Sabato 13 settembre verrà assegnato a Venezia il Premio Campiello, tra i più importanti riconoscimenti della letteratura italiana. Il settimanale radiofonico letterario di Rete Due Alice ha ospitato i cinque scrittori finalisti in altrettante interviste, che qui riproponiamo nella versione integrale. Dopo quelle con Fabio Stassi, Alberto Prunetti e Wanda Marasco, è il turno di Marco Belpoliti, autore di Nord nord (Einaudi).
L’attività di scrittore di Marco Belpoliti, negli ultimi anni, ha preso spesso la forma del viaggio. Nord Nord arriva dopo Pianura, che raccontava quella Padana come territorio e come crocevia di storie. Ovvio che Belpoliti abbia iniziato da lì: è di Reggio Emilia, vive a Milano. Poi però il viaggio è continuato: dal Nord semplice al Nord nord, che sta un po’ più su.
«Avevo ancora delle cose da raccontare – dice Belpoliti – e quindi ho ricominciato a scrivere. Alcune erano già nell’aria da tempo, alcuni ritratti erano già stati schizzati precedentemente… quindi ho continuato questo racconto, biografico e autobiografico, attraverso altri luoghi».
“Nord nord”
Alice 06.09.2025, 14:35
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Michele R. Serra: Possiamo dire che ormai abbia messo a punto una formula consolidata, per questo tipo di racconto? Come è stato costruito questo mix di incontri, aneddotica, storia, autobiografia…
Marco Belpoliti: Ovviamente lavoro su un piano che ho già da tempo, però la formula è venuta scrivendo. Non c’era, a priori. Il primo problema quando si scrive un libro è trovare una voce, e questa voce è saltata fuori spontaneamente: inizialmente era in prima persona, poi ho provato a riscrivere il primo capitolo usando il tu. È venuto fuori un ritmo diverso. Ogni volta provo a costruire, attraverso appunti, idee, progetti… Insomma, il libro nasce scrivendo: c’è un piano, ma poi dal piano si varia.
Visto che si parla di Nord nord, incontriamo anche la Svizzera italiana: c’è l’incontro con Guido Ceronetti a Lugano; c’è Ignaz Venetz, l’ingegnere del Vallese che studiò i ghiacciai. E poi c’è il capitolo sulle clandestine di Chiasso, che non sono persone, ma piante.
Naturalmente è un gioco, che riprende uno studio che avevo letto anni fa e che mi aveva molto colpito: parla della diffusione delle piante attraverso il passaggio dei treni, di semi che possono nascere e fruttificare nel sedime ferroviario. Sono per destino piante clandestine, come quelli che varcano i confini senza avere il permesso, e sono arrivate fino a noi. Piante anche esotiche sono state classificate, disegnate, descritte in questo bellissimo libro che racconta questa flora ferroviaria.
Mi sembrava molto interessante: i treni passano e varcano i confini, portano le persone e in questo caso portano anche dei vegetali… su quello ho provato a ricamare a raccontare, riprendendo anche una poesia di Fabio Pusterla, poeta che conosco da anni e che ammiro.
“Nord nord” di Marco Belpoliti, Einaudi (dettaglio di copertina)
La contemporaneità, forse, ci ha fatto perdere il contatto con i luoghi che abitiamo: dopo internet e la globalizzazione, gli anziani al bar sotto casa mia parlano di calcio, ma anche di Trump… C’è questo pericolo?
I luoghi spesso non conservano la memoria. Sul luogo, mettiamo, di un eccidio fascista o nazifascista, c’è una targa. Ci sono questi segnali di memoria, che sono stati posti dopo… Ma se non ci fosse niente? Quel luogo non racconterebbe più la storia di quelle persone morte, o torturate o che hanno subito delle violenze. Quindi il mio lavoro è anche quello di suscitare memoria nei luoghi che non ce l’hanno.
Però allo stesso tempo so anche che l’oblio è necessario, cioè esiste un equilibrio difficile tra memoria e oblio: troppa memoria pesa, e non fa procedere oltre, anche nei conflitti che esistono. Come faremo a cancellare la memoria di Gaza, la memoria di quello che è successo dal 7 ottobre in poi? Sarà difficilissimo. Ma i popoli non possono convivere, se non riescono a trovare un equilibrio tra memoria e oblio.
Tutti spezzano delle lance a favore della memoria, io ogni tanto cerco di spezzarne qualcheduna a favore dell’oblio. Del resto, anche nelle relazioni umane, se non si dimentica qualcosa della persona con cui si vive e che si ama, dei figli… insomma, se non si dimentica un po’ non si riesce a stare insieme, si finisce per litigare, per confliggere, per dividersi, per armarsi gli uni contro gli altri. Il mio è un esercizio di memoria, ma un esercizio di memoria anche lieve, leggero, non insistito e soprattutto non ideologico. È molto narrativo.
Marco Belpoliti racconta la sua Pianura
Diderot 02.02.2021, 17:40
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Questo è un libro che si può scrivere anche a trent’anni, o che si scrive meglio a settanta?
Io a trent’anni in effetti ho scritto altri libri, diversi, e a questo non ci avevo pensato. E certo, c’è un lavoro di stratificazione. Comunque, la realtà è che io circa trent’anni fa avevo fatto un contratto con Einaudi per fare un libro sulla Pianura Padana, che doveva essere un libro di narrazioni, di storie… forse c’era bisogno che le storie sedimentassero un po’. Ma credo che si possano raccontare anche senza necessariamente avere settant’anni.
Leggendo Nord nord, viene da pensare al rapporto con lo straniero che abbiamo noi che abitiamo questi luoghi. Cioè, per dirla chiaramente: quanto siamo razzisti?
Io vorrei usare un altro termine, perché razzismo è un termine molto connotato storicamente. C’è un altro termine, che è xenofobia. Gli italiani sono xenofobi non con i cosiddetti stranieri, ma con quelli che abitano al di là del fiume, dall’altra parte del torrente, al di là della montagna… la nostra storia è stratificata, complessa, lunga 3.000, 4.000 anni. Quindi c’è una memoria lunghissima, per cui il cosiddetto straniero è l’altro, che sia lo sconosciuto oppure il conosciuto che non si ama.
Io vengo da Reggio Emilia: Reggio era dentro il Ducato di Modena, e così verso Parma c’è una specie di piccola xenofobia… sono elementi della storia italiana. Non positivi, ovviamente, che però bisogna anche affrontare. C’è una diffidenza verso l’altro, è un fatto etologico, direbbe Primo Levi. E se lo dice Primo Levi, mi sento autorizzato a dire che questo è un tema vero. Che non possiamo sempre, come dire, ignorare i conflitti: bisogna trovare le soluzioni per risolverli, ma affrontare a occhi aperti le questioni. La xenofobia fa parte della cultura, anche di quella italiana. È un elemento spurio, è un elemento negativo… ma esiste, e ignorarlo è un errore.