Letteratura

Tra Frida e Basquiat: il memoir di Jennifer Clement

Dalla Città del Messico degli intellettuali al fermento artistico di New York, la scrittrice racconta il mondo per cambiarlo. Storie personali, ferite collettive e impegno civile

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Jean-Michel Basquiat

Di: Laura Daverio 

«Di tutte le strade di Città del Messico dove avremmo potuto vivere, mio padre scelse questa, gli dava un buon feeling e così ha affittato qui la nostra casa». Lo racconta la scrittrice Jennifer Clement, arrivata da New York con la famiglia nel 1960, quando aveva meno di un anno di età. È seduta di fronte a una tazza di caffè nel ristorante San Angel Inn, una ex hacienda, una grande tenuta agricola, la cui prima costruzione risale al XVII secolo. Allora circondata da campi, si trova oggi nel cuore del quartiere coloniale di San Angel, nel sud della capitale. È qui che la incontro: si è portata una borsa piena dei suoi libri, in varie edizioni. Ha un’eleganza naturale e una semplicità che rendono facile immergersi conversazione.

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Alle sue spalle, attraverso le finestre del locale, lo sguardo si fissa su un edificio realizzato in stile architettonico funzionalista all’inizio degli anni ’30 dal progettista Juan O’Gorman, diventato un’icona del paesaggio urbano, nonostante il contrasto evidente con lo stile coloniale del quartiere. Si tratta la casa-studio di Diego Rivera e Frida Khalo. Da bambina, l’autrice vi giocava con la sua amica Ruth Maria, la nipote di Diego Rivera. La casa era rimasta intatta, con tutti gli oggetti della famosa coppia che l’aveva abitata.

E in questo quartiere comincia la narrazione del suo nuovo memoir, The Promised Party, disponibile in lingua inglese. L’idea del libro si concretizza il giorno in cui la scrittrice vede il pluripremiato film Roma, di Alfonso Cuaron, che nel 2019 si aggiudicò anche 3 premi Oscar. È un racconto autobiografico del regista e il ritratto della vita in una famiglia di classe media a Città del Messico negli anni ’70. «Conoscevo il mondo di Cuaron, ma non era il mio mondo. Io appartenevo a un mondo completamente diverso, e se anche non ho vissuto l’epoca d’ora di Octavio Paz (premio Nobel per la letteratura), Frida Kahlo, Diego Rivera, Juan O‘Gorman, ero coperta dalla sua polvere dorata. Mi sono detta, se non ne scrivo, andrà perduta». 

Il libro ripercorre le esperienze della scrittrice tra Città del Messico e New York, dove si trasferì all’età di 18 anni. Qui si trovò al centro di un altro circolo di intellettuali e di una fiorente attività artistica, tra feste al Club 57, droghe e amici artisti quali Jean-Michel Basquiat e Keith Haring.  Diviso in capitoli brevi, il libro non si propone con uno stile continuativo, bensì coglie frammenti di storie molte più lunghe, ispirandosi alle parole di Borges secondo cui la memoria è una pila di specchi rotti. Le chiedo di scegliere un passaggio preferito del libro (tradotto in italiano per questo testo), lei sceglie di raccontare un momento chiave per la sua formazione di scrittrice, il suo primo incontro con l’opera di Shakespeare, grazie a una recita di bambini nel suo quartiere. 

I Giovani Unicorni, una compagnia teatrale per bambini, nacque a San Ángel sul finire degli anni Sessanta. In una messa in scena completa di Sogno di una Notte di Mezza Estate, interpretai Elena all’età di undici anni, mentre Barbara, che ne aveva appena nove, vestì i panni di Puck.
 
Le parole mi colmarono l’anima mentre mi innamoravo del ragazzo che interpretava Demetrio — e lui ricambiava.
 
Gli scrivevo poesie.
 
Decenni dopo, mi confessò di aver bruciato quei versi che la mia mano bambina, a undici anni, aveva tracciato su carta — parole d’amore, di te e di me — gettandole in un piccolo falò di foglie secche e d’erba nel giardino, quando lo spettacolo era finito e io non desiderai più passare il tempo con lui.
 
Ancora oggi posso recitare a memoria le battute di Elena. A volte le ripeto ad alta voce, da sola, come una sposa che si prova l’abito nuziale e le perle per scoprire se si sente ancora nuova.
 
Nelle parole che Shakespeare donò a Elena, cominciavo a scorgere chi avrei potuto essere:
 
Corri pure, e il racconto sarà riscritto.
Apollo fugge, e Dafne dà la caccia;
la colomba insegue il grifone, e la cerva mite
si affretta per raggiungere la tigre — ma invano,
ché il coraggio fugge e l’audacia è inseguita dalla paura.

