Letteratura

Emily Dickinson

La poesia come passione e rinuncia

  • 10 dicembre 2023, 07:24
emily dickinson
Di: Marco Alloni

Se è nel segno della solitudine che si pronuncia la poesia, Emily Dickinson – nata il 10 dicembre 1830è poesia. O per meglio dire, è quel pieno intendimento della poesia come sacrificio e come investimento totale che nell’Ottocento trovò la sua manifestazione più compiuta.

In effetti è solo ricomponendo lo spirito di tanta letteratura cosiddetta “ottocentesca” che si riesce a ritrovare quella che oggi sembra una desueta pratica di ascetismo: la romantica, inflessibile passione per gli assoluti. E la Dickinson, in questo senso, è probabilmente l’espressione più estrema di questo patto con i grandi paradigmi.

Quali paradigmi? Un certo minimalismo contemporaneo – per non parlare di quanto il Novecento ha proposto in forma di dissoluzione dei “grandi temi” o derisione nichilistica delle “ragioni del classico” – potrebbe considerarli addirittura con una venatura di scherno. Ma per la Dickinson furono la ragione stessa per cui era sensato o addirittura necessario fare poesia. Giacché i suoi grandi temi, i suoi grandi paradigmi, erano l’amore, la morte, la religione, la natura.

In questo senso potremmo dire che Emily Dickinson sia l’estremo omaggio che la parola prenovecentesca ha tributato a quanto oggi rubrichiamo (con una coloritura di scherno) come massimi sistemi. Massimi sistemi che una lettura psicoanalitica potrebbe riconoscere intimamente interconnessi con lo stato psichico dell’autrice, vale a dire con quella solitudine che nell’individuarne l’assolutezza o l’essenza li proponeva allo sguardo in tutta la loro drammatica nitidezza.

Tormentata fin da ragazzina da un’ansia di isolamento tipica delle cosiddette “sognatrici” del suo tempo, la Dickinson visse in effetti come per delineare una distanza sentimentale tra sé e il mondo, in modo da poter osservare l’esistenza in un quadro di oggettività e assolutezza altrimenti impossibili da raggiungere.

In tale distanziamento deliberato e a suo modo eroico dalle istanze della vita più partecipata, la Dickinson ci consegnò così una sorta di ritratto di quello che è il rapporto più intimo tra eternità e istante, tra grandi temi e minuzie quotidiane, tra quello che restò sempre il suo raccoglimento nell’ombra della solitudine, delle sue ordinarie mansioni domestiche, e quelli che da tale osservatorio si profilavano come i maggiori problemi a cui era sottoposta la sua anima: non ultima la morte a cui dedicò il volume Annoda i lacci alla mia vita, Signore.

Tutto converge così nella poetessa americana – fin da giovanissima attratta dal connubio irresistibile tra devozione e scrittura – in un racconto della vita come rinuncia che in qualche misura è la sua cifra essenziale. Rinuncia all’agio, rinuncia ai viaggi, rinuncia alle relazioni mondane e alle amicizie, rinuncia al matrimonio, rinuncia ai beni inessenziali, rinuncia alla socialità, rinuncia al conforto delle passioni (tranne una, con un reverendo, platonica). Ma non rinuncia all’inquietudine per la caducità delle cose, non rinuncia alla celebrazione minuziosa di tutto ciò che nel piccolo mondo antico in cui si era rincantucciata a vivere la circondava: quelle infinite filettature della quotidianità che stagliavano al di là di sé il prodigioso mondo dei massimi sistemi a cui abbandonava estasiata e fiduciosa lo sguardo.

Felice di essere protetta solo dalla passione per la poesia, felice di poter vivere in clausura nella stanza della casa paterna, felice di contrastare l’agorafobia con l’isolamento, la Dickinson condensò in versi semplici, cristallini ed elementari – molto o troppo “graziosi” ed “enfatici” per il gusto dell’epoca – l’intero repertorio delle sue ossessioni di donna fuori dal mondo. E solo dopo quasi un secolo dal decesso, a 55 anni, se ne rivalutò l’opera, allorché la sorella l’ebbe recuperata dai cassetti.

Verrebbe quasi da dire che fu così felice di essere solo e soltanto poeta, di non ambire ad altro che alla sintesi in forma poetica della sua estrema ascesi esistenziale, da non badare nemmeno a chi e come avrebbe potuto leggerla. Quasi che persino all’ascolto degli altri potesse in definitiva rinunciare. Ma non – mai, in nessun modo – all’ascolto delle infinite vibrazioni dell’Anima, l’unica compagna, a ben vedere, con cui trascorse la propria vita.

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