Musica clandestina

Canzoni di contrabbando

Il repertorio degli spalloni che operavano sul confine fra Svizzera italiana e Lombardia

  • Ieri, 17:02
46:32

Le canzoni dei contrabbandieri nella zona insubrica            

Grand Bazaar 29.05.2025, 14:30

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  • Christian Gilardi
Di: Christian Gilardi/Red. 

La figura del contrabbandiere – o spallone, come lo si chiamava tra le montagne lombarde e ticinesi – appartiene all’immaginario collettivo di un’epoca di frontiere mobili, di notti silenziose e di carichi nascosti sotto la luna. Ma oltre ai racconti epici e alle cronache di confine, esiste anche un patrimonio sonoro poco conosciuto: le canzoni dei contrabbandieri, nate dalla tradizione orale della zona insubrica.

A esplorare questo universo affascinante e ospite di Grand Bazaar è Luca Maciacchini, cantautore, attore e ricercatore di cultura popolare, che da anni raccoglie e interpreta brani antichi, storie cantate e testimonianze tramandate di generazione in generazione.

Il suo lavoro getta luce su un repertorio musicale fatto di ironia, malinconia e resilienza, che racconta la quotidianità dei traffici illegali ma anche la dignità di un mestiere marginale, spesso l’unico possibile in contesti di grande povertà.

Attraverso musiche recuperate, narrazioni e arrangiamenti originali, Maciacchini restituisce voce a un mondo che rischiava di scomparire, trasformando le esperienze degli spalloni in un racconto corale che unisce Lombardia e Svizzera, montagna e pianura, tradizione e attualità.

Un’iniziativa che non è solo spettacolo o intrattenimento, ma anche un atto di memoria e valorizzazione culturale di un territorio e della sua gente.

«Come ci insegnano i vari ricercatori, si nota che i testi variano proprio perché non vincolati a un autore preciso. È canzone popolare, dominio pubblico. Per cui ognuno la adatta a seconda delle sue esigenze. Questo sempre, non solo nell’ambito del contrabbando, ma nell’ambito generale del lavoro, della guerra e della protesta in generale. Quindi è canzone di tutti, non di uno».

«Ho notato che non c’è molto di popolare e di tradizionale legato al contrabbando. Non saprei spiegare il perché. Forse la guerra, il lavoro, la protesta in generale erano legate più a un’urgenza di comunicazione, di sentore collettivo da trasmettersi non solo per quanto riguarda il messaggio da dare al popolo, ma anche per una sorta di sostegno psicologico. Forse il contrabbandiere aveva più bisogno di silenzio, di raccogliersi più in sé, di lavorare senza stare tanto a “menarsela”». (Luca Maciacchini, cantautore e ricercatore di cultura popolare)

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