Musica rock

Brothers in Arms, i Dire Straits nella stratosfera rock

Compie 40 anni il più grande successo commerciale della band di Mark Knopfler. Fu però anche l’inizio della fine

  • Oggi, 11:02
Dire Straits

A sinistra: il leader dei Dire Straits Mark Knopfler nel 1985

  • Imago/NTB
Di: Michele Serra 

Lo so che non è serio iniziare dall’aneddotica, ma il fatto è che stare in una rockband di enorme successo negli anni Ottanta, beh, significava molto spesso vivere storie interessanti. E tra quelle che girano intorno alla registrazione di uno degli album di maggior successo della storia del rock, ce n’è una che racconta dell’uomo che a quel disco rinunciò, per amore.

L’uomo in questione è Hal Lindes, chitarrista californiano, colonna dei Dire Straits dal 1980, anno in cui aveva sostituito David Knopfler nel gruppo del fratellino Mark

Nell’autunno inoltrato del 1984, i Dire Straits stavano registrando un nuovo album nell’isola caraibica di Montserrat, territorio britannico, ma lontanissimo dal caos londinese. Giorni di tutto lavoro e niente svago, almeno per i parametri di una rockstar: la mattina (ok, tarda) si entrava in studio, e i membri della band ne uscivano solo al tramonto, quando raggiungevano un bar isolato, gestito da – come ha raccontato in seguito il bassista John Illsey – «un ragazzo molto gentile di nome Andy». La gentilezza pare consistesse nell’aprire il locale praticamente solo per i musicisti, in un’isola semideserta. 

Da quelle parti si erano ritirati anche George Martin e sua moglie, ma non c’erano grandi occasioni di scambio, né con loro né con gli abitanti del luogo. L’unico giorno che aveva portato un po’ di eccitazione era stato quello in cui, per caso, era entrato nella baia il meraviglioso veliero bialbero di Neil Young. Saputo che la band si trovava lì, Young chiese di poter visitare lo studio, attrezzato per l’occasione da Mark Knopfler e dal produttore Neil Dorfsman con un ultratecnologico registratore Sony a 24 piste. Ma a parte quello, sull’isola sembrava non succedere nulla. 

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40 anni di “Brothers in Arms”

Millevoci 16.05.2025, 10:05

  • Imago Images
  • Francesca Margiotta e Marcello Fusetti

Così, Hal decise di farsi raggiungere dalla famiglia: la sua ragazza, Mary (che prima era stata sposata con Peter Frampton), arrivò con il figlio piccolo, e i tre affittarono una casa tutta loro. La famiglia però non voleva unirsi al gruppo: Mary invitava occasionalmente Mark Knopfler e Illsey a cena, ma non il resto della band, e nessuno della produzione. In breve tempo, la presenza della famiglia divenne fonte di dissapori. E – mai avrei pensato di scrivere un giorno una frase del genere, ma eccola qua – la situazione si aggravò quando sull’isola arrivò Twiggy. La modella simbolo della Swingin’ London (ormai trentacinquenne, ma ancora sulla cresta dell’onda tra cinema e musical) era infatti un’amica di Mary, e accentuò l’isolamento dei Lindes. Fino al punto in cui Knopfler e Illsey dissero a Hal che la sua ragazza era troppo ingombrante, e che doveva decidere: o rimandare i familiari a casa fino al termine delle registrazioni, oppure andarsene lui. Lindes scelse l’amore, lasciò l’isola e il suo nome scomparve da uno degli album più venduti di tutti i tempi. I casi della vita, i momenti sliding doors, eccetera eccetera.

Brothers in Arms fu, in effetti, il successo che proiettò i Dire Straits nella stratosfera del rock, con trenta milioni di copie vendute. Una cifra pari a quella di Born in the Usa e superiore a quella di Purple Rain, tanto per citare due icone di quegli anni. Apparve subito chiaro a tutti che Brothers in Arms rappresentava perfettamente un passaggio epocale (del resto, si dice sempre che per vedere la fine di una decade ci sia bisogno di arrivare a metà di quella successiva): qui terminava l’era degli album e cominciava quella dei videoclip, mentre le strumentazioni analogiche lasciavano definitivamente il passo a quelle digitali. Passaggi che Knopfler e compagni sottolinearono e cavalcarono. 

