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Fantastic 4 - Gli inizi (quelli veri)

Nel 1961, Stan Lee e Jack Kirby rischiavano di fallire insieme al fumetto supereroico. Invece, avrebbero salvato quell’industria e cambiato la cultura del ventesimo secolo, con la storia di una famiglia (disfunzionale, e super)

  • Ieri, 15:03
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Di: Michele R. Serra 

«Excelsior!», cioè «Più in alto!», è il motto latino (fuor di metafora, migliorarsi sempre, più o meno) con cui Stan Lee chiudeva tutti i suoi editoriali, che apparivano sulla prima pagina degli albi Marvel, prima della storia a fumetti.
«Excelsior!», mica a caso, è anche il motto dello stato di New York, casa di molti supereroi Marvel, e la città in cui Lee, negli anni Sessanta, incontrò Jack Kirby e Steve Ditko, i disegnatori che insieme a lui hanno creato alcuni dei più importanti miti dell’immaginario popolare americano del ventesimo secolo, e anche del ventunesimo. I Fantastici 4, in quel catalogo meraviglioso, occupano un posto particolarmente importante: hanno segnato l’inizio dell’Universo Marvel moderno, e ridefinito il concetto stesso di supereroe. Nei fumetti, abitano all’incrocio tra la 42esima e Madison Avenue: newyorchesi anche loro.

La storia, in fondo è semplice. La riassumo qui, se volete la versione extended, potete trovarla nell’informatissimo Marvel Comics – Una storia di eroi e supereroi di Sean Howe. Comincia all’alba degli anni Sessanta, con la DC Comics che dominava il mercato del fumetto americano, in un contesto generale di grande crisi. Nel 1961, Stanley Martin Lieber – che ancora non aveva adottato il nom de plume Stan Lee – era un professionista quasi quarantenne, che aveva cominciato a lavorare nell’industria del fumetto ancora adolescente, e ora la stava vedendo finire a gambe all’aria.

Era sempre stato alle dipendenze dell’editore Martin Goodman, occupandosi della divisione Timely Comics della Magazine Management Company, ma senza riuscire mai a diventare quello che desiderava: uno sceneggiatore capace di ideare grandi storie (di mostri, o d’amore, o di indiani e cowboy) per quegli albetti da dieci centesimi che venivano venduti nelle edicole americane, ignorati, quando non apertamente osteggiati, dalla cultura ufficiale.

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Il primo numero di Fantastic 4, 1961

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Goodman era sull’orlo del fallimento, ma non rinunciava a rilassarsi con lo sport preferito dell’upper class statunitense: il golf. E proprio durante una partita, l’editore suo rivale, proprietario della DC Comics, gli disse che aveva incontrato un inaspettato successo riunendo alcuni dei personaggi più popolari dei suoi fumetti – da Superman a Wonder Woman, da Batman a Green Lantern – in un unico supergruppo: la Justice League of America.

Goodman tornò da quella partita con un chiodo fisso: rubare quella buona idea al suo avversario, e riportare al successo i suoi fumetti. Affidò dunque la missione a Stan Lee, il quale non aveva alcuna fiducia in un possibile rilancio del genere supereroico: dopo Batman, Superman, Capitan America, cosa era rimasto da dire? Come potevano fantasie infantili del genere, interessare nuovamente al pubblico degli anni Sessanta?

Stan tornò a casa e disse a sua moglie che si sarebbe licenziato, e avrebbe cercato un altro lavoro. Fu lei a convincerlo, invece, che doveva darsi ancora una possibilità, e provare a scrivere quella storia che Goodman desiderava. Stan mise dunque insieme 25 pagine, grazie al contributo del più incredibile disegnatore della storia supereroica americana, Jack Kirby. Le versioni riguardo a chi dei due ebbe il ruolo preponderante nella creazione di quei personaggi, ovviamente, divergono (e chi ama la Marvel finisce inevitabilmente per parteggiare per Kirby, folle genio dell’illustrazione che non raccolse mai i frutti economici del suo lavoro, finiti invece in abbondanza nel paniere del socio), ma possiamo essere sicuri del fatto che, insieme, Lee e Kirby produssero qualcosa di molto diverso da una semplice copia della Justice League.

