Letteratura

Chi ha ucciso i racconti brevi?

Nel mondo dell’editoria italofona, si dice che le short stories non si vendono, né si leggono. Ma è davvero così? E se sì, perché?

  • 21 settembre, 08:30
Ernest Hemingway in Kenya, 1953

Ernest Hemingway in Kenya, 1953

  • IMAGO / Cinema Publishers Collection
Di: Alessio von Flüe 

Quando mi viene un’idea per un articolo agisco in modo metodico, scientifico. Faccio rigorosi studi sul campo, per capire l’interesse che un argomento suscita. Il metodo, perfezionato nel corso degli anni, consiste nel telefonare a tre o quattro amici e chiedere: «A te interesserebbe un articolo che parla di…».
Le risposte sono varie – vanno da «Sì, è interessante» a «Sto lavorando, davvero mi chiami per questo?»
C’è però un tema specifico che, per quanto mi sforzi a renderlo accattivante, suscita sempre unanime scarso entusiasmo: le raccolte di racconti.

«Il racconto non vende» è un mantra, quasi un cliché, del mondo dell’editoria.
Nella prefazione della raccolta Il momento è delicato, Niccolò Ammaniti scrive: «Una delle prime cose che ho imparato facendo il mestiere dello scrittore è che i racconti non vendono, anzi i racconti non fanno una lira, visto che era il lontano 1995. Questa terribile verità me la svelò Gian Arturo Ferrari in persona, gran capo della Mondadori, dopo un viaggio terribile. (…) Gentilmente mi disse che i racconti non li voleva, non vendevano, ma che se avessi scritto un nuovo romanzo l’avrebbe letto volentieri e, se fosse stato degno, pubblicato.»

23:31
Jorge Luis Borges, "Finzioni", Adelphi (dettaglio copertina)

Novellieri moderni

Gli immortali 30.08.2019, 11:35

  • adelphi.it

I lettori di racconti sono una nicchia di mercato, come quelli di poesia, e sono sempre meno gli scrittori che raggiungono il grande pubblico scrivendo esclusivamente narrazioni brevi. Certo, ci sono ancora gli Etgar Keret, i Ted Chiang, le Amy Hempel e i George Saunders di turno, ma sono mosche bianche e tutti raccontano di subire spesso pressioni per scrivere un romanzo. George Saunders a quella pressione ha ceduto nel 2017 con Lincoln nel bardo, aggiudicandosi il Man Booker Prize.

Non è un fatto nuovo. Quasi cinquant’anni fa Raymond Carver, in un’intervista a La quinzaine littéraire, affermava: «Dopo la prima raccolta tutti volevano che scrivessi un romanzo. C’erano un sacco di pressioni. Ho addirittura accettato un anticipo per un romanzo e poi ho scritto racconti».
Ma perché i lettori sono così poco interessati ai racconti?

La prima cosa che emerge dal mio studio telefonico è una sorta di «Disturbo da Stress Post-Scolastico». Un po’ come accade con la poesia, il primo approccio avviene tra i banchi di scuola. Grandi autori del racconto italiano come Tabucchi, Buzzati, Calvino, Landolfi, Moravia e Pavese vengono presentati agli studenti e poi analizzati. L’intento è nobile, ma spesso succede quello che Mark Twain diceva a proposito dello studio dell’umorismo: «È come vivisezionare una rana. Si impara molto nel processo, ma la rana muore».

immagine
12:29

Da trent'anni senza Moravia

RSI Shared Content DME 31.08.2020, 11:00

Risulta difficile però pensare che questo da solo sia il motivo per cui le raccolte di racconti non attirino. In fondo, abbiamo analizzato anche romanzi, a scuola; le classiche e temute letture estive obbligatorie. Questo ci ha procurato in molti casi un’avversione specifica per qualche opera, ma non generalizzata a tutti i romanzi.

Un’altra ragione che mi viene suggerita è la ricerca di immersione nella storia. Spesso i racconti, per la brevità che contraddistingue il formato, ci danno l’impressione di non riuscire ad affezionarci ai personaggi e alle loro vicende come invece accade con storie dal più ampio respiro. Se uniamo a questo il fatto che si tende a prenderli sottogamba, come fossero «piccoli romanzi meno impegnativi», la frustrazione è dietro l’angolo. Perché i racconti richiedono paradossalmente un’attenzione maggiore. Sono fotografie istantanee. Ogni parola diventa importante.

Credo che nei racconti sia anche più difficile trovare rassicurazione. In generale, un romanzo, per quanto sperimentale, tenderà ad avere sottotraccia una struttura narrativa riconoscibile e logica – eliminarla del tutto rischia di rendere l’opera irricevibile. Nel racconto invece, spesso si trovano sperimentazioni formali e strutturali più nette. Da una parte perché più facili da gestire nel formato breve; dall’altra perché funzionali a dare una sensazione, più che a raccontare una storia con uno svolgimento preciso e consequenziale. Insomma, il racconto è un eccezionale banco di prova per la sperimentazione, che però non sempre è interessante o appetibile per un pubblico vasto.

10:57
“Inverness” di Monica Pareschi, Alessandro Polidoro Editore (dettaglio di copertina)

“Inverness”

Alice 06.09.2025, 14:35

  • alessandropolidoroeditore.it
  • Michele R. Serra

Infine, il formato del racconto è forse quello che più risente della concorrenza delle altre narrazioni brevi che ci circondano. Viviamo in un periodo storico in cui le persone sono bombardate da storie, spesso raccontate attraverso mezzi più accessibili e immediati. E questo comporta che, quando ci si trova a scegliere di dedicare del tempo alla letteratura, si preferisca affrontare una narrazione lunga: il classico mattoncino che non ci fa sentire come se stessimo leggendo un libro per l’infanzia.

Quindi, siamo giunti alla fine? Le raccolte di racconti sono destinate a sparire? Sicuramente no, così come non è sparita la poesia. Esiste ancora una nicchia di persone che ama leggerle e parlarne, come di scrittori ed editori che continuano a scriverle e pubblicarle.

Da lettore di racconti, però, ogni tanto mi chiedo se questa convinzione che i racconti non vendano sia una profezia autoavverante. Se in qualche modo manchi la chiave per raggiungere il grande pubblico, che semplicemente non sa ancora di volere una cosa perché la conosce poco o ne ha ricordi travagliati. Se il successo estero di scrittori esperti in questa forma d’arte non sia in qualche modo un segnale che c’è ancora un mercato pronto ad accoglierla.

Certo, mi rendo conto che i segnali non sono incoraggianti. Stando al mio giro di telefonate, quattro persone su quattro non leggono racconti. Ma è anche vero che ce n’è una quinta che telefona alle altre, e puntualmente gli chiede: «Ma se ti parlassi di una raccolta di racconti…»

Correlati

Ti potrebbe interessare