The Promised Party è il secondo memoir di Jennifer Clement, dopo Widow Basquiat, pubblicato nel 2000, tradotto anche in italiano. Quest’ultimo narra la storia d’amore tra la sua amica Suzanne Mallouck, artista, grande amore e musa di Jean-Michel Basquiat, sullo sfondo della scena artistica dello East Village a New York. In Widow Basquiat l’artista è raccontato dalla prospettiva di Suzanne «la nostra relazione si basava sul fatto che lui era il ragazzo della mia amica, e non era un buon partner». Proprio per questo l’autrice vuole tornare a parlarne in The Promised Party, prendendo le distanze dal quel rapporto per rievocare la sua connessione con il celebre artista, trovata grazie alla lingua comune spagnola e la cultura latina,  la madre di Basquiat, infatti, era portoricana.

Il memoir ha avuto un’ampia risonanza e tra i fan si conta anche la superstar del pop Dua Lipa, che a giugno ha lanciato un podcast sui suoi libri preferiti, dedicando la prima puntata proprio a Widown Basquiat

L’opera di Jennifer Clement è ampia, ben oltre suoi memoir, entra in realtà complesse, alla ricerca di una giustizia sociale, sempre divisa tra due paesi e due identità, Messico e Stati Uniti. Nel suo primo romanzo, Una Storia Vera Fatta di Bugie narra le condizioni di vita di donne messicane al servizio di famiglie benestanti, una realtà in cui lei stessa è cresciuta da bambina. Il libro Gun Love, che mantiene il titolo inglese anche nella versione italiana, affronta il tema della vendita di armi che dagli Stati Uniti finiscono in Messico e America Centrale. La storia ha luogo in Florida, dove una madre e sua figlia, ancora bambina, vivono in povertà, facendo della propria automobile la loro dimora. Il parcheggio in cui risiedono diventa un centro di traffico di armi. Il libro affronta un tema molto sentito in Messico, sotto costante pressione dagli Stati Uniti per combattere i cartelli della droga, ma questi hanno raggiunto un livello di militarizzazione pari o superiore all’esercito grazie proprio alla facilità di procurarsi armi dall’altro lato della frontiera. «Se guardi Google Maps dal lato degli Stati Uniti, c’è un muro di negozi di armi. E dal lato messicano, ci sono solo baracche. E’ una cosa terribile, io vivo in Messico, e tutta la violenza che viviamo qui è sostenuta dalle armi statunitensi».

Approfondendo il complesso e terribile mondo della violenza dovuta ai cartelli della droga, Jennifer Clement, ha scritto Le Ragazze Rubate, dove affronta la realtà di giovani donne in territori controllati dal narcotraffico. «Per quasi 3 anni avevo studiato e intervistato donne nel mondo del traffico di droga perché volevo scrivere dell’impatto che aveva la violenza. Un giorno cominciai parlare con una donna proveniente dallo stato di Guerrero, (stato particolarmente colpito dalla violenza del narcoraffico), lavorava come stiratrice di vestiti. Le ho chiesto, come vanno le cose a Guerrero? E lei mi rispose “Stanno rubando le nostre ragazze” e così mi ha spiegato che scavavano buchi nel terreno, così quando arrivano i furgoni a cercare le ragazze, le nascondono nei buchi. Credo di non aver dormito per 3 notti e ho pensato, questo è il libro!». Un’opera che ha ispirato il film Prayer for the Stolen diretto dalla regista messicana Tatiana Herzo, a cui sono stati riconosciuti 3 premi al Festival di San Sebastian e una menzione speciale della giuria a Cannes. 

Il prossimo adattamento di un libro di Jennifer Clement potrebbe essere Widow Basquiat, Steven Spielber ha comprato i diritti e da tempo si parla di una serie televisiva. Nel frattempo altre sue opere sono state adattate per il teatro. Una storia vera fatta di bugie è stato portato sul palcoscenico in Messico, in Francia e Italia. Gun Love ha girato teatri in Francia, Svizzera, Germania e Messico.

Jennifer Clement è anche presidente per il Messico dell’organizzazione PEN, che si batte per la libertà di espressione. In questo suo ruolo ha preso anche posizione a difesa dei giornalisti, e le è accreditato un ruolo chiave nel riconoscimento dell’omicidio di un giornalista come crimine federale.

L’incontro volge al termine dopo un’appassionata conversazione che le ha fatto anche dimenticare di bere il caffè, ormai freddo. La discussione di ogni opera ha portato il dialogo verso orizzonti molto diversi, accomunati dalla convinzione dell’autrice rispetto al potere della scrittura. È il filo conduttore che lega memoir che immortalano esperienze personali ed epoche straordinarie, a romanzi che affrontano drammatiche problematiche contemporanee, fino all’impegno concreto in difesa di scrittori e giornalisti, affinché possano continuare a far sentire la propria voce. «I libri di Oliver Twist hanno cambiato le leggi sul lavoro, i libri di Victor Hugo hanno cambiato la maniera in cui guardiamo alla povertà, di colpo le riconosciamo dignità. La letteratura ha questo incredibile potere di cambiare la società».

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“The Promised Party”: memoir di Jennifer Clement

La corrispondenza 15.05.2025, 07:05

  • Natascha Fioretti

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