordi, ai racconti dei nostri amici… Alla mia età si comincia a dimenticare se le cose son dei ricordi o delle cose che ti hanno raccontato: non ricordi più se l’hai vissuto o no. C’è quel pozzo lì, io prendo da lì, però non mi ricordo più se l’ho vissuto io, o se me l’hanno raccontato…
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