Il già citato Sony PCM-3324 fu uno degli strumenti che permisero ai Dire Straits di ottenere uno dei primi album DDD della storia (nel senso di registrato, mixato e masterizzato in digitale), con un suono che tutti definirono perfetto, e che poteva essere goduto appieno anche da chi lo ascoltava a casa, grazie al neonato Compact Disc. Fu il primo album a vendere un milione di copie in quel formato, e grazie a quel successo tutte le principali etichette si convinsero della necessità di pubblicare nuovi prodotti anche su CD. Nel 1986 erano disponibili 10.000 titoli su Compact Disc, e la crescita continuò, segnando un momento d’oro per il mercato. Nel 2000, le vendite di CD avrebbero superato i 900 milioni di unità nei soli Stati Uniti. Oggi sappiamo che a quelle vette sarebbe seguito uno sprofondo, che la promessa di un supporto eterno era bugiarda (ho un amico che colleziona 78 giri jazz degli anni Trenta, e li ascolta senza problemi, mentre il mio CD di Green degli R.E.M. salta), ma questi sono altri discorsi. Rimane il fatto che Brothers in Arms segnò una rivoluzione tecnologica ed economica, per l’industria musicale.  

Ma fu una rivoluzione anche in termini di immagine, e l’animazione digitale e gli effetti neon del videoclip realizzato da Steve Barron per Money for Nothing sembravano raccontare perfettamente il ruolo della televisione nella nuova era del rock. Barron è il genio dietro ai video di Billie Jean di Michael Jackson e Take on Me degli A-Ha (se vi vengono in mente altri due titoli che meglio rappresentano gli anni Ottanta, fatemelo sapere, sono qui che aspetto), e il testo di Mark Knopfler gli offrì un assist perfetto. Knopfler era stato ispirato da una visita a un negozio di elettrodomestici di New York: lì aveva osservato una grande parete di televisori, tutti sintonizzati su MTV, e soprattutto aveva preso nota dei commenti dei magazzinieri, che guardando i musicisti nei videoclip, facevano battute su questa o quella canzone. Oggi è pressoché normale che i rapper rispondano ai commenti social: ai tempi, l’idea di riprendere – ed esporre al pubblico ludibrio – i fan meno attrezzati era avanguardia pura. Barron prese tutti quei riferimenti e costruì l’immagine iniziale del telespettatore seduto nel suo salotto, che si “mangia” la (e viene a sua volta fagocitato dalla) musica televisiva di quegli anni. MTV non poteva chiedere niente di meglio di un pezzo autoreferenziale da mandare in heavy rotation sulle sue seguitissime frequenze. E infatti, il video di Money for Nothing fu il più programmato dell’anno. 

È strano pensare che il più grande successo della carriera dei Dire Straits fu anche l’inizio della fine, per la band: dopo un tour di quasi 250 date, arrivarono lunghi periodi di pausa, e poi il commiato nel 1991 con On Every Street. Oltre a renderli ricchi per generazioni, Brothers in Arms aveva infatti, direbbero oggi gli esperti di marketing, fatto deragliare il sentiment nei confronti dei Dire Straits. Se due milioni e mezzo di fan avevano affollato i loro concerti, nel loro abbondante anno di onnipresenza video e radiofonica erano diventati loro malgrado, nell’immaginario popolare, una specie di caricatura del rock che stava rapidamente invecchiando, certo non aiutati dal loro totale disinteresse per ogni parvenza di coolness. 

In molti hanno detto che quel successo era andato oltre i desideri di Knopfler e compagni, che li aveva travolti, e che dopo due anni passati a risuonare live le canzoni di quell’album, i Dire Straits non volevano più sentirle neanche alla radio. Eppure, a quarant’anni dall’uscita, nell’epoca in cui lo streaming ha soppiantato i CD (e pure le radio), continuano a essere nelle orecchie di venti milioni di ascoltatori mensili. La persistenza, si sa, vale perfino più del successo.

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