Letteratura

Eugène Ionesco, la tragedia del linguaggio

A 30 anni dalla morte, omaggio al commediografo francese di origine rumena, maestro del teatro dell’assurdo

  • 28 marzo, 08:48
  • 28 marzo, 12:13
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Di: Joshua Babic

Ma, a pensarci bene, la tartaruga e la lumaca, non è che sono lo stesso animale? Dopotutto entrambi gli animali hanno un guscio, entrambi sono lenti e bavosi, entrambi strisciano, entrambi mangiano l’insalata, entrambi passeggiano con la loro casa sulla schiena e così via. Mentre si discute di questa urgente questione zoologica, fuori si consuma la tragedia della guerra. Si sentono spari e scoppi di bombe, crolla un pezzo di soffitto, poi un muro, porte e finestre esplodono una dietro l’altra.

Questo è, in estrema sintesi, Delirio a due, una commedia del 1962 che illustra bene l’opera di Eugène Ionesco, commediografo francese di origine rumene, uno dei protagonisti principali, insieme a Samuel Beckett, del teatro dell’assurdo.

Ionesco racconta la nascita del suo teatro in un saggio intitolato La tragedia del linguaggio. Come un manuale di inglese divenne la mia prima commedia. Infatti, Ionesco, nel 1948, era alle prese con l’apprendimento dell’inglese e ogni giorno ricopiava diligentemente i dialoghi didattici dei signori Smith, i protagonisti (quasi dei burattini) di quella che poi divenne proprio la sua prima opera teatrale, La Cantatrice Calva. Le banalità, le frasi fatte, le sciocchezze, le ripetizioni, i luoghi comuni, tutte cose tipiche (ancora oggi) dei manuali per imparare le lingue, diventano così il materiale bruto su cui si poggia la commedia e tramite il quale Ionesco riesce a creare quel senso di straniamento, quel senso dell’assurdo che permea la sua intera produzione teatrale.

Tutti questi atti linguistici “infelici”, mal riusciti, tutte le incomprensioni, le ambiguità, tutti questi cortocircuiti della comunicazione, questi controsensi, questi ragionamenti illogici fanno certamente ridere. In fondo, alcuni filosofi, tra cui, ad esempio, Kant, hanno sostenuto che è proprio il senso dell’incongruenza che sta all’origine del comico. Ma per Ionesco la risata è solo un effetto collaterale: i personaggi delle sue commedie parlano senza comunicare perché prima di tutto siamo noi, esseri umani, a parlare senza comunicare. I suoi dialoghi ci fanno sentire insicuri, spaesati, dissociati perché è in primo luogo la realtà a farci sentire insicuri, spaesati, dissociati. Il teatro di Ionesco è assurdo perché è il mondo stesso ad essere assurdo.

Inizialmente, l’accoglienza nei confronti di Ionesco è fredda. Il pubblico si lamenta e ai critici non piace. Solo pochi si accorgono del suo genio: tra questi Raymond Queneau, scrittore, poeta e drammaturgo francese, che vede una linea diretta tra Alfred Jarry e Ionesco. Non a caso Ionesco verrà poi integrato nel College de ‘Pataphysique nel 1957 con il titolo di Satrapo.  

Come racconta Ionesco stesso in un’intervista rilasciata alla televisione canadese, ad un certo punto, non si sa bene il perché, il pubblico inizia a ridere e ad apprezzare. Segue a ruota la critica. È l’inizio del successo. Dal 1957 in poi La Cantatrice Calva verrà riproposta al Théâtre de la Huchette 21.000 volte, un record mondiale.

La critica però accusa il teatro di Ionesco di non essere abbastanza impegnato dal punto di vista politico. Arriva così, nel 1960, Il Rinoceronte. A detta stessa di Ionesco, questa volta c’è un’evoluzione. La commedia parla infatti di un’immaginaria malattia, la “rinocerontite”, che, uno ad uno, trasforma tutti gli uomini, anche i migliori, i più logici, i più razionali, in rinoceronti, in “carri armati su quattro zampe”. La malattia è dunque una chiara allusione alla deriva totalitaria del secolo scorso. Ma, attenzione, non c’è un “messaggio” nascosto, un’allegoria, una “teoria”: la funzione del teatro, secondo Ionesco, è quella di coinvolgere lo spettatore sul piano delle emozioni. Ed è proprio grazie agli effetti stranianti e alienanti tipici del linguaggio teatrale di Ionesco che noi spettatori riusciamo davvero a disprezzare, a condannare i rinoceronti e tutto ciò che essi rappresentano.

E per chiudere il cerchio, torniamo ai manuali per imparare una lingua, questa volta non di inglese ma di francese. Sì perché nel 1969 Michel Benamou scrive un manuale della lingua francese destinato a studenti angolofoni (pare che venisse usato anche nella prestigiosa Columbia University) dal titolo Mise en Train. La particolarità di questo manuale è che i dialoghi didattici sono proprio firmati dalla penna inconfondibile di Ionesco. Così troviamo studenti che fanno fatica a capire le regole del saluto, insegnanti che non sanno fare l’appello, camerieri che confondono il pranzo con la cena, medici che curano pazienti con la senape nel naso, e così dicendo. Non ci resta quindi che immaginare uno studente americano in visita a Parigi ripetere ad alta voce, magari in un café o in un bistrot, frasi assurde e controsensi strepitosi.

Amedeo (o come sbarazzarsene) - 1. atto

RSI Amedeo o come sbarazzarsene 04.12.1969, 21:40

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