Letteratura

I piccoli piaceri secondo Francesco Piccolo

Il valore delle piccole cose è la vera essenza delle cose stesse, perché la somma di queste piccolezze contribuisce a costruire la nostra intera quotidianità

  • 20 aprile, 17:19
Francesco Piccolo
Di: Anna Mezzasalma

I piccoli piaceri della vita, quelli che Francesco Piccolo chiama “momenti di trascurabile felicità”, sono per lo scrittore casertano un modo di contrapporre la vita quotidiana all’eccezionalità.

E sul tema se ne intende. Non per niente è l’autore di una trilogia interamente dedicata a questi “Momenti trascurabili”, con l’ultima uscita per Einaudi intitolata proprio così e pubblicata dopo “Momenti di trascurabile felicità” e “Momenti di trascurabile infelicità”.

“Nel corso di una vita, le grandi felicità e le grandi infelicità ci sono ma sono rare – ci spiega l’autore e sceneggiatore durante il nostro incontro – ed è come se la vita ci chiedesse di vivere in attesa dei traumi o delle grandi gioie, mentre invece nella vita quotidiana, nella singola giornata, ci sono una enorme quantità di momenti che danno una felicità concreta: una felicità piccola ma sostenuta, che arriva ogni giorno, che è sempre abbordabile e sempre verificabile, e che oltretutto riguarda non tanto i grandi temi della vita ma i propri piaceri individuali personali. Come la tua merendina preferita a colazione o camminare per strada ascoltando musica”.

Quando abbiamo proposto a Piccolo un intervento sul tema “Domenica”, a cui era dedicata una puntata di Cliché, è sembrato divertito, dichiarando subito come ci fosse molto da dire su quello che più che un giorno della settimana è un momento chiave nelle nostre routine, uno stato mentale e uno stile di vita allo stesso tempo.

Vincitore del Premio Strega 2014 con “Il desiderio di essere come tutti”, Francesco Piccolo salta tra letteratura e cinema raccontando storie leggere, spesso comiche, ma mai banali, dove il quotidiano diventa sempre emblematico. Passando da film come “My name is Tanino”, “Paz!” e “Ovunque sei” (tra le poche non commedie) ai suoi libri (tra cui “Allegro occidentale”, “E se c’ero dormivo”, “Storie di primogeniti e figli unici”), l’autore si mostra sempre più interessato al racconto che al genere, a evidenziare con immagini chiave più che a spiegare. E così fa con noi, nel suo personale racconto, sempre a partire dall’osservazione dei piccoli vizi, delle minime manie, delle confortanti abitudini che ognuno sente solo sue ma che in realtà ci accomunano tutti.

“Se devo pensare cos’è un momento insignificante che però acquista significato, almeno nella mia esperienza, fin da quando ero bambino, è il varietà televisivo, è la televisione. Penso ad esempio al Festival di Sanremo”. Si accende al ricordo di infanzia di se stesso bambino, sul divano, in pigiama, in compagnia della famiglia. “Penso a quell’intrattenimento che faceva strabuzzare gli occhi per i balletti, per le gare di canto, per le mitiche figure di spettacolo come Mina o Celentano. Il varietà nel suo essere leggero (e non insignificante) racconta il costume di un Paese”, proprio perché diventa rito collettivo, aggiungiamo. Unisce tutti, nello stesso momento, davanti allo stesso schermo, passando dall’essere vezzo a diventare davvero significativo proprio per la ripetitività che assume il valore di un rituale.

Il valore delle piccole cose non è un luogo comune, anzi è la vera essenza delle cose stesse, perché è la somma di queste piccolezze che contribuisce a costruire la nostra intera quotidianità. E forse è questa la chiave di lettura che accomuna la visione di Francesco Piccolo in tutte le sue creazioni, dai libri alle sceneggiature che ha firmato per cinema e tv. Quelle storie fatte di normalità, quei racconti che accendono i riflettori sulle dinamiche di tutti i giorni, e che proprio per questo diventano delle storie universali.

“La felicità è senz’altro volatile, per fortuna anche l’infelicità è volatile. Io credo che sia assolutamente volatile – ci confida Francesco – ma credo che sia necessario aggrapparsi a quelle piccole felicità perché quelle sono abbastanza costanti, anzi sono la maniera di lottare contro l’infelicità quando si è malinconici, nostalgici o tristi. Anche quando capita la cosa più eclatante per noi: il lutto. La ricostruzione della vita dopo il lutto, che è doloroso e genera infelicità gigantesca, non è fatta di grandi eventi ma è ritrovare la misura delle cose, di alcuni piccoli piaceri dentro la propria esistenza, e che pian piano ricostruiscono la vita di una persona”.

E nella domenica questa verità si amplifica. La domenica innanzitutto non è una giornata come le altre. Qui, in questa parentesi fuori dallo spazio e dal tempo del solito tran tran, vengono rimandati tutti i buoni propositi della settimana, tutti i progetti da recuperare, salvo poi renderlo il momento sospeso del dolce far niente. E forse per questo i piaceri che caratterizzano la domenica non solo diventano rituali, a cui dispiacerebbe persino non poter prendere parte, ma assumono un valore iconico. O per lo meno così sembra dal racconto del nostro ospite di uno dei momenti imprescindibili della domenica: il pranzo in famiglia.

“Io ho vissuto delle domeniche e soprattutto dei pranzi della domenica completamente diversi dagli altri perché la mia famiglia era proprietaria di un ristorante, per cui la domenica nella mia famiglia era un giorno lavorativo, anzi il più lavorativo. Questo per me era un tormento: tutti gli altri vivevano il pranzo della domenica, e noi al ristorante dovevamo mangiare presto, di fretta per poi andare a servire gli altri. Questa cosa l’ho risolta andando nelle famiglie degli altri, ospite da amici, fidanzate… e finalmente godendomi questa idea di pranzi esagerati, dove la cosa più importante è il bis: se non mangi un piatto due o tre volte vuol dire che non hai apprezzato abbastanza. Quindi mangi per educazione: stai male per dire che stai bene. E proprio perché li ho scoperti tardi, questi pranzi così iconici, mi sono sempre sembrati ancora più mitici”. Un vero piacere, più o meno piccolo.

Francesco Piccolo

Cliché 10.04.2024, 21:55

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