Possono 5 minuti e 56 secondi cambiare la storia della musica popolare del ‘900? Sì, d’altronde era già successo anni prima e succederà ancora. Riformulo: può una canzone di quasi 6 minuti, composta da 5 parti sulla carta inconciliabili, modificare il corso della storia, diventare la canzone incisa più ascoltata del XX secolo - il cui testo, peraltro, non è chiaro neppure ai musicisti che la suonarono - infrangere diversi record e tornare ai vertici delle classifiche anche negli anni ‘90 e nei 2000 inoltrati (grazie al biopic del 2018 diretto da Bryan Singer e Dexter Fletcher)? La risposta è sempre sì.
Una canzone scritta sugli angoli di una rubrica telefonica, la cui migliore cover (ovvero quella più amata) è considerata quella dei Muppets. Una canzone senza ritornello, che solo per registrare l’interludio operistico necessitò di una settimana mentre la parte corale richiese 180 tracce di sovraincisioni vocali. Freddie cantava il registro centrale, Brian May quello basso, Roger Taylor l’alto. Mentre per l’iconico video, uno dei primi a definire il nuovo linguaggio dei videoclip musicali, ci vollero solo quattro ore e 4’500 sterline.
Sono ovviamente questioni che raccontano, ma non spiegano, il successo e la portata planetaria di una canzone epocale, capace di attraversare tempo e spazio. Affascina, ipnotizza ancora oggi - e non poco. Festeggia il 50° anniversario dalla pubblicazione, oltre a raggiungere i 2 miliardi di streaming su YouTube. La canzone è, ovviamente, Bohemian Rhapsody, la quale deflagrò contro tutto e tutti: contro i pareri dei discografici, degli addetti ai lavori e le perplessità di qualche buon amico come Elton John, che sentenziò: «Ma state scherzando? Sei minuti di canzone nessuna radio la passerà mai!»
Ma il fato assunse le fattezze di un conoscente di Mercury: Kenny Everett, DJ di Capital FM. Ottenuta da Freddie stesso una copia del brano - con la promessa di non diffonderlo - la trasmise 14 volte in 48 ore, scatenando un’ondata di interesse e prenotazioni nei negozi di dischi del Regno Unito. Miglior viatico non poteva esserci per promuovere il loro nuovo, quarto album: A Night at the Opera.
Is this the real life? Is this just fantasy?
Voi che sapete... 29.10.2025, 16:00
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Bohemian Rhapsody è un brano che frullava nella testa di Freddie da tempo. Ne compose lo scheletro nella sua dimora di Kensington, inclusi gli elementi musicali, con l’intento di scrivere qualcosa che non si era mai udito prima: fondere, pare, almeno tre canzoni in una. Il primo titolo era “giocoso”, perché a Freddie non mancava certo l’ironia: Mongolian Rhapsody, un divertente riferimento alle Hungarian Rhapsodies di Franz Liszt. Magari ricordate Bugs Bunny in frac al pianoforte, mentre esegue la Rapsodia ungherese n. 2 nel cortometraggio del 1946 Rhapsody Rabbit, citando anche Figaro.
Ma poi: cosa significa questa canzone? Che c’entrano Scaramouche, Galileo, Figaro, Bismillah, Belzebù? Una maschera della Commedia dell’Arte, uno scienziato, Rossini, il Satanasso, il Corano? È forse, come molti sospettano, un “coming out” relativo alla propria omosessualità? Soprattutto quando Freddie canta «Mamma, ho appena ucciso un uomo» - ovvero il vecchio sé stesso, in una spicciola interpretazione psicoanalitica. Anche una frase come «Gotta leave you all behind and face the truth» («Devo lasciarvi tutti alle spalle e guardare in faccia la verità») sembra confermare questa lettura.
Chi può dirlo? Nessuno, credo. Mercury non amava analizzare le sue canzoni o i suoi testi, e lo dichiarò più volte: «Non amo spiegare cosa stavo pensando quando ho scritto una canzone. Preferisco che la gente ne dia una propria interpretazione, che ci legga ciò che vuole». A proposito di Bohemian: «Volevo creare qualcosa di diverso, qualcosa che nessuno avesse mai ascoltato prima». Il brano, in effetti, contempla un coro in apertura, una ballata, un’aria operistica, un segmento hard rock, un finale malinconico voce e piano - ed è, per giunta, una canzone senza ritornello.
Per molti, un’opera d’arte che ha infranto convenzioni, sfidato e superato alcune leggi della fisica, musicali e del marketing. Dal 2021 ha fatto il suo ingresso regale nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, giudicato «culturalmente e storicamente importante, in grado di riflettere il modo di vivere negli Stati Uniti». Ecco perché si è meritato un posto nel National Recording Registry.
La canzone, come sappiamo, “contiene moltitudini” anche dal punto di vista testuale. Ricca di citazioni e significati ermetici, è ancora oggi oggetto di dissertazioni. La sua registrazione fu complessa, avventurosa: sei settimane di lavoro in studio, un’eternità per una singola canzone. Gli studi utilizzati dai Queen furono molteplici, e leggenda vuole che ad ogni loro passaggio le scorte di nastri finissero.
Fino all’ultimo, le persone coinvolte nel progetto - musicisti inclusi - non avevano sentore del risultato finale. Tranne Freddie, ovviamente, che riusciva a coinvolgerli nel bizzarro progetto, gestendo anche qualche sfuriata dovuta alla stanchezza psicologica. Registravano con abnegazione e fatica, senza comprenderne la complessità totale. Lo confermò anche Roy Thomas Baker, il produttore. Ma si divertivano, giorno dopo giorno, ad affinare questa bizzarra canzone.
Si affidarono totalmente a Mercury: al suo genio visionario, alla creatività, alla cocciutaggine. Che, tra l’altro, utilizzò il pianoforte impiegato da Paul McCartney per incidere Hey Jude. A lui, sempre al vocalist, va anche il merito dell’iconico assolo di chitarra. Lo confermò Brian May stesso: «Freddie arrivò in studio con un nastro su cui aveva registrato la demo. Ci disse: “Ascoltate questo, cari. Credo che vi sorprenderà”. Lo registrammo in momenti diversi, tenendo come guida una linea vocale di Freddie Mercury sopra la quale abbiamo costruito le varie parti. Quando Freddie mi ha chiesto un assolo, gli ho detto che volevo cantare una strofa con la chitarra. Ed è quello che feci: cantai, suonando con la chitarra. Niente effetti: solo il tremolo. Usavo come plettro una moneta da cinque pence». Questo è solo uno dei molteplici aneddoti che avvolgono la genesi di una canzone capace di vergare indelebilmente il corso della musica popolare del XX secolo.
Bohemian Rhapsody fu pubblicata il 31 ottobre 1975, schizzando ai vertici delle classifiche britanniche e travolgendo poi il mondo intero. «Scoprimmo di essere al numero uno delle chart durante il check-in in un hotel», raccontò Mercury. «Poco dopo stavamo saltando su e giù, il fottuto ascensore si è fermato, quindi eccoci lì - e io: “Mio Dio, ecco il gruppo numero uno in Inghilterra che sta per soffocare in questo maledetto ascensore!”». Buon 50° compleanno, Bohemian Rhapsody!
Bohemian Rhapsody
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Bohemian Rhapsody, le considerazioni di Gian-Andrea Costa
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