Musica lirica

Fortunato Ortombina, la Scala come una casa

Il nuovo direttore artistico del teatro milanese su nuova stagione, la scelta di un autore russo per la Prima e futuro dell’opera, che vede roseo

  • 9 luglio, 11:01
  • 10 luglio, 15:29
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Fortunato Ortombina, foto del Teatro alla Scala

  • © Teatro alla Scala
Di: Luisa Sclocchis/Red. 

Dal mese di febbraio di quest’anno è alla guida del “tempio italiano dell’Opera”. Fortunato Ortombina arriva al Piermarini dove ricopre il prestigioso ruolo di Sovrintendente e Direttore artistico della Fondazione Teatro alla Scala, dopo una rilevante serie di esperienze che lo vedono coinvolto negli organigrammi di diverse fondazioni lirico-sinfoniche. Tra queste: Assistente musicale della Direzione artistica del Teatro Regio di Torino dal 1997 al 1998; Segretario artistico della Fondazione Teatro San Carlo di Napoli dal 1998 al 2001; Direttore della Programmazione artistica della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia dal 2001 al 2002 e Coordinatore della Direzione artistica della Fondazione Teatro alla Scala di Milano dal 2003 al 2007. Infine, dal gennaio 2007 è direttore artistico del Teatro La Fenice e dal novembre 2017 ne diviene anche Sovrintendente. Una serie di incarichi che ne fanno certamente un solidissimo riferimento nell’odierno mondo operistico, musicale e teatrale. Lo abbiamo incontrato per domandargli di questa nuova avventura scaligera e della prima stagione di sua firma, quella 2025/26.

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Al Teatro alla Scala, il nuovo corso firmato Fortunato Ortombina

Musicalbox 08.07.2025, 16:35

  • © Teatro alla Scala
  • Luisa Sclocchis

La stagione 2025-26 è la prima a recare la sua firma. Punti di forza di questa programmazione?

«A onor del vero è una stagione che per l’80% ho ereditato da Dominique Meyer, ma che, come ho detto, non amerò meno che se l’avessi fatta io […] Ciò nonostante ci trovo dei notevoli punti di forza, perché innanzitutto è una stagione che ha tanti tratti della storia di Milano, a partire dalla Lady Macbeth di Šostakóvič […] un titolo che ci riporta ad anni di incredibile vicinanza tra Milano e il mondo della Russia. Pensi che qui, negli archivi, c’è la copia di una lettera che il direttore artistico della Scala alla fine degli anni ‘50 inviò a Šostakóvič perché si sapeva, dall’intelligence di tutte le fitte relazioni che c’erano fra il PCI e il PCUS, che Šostakóvič era a casa e che stava rimettendo mano a quest’opera che aveva scritto negli anni ’30, e che era stata bandita. E c’è proprio una spy story attorno a questa cosa qui, che hanno imbastito per cercare di avere la prima rappresentazione di questa versione alla Scala».

Cosa risponde alle perplessità sollevate da alcuni circa un’apertura di stagione, il prossimo 7 dicembre, affidata alla Lady Macbeth di Šostakóvič?

«Io ritengo che l’arte sia assolutamente sovrana rispetto a problemi di passaggio che alcuni paesi possono avere, come adesso la Russia col resto dell’Europa. Quindi da questo punto di vista non credo assolutamente che si debba fermare niente. Trovo assurda ogni posizione che dice che bisognerebbe bandire la musica russa o cose di questo genere. Poi c’è un essere casa della Scala, casa per tutti i milanesi e per tutti quelli che non sono di Milano, che vengono qui per la Scala. E ogni volta che si viene qui si ritrova la storia, e la letteratura russa ha una storia incredibile in questo teatro […] Quindi nessun pregiudizio di tipo ideologico da questo punto di vista, ma nemmeno nessuna riserva sull’opera, perché questa proposta che farà il Maestro Chailly mi trova assolutamente d’accordo».

Dal 2027 Myung-Whun Chung succederà a Riccardo Chailly nel ruolo di direttore musicale. Come si prefigura questa collaborazione?

«I rapporti fra me e il Maestro Chung sono nati qui alla Scala, quando lo convinsi a dirigere Madama Butterfly. E quindi è un incontro che ha segnato molto il mio rapporto con lui, che poi è continuato in tutti gli anni in cui sono stato a Venezia. Sempre in un profondo segno della musica italiana, in modo particolare di Verdi [...] E in questo il maestro Chung devo dire, seppure non nato in Italia, per quello che riguarda Verdi lo considero il più italiano fra tutti quelli che conosco».

In conclusione, come vede le prospettive dell’opera?

«Fra 500 anni l’opera sarà più diffusa di adesso. Si stanno costruendo teatri d’opera in paesi dove non ci sono mai stati, questo è il punto la forza del messaggio di portata universale che c’è nei grandi capolavori di Verdi e di Beethoven, di Puccini e di Bellini, che è quello che ci deve ricordare ogni volta che sentiamo una prova, ogni volta che sentiamo un vocalizzo, ogni volta che stiamo cercando uno sponsor, che abbiamo a che fare con una materia viva e che sta nel cuore della gente in maniera ormai assolutamente naturale».

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