C’è qualcosa che infastidisce in Thoreau. Non tanto per ciò che dice, ma per quello che non dice. Per il modo in cui si sottrae. Per il gesto netto con cui si tira fuori dal gioco, senza chiedere il permesso. Walden, la sua esigua opera maggiore, non è una fuga, ma una provocazione. Un invito a disertare il superfluo, a sottrarsi al ritmo imposto, a vivere con radicale attenzione. E questo, oggi, è insopportabile. Perché non si lascia addomesticare. Perché non si presta a nessuna delle narrazioni dominanti.
Thoreau è amato da destra e da sinistra. È citato nei manifesti ecologisti e nei pamphlet della destra libertaria, individualista e survivalista. È invocato come profeta della disobbedienza civile e come teorico dell’autosufficienza. Questa ambivalenza non è una debolezza. È la prova che il suo pensiero non si lascia chiudere in una formula. Non offre soluzioni. Non consola. Apre domande.
Viviamo in un tempo che celebra l’impegno, la produttività, la presenza costante. Il ritiro, la lentezza, la contemplazione sono visti con sospetto. Chi si ferma è accusato di disinteresse. Chi si sottrae è tacciato di privilegio. Eppure, Thoreau ci dice che proprio nel sottrarsi c’è una forma di partecipazione. Che il silenzio può essere più eloquente del clamore. Che la distanza può essere più politica della militanza.
Non è facile accettarlo. Perché ci siamo abituati a pensare che il cambiamento passi solo dall’azione visibile, dalla protesta, dalla dichiarazione. Ma Thoreau ci ricorda che esiste anche un’altra via: quella dell’attenzione. Del camminare senza meta. Del guardare un albero come fosse un interlocutore. Del vivere senza possedere.
La sua scelta non è una fuga, ma una forma di resistenza. Non contro la società in sé, ma contro le sue distorsioni: il consumo compulsivo, la distrazione permanente, l’illusione della crescita infinita. Thoreau non si ritira per egoismo, ma per ritrovare un centro. Per ricostruire un rapporto con il mondo che non sia predatorio.
Sulla soglia del bosco
Laser 24.08.2017, 09:00
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Eppure, il suo gesto irrita. Perché ci mette di fronte alle nostre contraddizioni. Perché ci chiede conto delle nostre dipendenze, delle nostre giustificazioni, delle nostre rinunce mascherate da necessità.
Thoreau ha cercato di vivere secondo ciò che sentiva vero. E questo basta per renderlo attuale. Non serve condividere ogni sua scelta. Basta lasciarsi interrogare. Perché in un mondo che ci spinge a desiderare ciò che non ci serve, la sua voce ci invita a desiderare ciò che ci manca davvero: tempo, silenzio, relazioni, intensità. Perché in quel gesto di attenzione, in quella vigilanza che non si fa violenza, c’è ancora qualcosa da salvare. E forse, oggi più che mai, abbiamo bisogno di quella voce che ci invita a guardare meglio, a sentire di più, a vivere con più intensità. Anche se ci mette a disagio. Anche se ci costringe a fare i conti con noi stessi.