Che Dino Buzzati fosse un grande scrittore avreste potuto dirlo a chiunque. Ma magari non a lui.
Perché lui, negli occhi, con le mani e nel cuore, era soprattutto pittore.
Lo sentiva, lo sapeva e – ogni tanto – cercava pure di farlo presente: «Dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa». O, se non fosse ancora chiaro, «io mi trovo vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista». Capito?
Una passione antica, infantile, letteralmente bombardata nel momento in cui avrebbe potuto, o voluto, conficcarsi nel futuro di Dino. Quando, nel corso della Seconda guerra mondiale, anche casa sua fu investita dalle tonnellate di piombo piovute su Milano, distruggendo qualsiasi tela, disegno o bozzetto. Un vero e proprio lutto durato quasi vent’anni. Fino a quando, a inizio anni ’60, sulla sua scrivania tra penne, taccuini e sigarette tornarono i pennelli. Per non andarsene mai più.
Buzzati, Il Duomo di Milano, 1958
Tutto Buzzati parla per immagini e risponde a un immaginario, il suo. Certo La famosa invasione degli orsi in Sicilia, vissuto e rivissuto insieme a Lorenzo Mattotti, ma pure Bàrnabo delle montagne (1933), Il deserto dei tartari (1940), Sessanta racconti (1958)… Dipinti a parole, non a caso spesso racchiusi in poche pagine, quelle utili e sufficienti ad incorniciare un racconto, formato amato, percorso e spremuto dal genio bellunese.
Per Buzzati il (di)segno valeva un aggettivo, un sostantivo o un nome proprio di persona. A volte un universo intero. A inciderlo, nella passione, nella cura e nell’attenzione per il tratto, fu un viaggio in Giappone.

A casa di Dino Buzzati
RSI Archivi 28.03.1968, 15:48
Nel 1963 il Corriere della Sera lo spedisce dall’altra parte del mondo per raccontare agli italiani quel mondo lontano che un anno dopo avrebbe accolto le Olimpiadi (Tokyo ’64). Buzzati ci va, osserva, racconta e assorbe. Il sistema di scrittura giapponese, occidentalmente o accidentalmente inteso come «grafia», lo affascina e esalta. È in quella direzione che ha sempre guardato ed è in quella direzione che – tornato a Milano – riporta il suo dire e il suo fare. Pittura e disegno tornano al centro del suo pensiero e del suo esprimersi, tanto che pure la firma diventa dipinto, battezzando quel «Dino Buzzati» pennellato con cui, da quel momento, firmerà le sue opere.
Dino Buzzati, "Poema a fumetti", ed. Mondadori (dettaglio di copertina)
Dino Buzzati inizia a parlare di Poema a fumetti alla Mondadori – con cui ha un contratto in esclusiva – nel 1965. A due passi da casa sua nasce linus, Gandini, Eco e Del Buono discutono sull’importanza molto seria del frivolo Charlie Brown, su pagine dedicate a un pubblico adulto vivono e convivono Braccio di ferro, Al Capp e Krazy Kat. Lui, Buzzati, ha in testa quel qualcosa che una decina d’anni dopo Will Eisner avrebbe (auto)battezzato graphic novel: un romanzo grafico, disegnato. Per Mondadori è un prodotto senza fissa dimora, che non sta in nessuno scaffale, indefinibile e quindi – probabilmente – invendibile. La discussione si allunga per quattro anni, fino al 1969, quando – esausta? – la casa editrice milanese decide di accontentarlo e dare Poema a fumetti alle stampe. Già, ma come? Come si stampa un romanzo che per metà è illustrazioni? Dove? A Verona, dove Mondadori stampa Topolino. E il risultato conferma la genesi: non sapevano cosa avessero per le mani! Nessuna correzione di bozze dell’autore, le sue note sul lettering ignorate, allineamenti ribaltati, gli a capo gestiti casualmente. Di lì a breve Buzzati torna da Garzanti, la casa editrice del chimico – Aldo – che acquistò l’ei fu Fratelli Treves, costretta a cedere la proprietà dalle leggi razziali. E con Garzanti, nel 1971, pubblica I miracoli di Val Morel.

I Miracoli di Val Morel, 1971 (nuova edizione Mondadori, 2022)
I miracoli di Val Morel è il libro con cui Buzzati saluta i suoi lettori poco prima di salutare questo mondo. Con l’appiglio letterario di un fantomatico manoscritto ritrovato, tra appunti di papà, santuari spariti e custodi con la memoria lunga, lo scrittore e pittore disegna e racconta i trentanove (mai avvenuti) miracoli compiuti da Santa Rita da Cascia in Val Morel, a cui dedica 39 ex voto. Tra penna e pennelli, citazioni storiche e fantascienza, Buzzati costruisce un perfetto saluto a capitoli, tutti insieme e ognuno per sé. Di nuovo racconti, di nuovo illustrati. E lo fa affidandoli alla Santa dei casi disperati, la Santa degli impossibili, che Buzzati arma di scopa e superpoteri laici, vestendola da ombrello per la valle (La Balena Volante) o da tappo per una bottiglia di whisky (La Bottiglia), facendole tirare la coda a un lupo (Cappuccetto Rosso) o volare al comando di palazzi armati (I marziani).
I miracoli di Val Morel sono Dino Buzzati giornalista, scrittore e pittore. Sono cronaca e fantasia, Storia e folklore, territorio e galassia, religione e laicità. Sono il suo buffo e profondo addio, la fine provando a ripartire da capo. Sono il ritorno a casa, sono di nuovo Belluno dopo Milano, sono le rocce dolomitiche de La Piazza del duomo di Milano – forse il suo dipinto più celebre – a ruoli invertiti. Sono cime e boschi, pioggia e vento, bisce e gatto mammone. Sono la favola dell’infanzia, capace in una pagina scarsa di far paura quanto la morte. Sono la sua ultima partita, l’ultimo «caso disperato» – o impossibile – da affidare a Santa Rita. Come raccontano le copie custodite dall’Associazione Internazionale Dino Buzzati, l’8 dicembre 1971, giorno del quinto anniversario di matrimonio, Dino Buzzati scrive un biglietto alla fioraia Anna Maria; le chiede se verso le 10:30 può far mandare a casa «un bel cesto di bellissimi fiori» per la sua Almerina. I fiori di Anna Maria sono bellissimi davvero e poco dopo in bottega arriva un libro, con dedica: «Cara Signora Anna Maria, i suoi fiori, la sua lettera così gentile sono stati una cara sorpresa. La casa è tutta profumata. Non sappiamo come ringraziarla. Ma almeno questo libretto le porti i nostri più affettuosi auguri di Buon Natale. Dino e Almerina Buzzati».
Quel libretto è I miracoli di Val Morel e il pomeriggio di quell’8 dicembre Buzzati entra nella clinica di Milano La Madonnina, da cui non uscirà più. Morirà poco più di un mese dopo, il 28 gennaio del ’72. Nessun miracolo, fine del racconto.
Archivi del '900: Dino Buzzati
Diderot 13.03.2019, 17:05
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