La musica può diventare una vera alleata del nostro benessere cognitivo, soprattutto con l’avanzare dell’età. Numerosi studi lo confermano: l’ascolto attivo, lo studio di uno strumento e la pratica musicale (anche condivisa) hanno effetti positivi sulla memoria, sull’attenzione, sull’umore e persino sulla plasticità cerebrale. Le attività musicali, infatti, non si limitano a un beneficio emotivo: suonare, cantare o semplicemente partecipare attivamente a un’esperienza musicale può contribuire a mantenere vive e attive le connessioni neuronali e a contrastare l’isolamento sociale, uno dei fattori di rischio più significativi per il declino cognitivo.
Voi che sapete ne parla con Daniela Perani, professoressa emerita di neuroscienze all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e con Luca Medici, musicista e direttore della Scuola di Musica del Conservatorio della Svizzera italiana.
L’ascolto della nostra musica preferita suscita emozioni e queste, a livello neurochimico, inondano il nostro cervello di dopamina e serotonina, con effetti piacevoli. Tuttavia per favorire la plasticità del cervello questo non basta, fa notare Perani:
«La musica agisce sul nostro cervello se praticata con un certo sforzo. Cosa voglio dire? Apprendere a suonare uno strumento anche in età adulta o più avanzata ma soprattutto cominciando da bambini.
Questo crea dei miglioramenti nei sistemi di connessione cerebrale impressionanti, che hanno effetti sia nell’infanzia sia nell’età adulta, sia dopo. Quindi significa imparare, accedere alla musica oppure avere un rapporto stretto, quindi capirla nel senso di approfondirla, percepirla in modo cognitivamente, culturalmente elevato. Questo crea plasticità? Certamente. Aumentano i dendriti, che sono quelle piccole connessioni dei nostri neuroni. Aumenta quindi la creazione di questi legami cerebrali che persistono nel tempo, perché la plasticità persiste. Quindi si vedono questi aumenti, si vedono con le neuroimmagini anche aumenti della connettività, la forza dei circuiti che migliorano e alla fine un rapporto diretto col miglioramento cognitivo».
Ai corsi del Conservatorio si notano sempre più iscritti in età avanzata. Medici conferma:
«Sì è così. È un trend che riscontriamo da alcuni anni. Arrivano proprio con questa esigenza di di rimettersi un po’ in gioco, di attivare delle cose che probabilmente hanno paura di perdere. E la testimonianza è anche nel fatto che, per esempio a livello di master in pedagogia, sempre più studenti dedicano questo loro lavoro finale all’attività di insegnamento agli adulti e alla terza età».
I superpoteri della musica
Il giardino di Albert 25.01.2025, 17:00