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La Marvel (2./5)

Alphaville 04.03.2025, 12:05

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  • Cristina Artoni

I Fantastici 4 erano tutt’altro. Sembravano il contrario degli eroi all-american – irreprensibili cittadini, esempi per grandi e piccini – proposti dalla DC Comics. La copertina del primo numero di Fantastic 4 presentava gli eroi, anche dal punto di vista grafico, come secondari, piccoli, persino indifesi rispetto al fantasmagorico mostro che occupava il centro dell’immagine. E possibile, davvero, che una di loro dichiarasse la sua incapacità di usare i poteri che la rendevano speciale («non… non riesco a diventare invisibile abbastanza in fretta»)?
Peggio ancora, I Fantastici 4 neanche indossavano costumi, maschere. Non avevano identità segrete. E nel gruppo non c’era armonia anzi: spesso, anzi, i quattro litigavano tra loro. In una parola, prima che un gruppo di supereroi, erano una famiglia. Disfunzionale, eppure unita. Un gruppo di eroi imperfetti, ognuno con problemi personali e conflitti interni (ad esempio uno di loro, la Cosa, aveva grossi problemi di gestione della rabbia, diremmo oggi). Questo elemento umano veniva amplificato, per contrasto, dalla grandiosità delle ambientazioni fantascientifiche messe sulla carta da Jack Kirby, capace di costruire interi universi futuristico-lisergici e dare forma a personaggi e mondi che ancora oggi affascinano milioni di lettori.

Sulle pagine di Fantastic 4, in un decennio circa Lee e Kirby hanno tenuto a battesimo, tra gli altri, personaggi come il Dottor Destino, Galactus, Silver Surfer e gli Inumani, all’interno di storie che spaziavano dalla fantascienza all’avventura, dalla mitologia alla critica sociale. La serie è stata il laboratorio creativo che ha influenzato tutto l’universo Marvel – e l’immaginario occidentale di conseguenza. Tutto a partire da quel decennio cruciale, i Sessanta.

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Stan Lee, la biografia

Nerd 3.0 24.01.2023, 15:40

Quale altro momento storico avrebbe potuto mostrare le ferite dietro al volto impassibile degli eroi, o l’infelicità dietro la facciata di una famiglia che viveva in un attico nel centro di Manhattan, con tutte le comodità che la tecnologia poteva offrire (comprese alcune che andavano ben oltre le possibilità della borghesia dell’epoca, tipo le automobili volanti)? Quale avrebbe potuto raccontare di un gruppo di americani che cerca di conquistare lo spazio (Yuri Gagarin aveva portato la bandiera sovietica tra le stelle solo poche settimane prima dell’uscita del primo numero di Fantastic 4) e che, nel farlo, finisce per essere colpito dal pericolo radioattivo (che peraltro tornerà ad allungare la sua ombra sulle origini di Spider-man e, in modo ancora più chiaro, su quelle di Hulk)?

Non c’è da stupirsi se nel 1965, a quattro anni dalla prima uscita di Fantastic 4, media e cultura – anche alta – avevano cominciato a prendere nota dell’esistenza e dell’importanza dei fumetti Marvel. Proprio i Fantastici 4 erano citati in lezioni universitarie (anche di fisica, alla prestigiosa Cornell University), Stan Lee riceveva regolarmente richieste per tenere conferenze nei campus. Il Village Voice sottolineava quanto la sottocultura beatnik amasse i supereroi («I fumetti Marvel sono i primi della storia in cui anche un post-adolescente in cerca di evasione può immedesimarsi, perché evocano, anche se a volte solo metaforicamente, il mondo reale»). Il poeta beat Michael McClure inseriva un monologo tratto da Doctor Strange nella sua opera teatrale The Beard. E poi, naturalmente, c’era la pop art: Paul Morrissey, Andy Warhol, ma soprattutto Roy Lichtenstein (che riprese direttamente, in un suo dipinto, una vignetta degli X-Men di Jack Kirby).

L’elenco potrebbe continuare, ma il succo è: i Fantastici 4 sono un ganglio fondamentale della cultura popolare del Novecento. Lee e Kirby non ci sono più, ma in quei primi mesi dei Sessanta, guardando nel baratro del possibile fallimento professionale e artistico, sono riusciti a creare un’opera straordinariamente persistente, capace di riassumere un’epoca intera.

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