Musica e tecnologia

Con gli algoritmi la musica è ancora nostra?

Sempre più la tecnologia ci consiglia i brani da ascoltare e si sostituisce alla creatività compositiva, con implicazioni che vanno al di là della playlist che consumiamo dal telefono

  • 19 settembre, 11:02
Robot che suonano
  • Imago / Cfoto
Di: Voi che sapete.../RigA 

Sanno chi siamo, cosa facciamo e dove siamo. Conoscono i nostri gusti e addirittura leggono i nostri stati d’animo. Sono gli algoritmi, che sulle piattaforme di musica in streaming selezionano per noi le canzoni da ascoltare, servendocela in playlist. Tanto da farci sorgere una domanda: siamo ancora padroni dei nostri gusti? Questione che si pone in un’epoca di smaterializzazione della musica. 

Secondo il critico musicale Alceste Ayroldi, al giorno d’oggi non è solo la musica a essere governata dagli algoritmi. Nella nostra esperienza di internauti, con il sistema dei cookies che accettiamo per favorire la navigazione «l’algoritmo è un grande fratello orwelliano, e ha anche sostituito l’abitudine di andare nel negozio di dischi e farsi consigliare dal negoziante, perché lui già sapeva quello che a noi piaceva».

Non sono solo i titoli dei brani che ascoltiamo a fungere da parametri: anche i pezzi che saltiamo e il tempo d’ascolto aiutano a profilarci. Il discografico Stefano Senardi vorrebbe tornare a una situazione in cui «non mi consigliano che cosa può piacermi, perché comincio ad alimentare una certa diffidenza». Senardi ha fatto tentativi con l’intelligenza artificiale per rilevare che non sempre ci prende e propone di allontanarsi da questi meccanismi: «Bisogna anche cominciare a fidarsi dei propri gusti e dei propri errori quando si cerca».

30:08

Crimini e misfatti degli algoritmi

Voi che sapete... 17.09.2025, 16:00

  • iStock
  • Claudio Farinone

Ayroldi tira in ballo Spotify citando il sistema degli artisti fantasma, codificato nel libro Mood Machine di Liz Pelly. Secondo la giornalista, la piattaforma avrebbe al centro del suo algoritmo il perfect fit content, «che è elaborato per dare priorità a brani creati da case produttrici legate a Spotify, a costi limitati. Così facendo il servizio di streaming musicale riuscirebbe a ridurre sensibilmente i costi. Quindi che succede? Spotify ha creato degli artisti fantasma, dal profilo verificato ma che in realtà non esistono, e ai quali non deve corrispondere alcunché dal punto di vista dei diritti» spiega Ayroldi.

C’è anche un aspetto economico da considerare, fa presente Stefano Senardi. Secondo lui queste piattaforme «contribuiscono al depauperamento del ceto medio degli operatori musicali, degli artisti. Spotify non ha regole e carica 150’000 brani al giorno e tra questi ce ne sono un’infinità creati con l’intelligenza artificiale: l’industria dovrà chiudere e gli artisti dovranno rivolgersi altrove».

Già, ma con quali prospettive? Larsen Premoli, produttore e sound engineer, osserva che «il 30% della musica caricata ogni giorno sulle piattaforme è prodotta da algoritmi. Si stima attorno ai 100’000 brani al giorno». Certo, da una parte si assiste a una sempre maggior “democratizzazione”, per cui anche chi non ha studiato musica grazie alla tecnologia può dirsi compositore. Ma alla lunga quali saranno gli esiti artistici e finanziari?

Premoli fa un distinguo nell’uso dell’IA nei processi creativi: nella pubblicità o in un podcast, «dove la musica non è importante ma è importante che ci sia, il classico “sottofondino”, per capirci, la figura del compositore e del performer era già sfumata da diverso tempo. C’era l’omino che prendeva una volta quattro note MIDI, poi dei looppini [sequenze musicali] già fatti, adesso semplicemente gli dici “fammi un looppino tipo questo” e lui te lo impacchetta già pronto». 

Diverso, per Premoli, è se la finalità della musica «è il piacere di ascoltare un artista che ha qualcosa da dire dal punto di vista lirico e strumentale. Dov’è il piacere se me lo faccio fare dal computer?» Nella produzione musicale oggi questi strumenti servono per migliorare i risultati o per risparmiare, per esempio facendo suonare all’IA la parte di batteria, «perché nell’ambiente musicale i soldi sono cambiati drasticamente» segnala Premoli.

Il mercato di contenuti musicali e audiovisivi generati dall’IA attualmente vale circa 3 miliardi di franchi e sfiorerà i 60 entro il 2028, fa notare Alceste Ayroldi. Il critico fa notare che il diritto d’autore non è uguale in tutto il mondo, però c’è una cosa che è uguale per tutti: il destinatario dei diritti. «Il problema è: a chi paghi i diritti d’autore?» riflette Ayroldi, «Il signor Intelligenza Artificiale non esiste. L’unico è il soggetto che ha creato quell’intelligenza artificiale». 

L’intelligenza artificiale «attinge a un bacino che non viene dato dal programmatore del software ma a è fatto di milioni di dati che prende dal web. I diritti vengono versati nelle casse della persona che gestisce materialmente quella piattaforma di intelligenza artificiale. La domanda potrebbe essere: può esserci il plagio dell’intelligenza artificiale, e a chi spetta fare causa?» conclude Ayroldi.

33:46

Quando a comporre è l’algoritmo

Voi che sapete... 18.09.2025, 16:00

  • Imago Images
  • Lorenzo De Finti

Correlati

Ti potrebbe interessare