È l’ultima popstar italiana in anticipo sul diluvio universale dei talent (prima), dello streaming con i suoi ritmi, del cambio della guardia dell’indie del rap e della trap (poi). Ecco, prima di tutto ciò - un qualcosa che, ammette adesso, gli ha comunque fatto mancare la terra sotto i piedi, così come a tanti altri colleghi - c’era Tiziano Ferro. Altra scuola, di quando i fenomeni di massa erano pochi, ma nessuno trascurabile. Negli anni Zero era dovunque, non solo nel suo paese d’origine e in Svizzera, ma anche nel resto d’Europa e in Sudamerica, con un successo enorme e trasversale, grazie a pezzi che avevano fatto presto a uscire dal solco per adolescenti per affrancarsi a quello di pop più raffinato, r&b e molto da cantautore, con ballate già da stadio, romantiche e tristi, dove Sere nere, Non me lo so spiegare e Ti scatterò una foto hanno fatto scuola. Specie nei primi quattro album - Rosso relativo (2001), 111 (2003), Nessuno è solo (2006) e Alla mia età (2009) - ha messo su un canzoniere che tutt’ora è uno degli ultimi grandi classici della generazione millennial e precedente.
“Sono un grande”, il nuovo disco di Tiziano Ferro (Parzialmente scremato, Rete Tre)
RSI Cultura 24.10.2025, 07:15
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Poi? Poi qualcosa si è rotto. L’ispirazione, in parte, è venuta meno, il gancio con i giovanissimi è per lo più mancato, le vendite sono andate in flessione. Mentre gli si aprivano le porte degli stadi - nel 2015, in un periodo ancora riservato ai grandissimi - paradossalmente le novità sarebbero state sempre meno efficaci: una prova che traguardi come un San Siro, appunto, si costruiscono con il tempo, sono quasi un premio alla carriera, nonché una testimonianza del fatto che Ferro, alla fine, può vivere di rendita (e non è poco, anzi), come dimostra peraltro il nuovo tour negli stadi previsto nel 2026. Basta così? Non proprio. L’impressione, infatti, era che fosse presto per adagiarsi: è nato nel 1980 e per quanto l’età nella musica non anagrafica ma discografica (conta, insomma, quanti dischi si è fatto), mentre tanti altri colleghi si sono rilanciati - Cesare Cremonini e Giorgia su tutti, contando solo gli ultimi mesi - lui è rimasto fermo grossomodo a Il mestiere della vita (del 2017, dove brillava un duetto con Carmen Consoli in Il conforto).
Sono un grande, il nuovo album appena uscito, tiolo che sottolinea quante il suo autore ne abbia passate e scritto rigorosamente con un font “ammaccato”, prova a smuovere le acque. Arriva alla fine di un lungo ripensamento, passato per il cambio di etichetta discografica per scadenza del contratto (adesso è con Sugar) e di management, ora di Paola Zukar (la donna del rap italiano, c’è lei dietro i successi di Fabri Fibra, Marracash e Madame). La carne sul fuoco è, come sempre, tanta, per un artista che ha fatto dell’autobiografia più feroce una cifra: se all’inizio, in maniera filtrata, nei pezzi entravano i disturbi alimentari di cui aveva sofferto da ragazzino e insicurezze varie, con il tempo si è, certo, scoperto di più nelle interviste, ma non ha smesso neanche di raccontarsi in musica, per esempio qui toccando temi come il recente divorzio dal produttore statunitense Victor Allen, il rapporto con i figli e i genitori, la crisi artistica (ha avuto problemi alle corde vocali) e le difficoltà di vivere a Los Angeles, dove si era trasferito per amore e ora continua a stare sempre per i figli.
Viene da dire che non è mai stato facile essere Ferro - in mezzo, ha detto in varie occasioni e in formati diversi, ha sofferto anche di depressione e alcolismo - ma ciò che ultimamente è mancato, forse, è stato un certo slancio nel trasformare quello stesso malessere in grandi canzoni, un’abilità che agli inizi padroneggiava e che con il tempo ha un po’ perso di vista. Sono un grande segna una risalita in questo senso: i momenti più a fuoco sono forse 1-2-3 (sugli attacchi di panico) e il nuovo singolo Fingo&Spingo, sulle ambivalenze della popolarità ma non per questo ombelicale; Ti sognai, dedicata alla madre, è invece tra le poche ballate del lotto, una scelta per certi versi coraggiosa, oggi che il pop melodico sembra tornare a dominare nella musica italiana, senza contare che erano state per lo più le grandi ballate a consacrare Ferro come popstar trasversale, vent’anni fa. Ma la mossa qui è audace: come suggeriva già il primo estratto, Cuore rotto, questo è un disco movimentato e da ballare nelle musiche quanto disperato nei testi. Ed è una formula, ecco, che riporta al primo Ferro, quello che con Xverso (2001) e Xdono (2003) aveva sdoganato l’r&b in Italia, salvo allontanarsene presto. In un momento in cui la scena urban ha già ampiamente percorso quella breccia, lui se ne riappropria, in una maniera senz’altro più precisa di quanto succedeva nel precedente Il mondo è nostro (2022), il suo unico vero album “di passaggio” finora.
Certo, una grande parte del pubblico resta in ogni caso dalla sua, ma probabilmente la sfida per lui è un’altra: al di là del genere, al di là della ballata o meno, quello che a Ferro si chiede è di tornare a intercettare un certo spirito del tempo, com’è spesso in dote alle popstar, com’era agli inizi quando ha portato l’r&b in Italia e come sarebbe stato subito dopo con le varie Sere nere e Alla mia età, ballate che, al di là dei numeri, con il loro malessere e il loro romanticismo avevano intercettato quello di almeno una generazione. A lui - e Sono un grande è una bella opportunità - dimostrare di essere all’altezza non tanto dei ragazzi di oggi, ma del suo passato.
