Letteratura

La ferita di non essere stato amato

C’è molto di più del machismo televisivo: la confessione di Mauro Corona, bambino fragile

  • 6 marzo, 11:50
  • 15 marzo, 10:34
Mauro Corona

Mauro Corona

  • Facebook
Di: Red./Cava.

«La mia vita è stata sempre una fuga, finché mi sono trovato nell’angolo: quindi sono saltato addosso ai mostri della mia vita, del mio pensiero, delle mie paure, insicurezze. Io sono stato perseguitato sempre da mostri che mi volevano prendere e quindi ho cercato di ottunderli, di nasconderli, di tenerli lontano, scrivendo, arrampicando, anche facendo sbornie colossali per tutta la vita. Oppure scolpire. Io ho fatto delle cose non per una carriera, ma per non pensare chi sono e perché».

Sono parole che non si immaginano sulla bocca di Mauro Corona, il montanaro in canotta con muscoli in prospicienza, eppure sono parole che rendono giustizia e spessore a uno uomo che ha fatto della scrittura un’arma terapeutica per superare la propria crisi esistenziale. È questo quanto si evince dalla bella intervista curata da Alessandro Bertellotti e andata in onda in Laser il 6 marzo 2024 (RSI, Rete Due)

Salvare e raccontare la memoria

Laser 06.03.2024, 09:00

  • Imago

Continua Mauro Corona: «Ecco perché io non mi piaccio, non tanto per i miei difetti, che sono una gran parte della mia vita, ma non mi piaccio per quello che non ho ricevuto da bambino. C’è un bel libro, di cui non ricordo l’autore, che si intitola “La ferita dei non amati”. Tu non puoi mettere al mondo figli e lasciarli senza mangiare, picchiarli, legarli al palo. Mio padre ci legava un palo. Mi sono sentito inopportuno nell’esistenza umana. Io non dovevo esserci e questo me lo porterò nella tomba. Ho cercato di risolvere, come ho detto poc’anzi, con scrivere, leggere, soprattutto scolpire tronchi, scalare le montagne (...). Ma non ho risolto nulla, ho solo attenuato il pensiero di non volere esistere in questo mondo».

Il calmierante per Mauro Corona sono stati i figli, che lo hanno indotto a volersi bene, per cercare di volerne a loro. E poi, come già accennato: la scrittura, la lettura, le scalate, il bosco, la montagna... Quello che più colpisce, in questa confessione di Mauro Corona , non è tanto la sua volontà testimoniale (ovvero quella di essere il testimone che ricorda un mondo perduto, l’abbandono dei monti, o una tragedia consumata, come quella del Vajont, o una disfatta epocale, come quella della rottura dell’antica alleanza con la natura), quanto piuttosto la sua verità intima, che si annida nelle viscere e che si porterà fino alla tomba: ovvero quella di essere stato un figlio accaduto, non voluto, non amato. Un figlio consegnato alla sofferenza della vita e che ha trovato nella scrittura un alleato per uscire dall’inferno:

«Si scrive per vari motivi. Per esempio Brodsky diceva che si scrive (…) per salvare qualcosa, la propria dignità personale, la propria cultura. Cechov diceva che si scrive perché abbiamo sbattuto il naso, ce lo siamo fracassato. Antonin Artaud, ed è con lui che mi trovo meglio, che nessuno ha mai scritto, scolpito, dipinto, fatto musica –e io aggiungo, bevuto, cantato– se non per uscire di fatto dall’inferno».

E questo inferno deriva dall’infanzia: «Noi non siamo nati per amore, siamo accaduti. Io e i miei fratelli siamo stati incidenti di percorso. Mio padre, mia madre hanno messo al mondo gente che è stata male non solo per le loro percosse, le loro. Mio padre, che era un violento l’abbandono, ma è stata male esistenzialmente. Io non sono un uomo felice, sono un uomo se cerco di essere tranquillo, pacifico, ma felice no. (...) Ci sono due DNA. Quello che erediti dai genitori lo possono riportare ai nonni e bisnonni. E poi c’è un DNA importantissimo, forse più dell’altro, che te lo crea quello che ti è accaduto da bambino».

Questa, dunque, è la verità intima della scrittura di Corona, cui si aggiunge ovviamente la rilevanza culturale, che tutti gli riconoscono, ovvero quella di produrre una scrittura testimoniale e memoriale, sulla scia di Levi e Rigoni Stern. Ma questo, solo in seconda battuta: «Io ho scritto anche per salvare una memoria, perché un libro deve anche essere una scheda tecnica».
                

Mauro Corona: l'uomo di legno

RSI Archivi 26.02.2024, 15:30

Ti potrebbe interessare