Nero su bianco è il nuovo programma dedicato ai libri, in onda ogni domenica alle 18:30 su LA 1. In occasione della messa in onda della prima puntata, proponiamo in anteprima la conversazione tra Rachele Bianchi Porro e Björn Larsson.
Parigi non è solo una città concreta, di palazzi, boulevard, negozi, monumenti, teatri, musei, e tutto quello che fa una città. Parigi è anche un’idea, raccontata dalle fotografie di Henry Cartier-Bresson e Robert Doisneau, dai film di Bertolucci e Godard (e perfino Woody Allen), dai quadri di Manet e Renoir, e da migliaia di pagine letterarie. I primi che vengono in mente: Proust, Hemingway, Sand, de Beauvoir.
E proprio Simone de Beauvoir, che siamo abituati a immaginare seduta ai tavolini di Café de Flore, Les Deux Magots o Brasserie Lipp, in uno stereotipo tanto scontato quanto ancora persistente, continua a ispirare scrittori da mezzo mondo.
Negli anni Settanta ad esempio, quando Simone de Beauvoir viveva ancora nella sua casa a Montparnasse, dal Nordeuropa è arrivato a Parigi un giovane aspirante scrittore, che poi sarebbe diventato autore di grandi romanzi d’avventura letti in tutta Europa: Björn Larsson.
L’autore di La vera storia del pirata Long John Silver ha raccontato davanti alle telecamere di Nero su Bianco il suo amore per Parigi, partendo proprio da uno dei libri che lo hanno ispirato: L’età forte di Simone de Beauvoir. «Io sono andato a Parigi a 16, 17 anni – ha raccontato Larsson a Rachele Bianchi Porro – Mi trovavo bene, non so spiegare bene perché… Ho iniziato a studiare il francese, il mio professore al liceo era molto impressionato. Sono nato a Jönköping, in Svezia. Però subito ho anche iniziato a sognare quella vita da scrittore a Parigi. Non so quale libro sia stato il primo, però questo di Simone de Beauvoir è uno dei primi che mi ha raccontato la vita nei caffè, incontrare gente… e poi lei era una che voleva leggere, vedere tutti i film, lei aveva una sete di vivere che mi ha impressionato, e mi ha fatto sognare.»
Rachele Bianchi Porro: Quindi i libri servono davvero anche a capire chi sogniamo di diventare? Ci danno degli orizzonti? O delle scappatoie?
Björn Larsson: Scappatoie, no. Non per me, almeno. Io a un certo punto volevo fare il geologo, perché avevo letto Jules Verne, Viaggio al centro della Terra, e lì avevo già preparato la mia spedizione… dopo, è stata la stessa cosa con la navigazione.
Tornando a Parigi, c’era Festa mobile di Hemingway, c’era George Orwell che era andato a Parigi, e loro mi ispiravano… C’era un po’ di romanticismo, nella mia idea dello stare lì. Pensavo che uno deve essere povero, un po’ miserabile, senza amore, così si scrive bene. E bisogna mettersi in un caffè.
Mi ricordo il primo caffè dove mi sono messo: con la penna, il mio quaderno, un caffè che doveva durare tutta la giornata, perché così era nei libri. Dopo mezz’ora, arriva il cameriere e mi dice: «Monsieur, il faut consommer.»
Ecco: è diversa dai libri, la realtà!
Mi ero messo in un caffè di turisti vicino a Notre Dame! Però poi ho imparato… Insomma, quella vita lì l’ho fatta cinque anni, in totale, a Parigi.
Quando ci siamo sentiti prima dell’intervista, mi ha detto: L’età forte è un libro che ancora oggi tutti dovrebbero leggere.
Io l’ho riletto per la quinta volta, penso, prima di venire qui. E mi sono reso conto che è molto d’attualità, ad esempio quando racconta la paura della guerra. Simone de Beauvoir racconta vent’anni di felicità, e ha detto una cosa che mi ha molto colpito: ha detto che non aveva mai incontrato qualcuno che tenesse alla felicità quanto lei, che fosse così testarda nel perseguire la felicità… Poi c’è la libertà, nel libro… Però c’è anche la guerra che arriva. Si prepara, più o meno, la guerra, e lei non vuole saperne niente, lei fa come se niente fosse. Però a un certo punto, ovviamente, arriva. E lì tutto cambia.
Né Simone de Beauvoir né Sartre volevano crederci, all’arrivo della guerra.
Perché loro volevano vivere una vita libera. Loro avevano in progetto di scrivere, questo sì. L’esistenzialismo è il progetto: uno sogna, immagina qualcosa, uno scopo. Per loro era scrivere, diventare scrittori. E il mondo là fuori, la storia, la guerra, erano solo disturbi. Non volevano saperne niente, però ovviamente se ne sono dovuti rendere conto, della realtà. Ed è per questo che il volume dopo, purtroppo, si chiama La forza delle cose.
C’è una frase, in questo libro: «Riporre la propria salvezza su qualcuno che non sia noi stessi è il più sicuro mezzo di correre alla propria perdita». Una frase che potrebbe avvicinare un po’ Simone de Beauvoir al suo pirata Long John Silver…
Penso che ci sia in effetti qualcosa dentro che li avvicina, anche se lei ovviamente non era una pirata. Per esempio, lei ha viaggiato tutta la sua vita, moltissimo, però è sempre tornata intatta, la stessa Simone di prima. Non è mai cambiata. Aveva sempre questa idea di viaggiare, lasciarsi andare nell’ignoto, e poi tornare a scrivere. Era questa, la sua idea: accaparrarsi il mondo, capirlo, e mettere tutto dentro ai suoi libri. Nel pirata, io credo di aver messo questa idea di libertà. Ovviamente, però, lui è troppo libero…
A proposito di libertà: La vera storia del pirata Long John Silver è stato scritto in gran parte in mare... Il mare, è un po’ la sua Parigi. Azzardato?
Sì, l’ho scritto come scrivo ancora adesso, a mano. E l’ho scritto su una barca, navigando in Scozia, Irlanda. Forse l’ho finito, se mi ricordo bene, a Dublino.
Invece, riguardo a Parigi... direi che a Parigi c’era questo sogno di diventare scrittore, di vivere questa vita. Purtroppo, uno arriva sempre troppo tardi. Quando sono partito, io mi immaginavo di incontrarli, tutti questi scrittori. Però durante quegli anni, nessuno li conosceva.
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