Resistenza e fertilità. Due qualità - la prima per natura, la seconda, si dice, favorita - attribuite al diaspro, pietra che ha dato il nome all’omonima band ticinese. Una ragione sociale che reca in sé l’anima del gruppo, incentrato sulla scrittura di Michela Domenici. Tanto che, affermano gli altri membri della band, «i Diaspro sono lei».
Un’avventura nata negli anni ’90 da un’ispirazione del batterista Peo Mazza: «Avrò avuto 25-26 anni, ero già musicista. Suonavo un po’ a Milano, un po’ qua, un po’ là, e una volta a una festa campestre ho sentito Michela che cantava con i Green Onions». È una folgorazione. Peo chiede a Michela (all’epoca sedicenne) se vuole formare una band con lui ed è così che nascono i Velvet.
Velvet però è un nome che richiama altre band (per esempio i Velvet Underground); decidono allora di cambiare il nome ispirandosi alla pietra associata al segno zodiacale di Michela, la Vergine. Il gruppo assumerà la sua fisionomia definitiva con l’ingresso del tastierista Roberto Moriani.
Una carriera ventennale in cui hanno prodotto 4 album (It Still Isn’t Clear, Danza la Terra, Invisible e Real Nature), è del 1993 la partecipazione dei Diaspro alle finali svizzere dell’Eurovision Song Contest. Come racconta Michela: «In occasione delle selezioni svizzere per l’Eurosong, che si tenevano a Zurigo in diretta, ci chiamò la TSI e ci chiese se potevamo scrivere un pezzo in italiano perché mancava una rappresentanza italofona. Ed ecco che in poco più di una settimana abbiamo scritto e registrato Riflesso».
I testi dei Diaspro, che alternano italiano, francese e inglese, traggono nutrimento dalle cime che Michela ammira dalla finestra della sua cucina. «È iniziato tutto in uno scenario di montagna: le cantate davanti al fuoco, voci che filtravano la vita e forse a volte riuscivano pure ad imbrigliarne l’essenza» scrive sul profilo Mx3 del gruppo.
Le qualità canore di Michela hanno attirato le attenzioni di grosse etichette come la Virgin. Lei però il successo non lo ha mai misurato in fama: «Per me il successo è quando il pezzo è finito, quando lo ascolto e ne sono completamente convinta e soddisfatta».
Slegata dagli stereotipi della musica di massa, Michela scrive sciogliendo le briglie alla sua immaginazione, senza accettare compromessi con la famigerata industria: «Avevo capito presto che non volevo padroni in questa dimensione mia creativa. Il desiderio creativo era molto più forte. In più il sistema non mi piaceva, così ho scelto di rimanere semplicemente quella che sono e poter vivere questa mia creatività in totale libertà». Una creatività resistente e fertile, proprio come la pietra che ha dato il nome ai Diaspro.
Riascolta lo speciale di un’ora realizzato nel 2020 da Marco Kohler e Davide Buzzi