Musica Jazz

Duke Ellington, “la musica è la mia signora”

Cinquant’anni fa, il 24 maggio 1974, moriva a NewYork il pianista, compositore e direttore d’orchestra fra i più grandi del Novecento

  • 24 maggio, 06:00
  • 24 maggio, 07:40
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Duke Ellington
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Di: Riccardo Bertoncelli

Cinquant’anni fa, il 24 maggio 1974. moriva a NewYork per un tumore ai polmoni Edward Kennedy “Duke” Ellington, pianista, compositore, direttore d’orchestra, un grandissimo della musica del Novecento. Per onorarlo come a lui sarebbe piaciuto è giusto dire così, “musica” e basta, perché “jazz” era un termine che non amava. “Jazz è solo una parola e in realtà non ha significato”, era la sua idea. “Io e i miei musicisti abbiamo smesso di usarla nel 1943. Non credo in nessun tipo di categoria.”

Ellington era nato in una famiglia della piccola borghesia afroamericana a Washington, il 29 aprile 1899, e fin da ragazzo aveva coltivato una sua particolare eleganza che gli era valsa il soprannome. Presto aveva mostrato un talento artistico ma paradossalmente più come pittore che come musicista. Vinse una borsa di studio in belle arti che però decise di lasciare in sospeso, ripromettendosi di sfruttarla solo dopo aver provato almeno per un anno la vita di musicista. Fu la scelta giusta. Nel 1922 il giovane pianista si trasferì a New York per suonare nell’orchestra di Wilbur Sweatman, l’anno seguente passò con Elmer Snowden e presto diventò il direttore di quella formazione, imponendosi come uno dei nomi emergenti nella scena di Harlem.

Una prima svolta nella carriera avvenne nel 1927, quando Ellington ottenne un ingaggio nel locale più rinomato di Harlem, il Cotton Club, e con il fondamentale aiuto del manager Irving Mills cominciò a modellare una straordinaria orchestra che considerò sempre come uno strumento collettivo per esprimere le sue idee. Il batterista Sonny Greer, il sassofonista Johnny Hodges, il trombonista Joe Nanton con Barney Bigard (clarinetto) e Harry Carney (sax baritono) furono tra i primi grandi collaboratori; sarebbero poi venuti altri leggendari maestri come i trombettisti Cootie Williams e Rex Stewart, i trombonisti Lawrence Brown e Juan Tizol, e più avanti Ben Webster (sax tenore), Jimmy Blanton (contrabbasso), Ray Nance (tromba e violino), Paul Gonsalves (sax tenore), tasselli musicali di un mosaico sempre più perfetto. Ai suoi musicisti Ellington affidò brani in stile jungle, secondo la moda africaneggiante dell’epoca, e ballate d’atmosfera, irresistibili swing e canzoni romantiche, sempre con elegante scrittura e raffinati arrangiamenti: Black And Tan Fantasy, Mood Indigo, Don’t Get Around Much Anymore, It Don’t Mean A Thing, Take The A Train, Creole Love Call, Sophisticated Lady, Caravan sono solo alcuni dei titoli più famosi dell’orchestra negli anni d’oro prima della guerra.

Un altro evento cruciale della vita artistica di Ellington fu l’incontro con il compositore, pianista e arrangiatore Billy Strayhorn, prezioso collaboratore del 1939 fino alla morte, nel 1967. Con lui il Duca perfezionò la sua arte ed espanse le ambizioni; se è vero come molti hanno scritto che le sue opere erano “quadri musicali”, conciliando l’amore per pittura e musica, con il tempo le tele si dilatarono fino a diventare veri e propri affreschi. Ellington sottolineò sempre l’importanza di Jump For Joy, il musical del 1941 con precisi riferimenti all’integrazione razziale, tema ripreso due anni più tardi con la suite di Black, Brown And Beige; ma la fantasia sua e di Strayhorn si spinse ben oltre il tema della razza, fino a toccare le opere di William Shakespeare (Such Sweet Thunder), Edward Grieg (Peer Gynt Suite), Piotr Tchaikovskij (The Nutcracker Suite). Nel 1959 questa ricerca di nuove terre musicali approdò a Hollywood, con la colonna sonora del film Anatomia di un omicidio, di Otto Preminger, ma l’apice fu toccato nel 1965 con un primo Sacred Concert. Ne sarebbero seguiti altri due, accolti tiepidamente da critica e pubblico ma considerati da Ellington “la cosa più importante della mia vita artistica”.

Re del jazz orchestrale negli Stati Uniti fin dagli anni ‘20, Ellington esportò la sua arte dopo la guerra in tutto il mondo, con spettacoli che arrivarono anche oltre la cortina di ferro dei Paesi dell’Est. Contemporaneamente lavorò molto in studio, con una serie regolare di album che negli anni ‘60 presero una piega commerciale ma assecondarono anche certe curiosità del pubblico, presentandolo al fianco di altri miti musicali: Count Basie (First Time! The Count Meets The Duke), Louis Armstrong (The Great Summit), Frank Sinatra (Francis A. & Edward K.). Disponibile al dialogo con le nuove generazioni, il Duca accettò di confrontarsi in studio con l’emergente John Coltrane e nel 1962 partecipò a una stellare session con Charles Mingus e Max Roach che produsse un album controverso ma non così infelice come all’epoca fu giudicato, Money Jungle.

Poco prima di morire Ellington decise di fissare i pensieri di una vita in un’autobiografia, che scrisse con l’aiuto del giornalista Stanley Dance. Lì mescolò confessioni sincere e favolose bugie, scegliendo un titolo eloquente: Music Is My Mistress, là dove “mistress” sta per donna, amante e anche padrona. “Io ho una donna” scrisse. “Le amanti vanno e vengono ma la mia donna resta. È bella, gentile, mi serve con umiltà. È dinamica. Ha grazia. Se la senti parlare non credi alle tue orecchie. Ha diecimila anni ma è moderna come il domani, una donna nuova ogni giorno ed eterna come il tempo. La musica è la mia signora e non fa da secondo violino a nessuno.”

Duke Ellington

Doppio Diesis 03.05.2024, 15:35

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