Anniversari

Horses: si capì subito che era un disco speciale

Il primo album di Patti Smith compie 50 anni: tra rock e poesia, diede una scossa alla musica e ne cambiò per sempre le coordinate

  • 2 ore fa
Patti Smith
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Di: Riccardo Bertoncelli 

«Il 10 febbraio 1971 tenni la mia prima lettura di poesia nella chiesa di San Marco, alla Bowery. Volevo suscitare aspra energia, così mi feci affiancare da Lenny Kaye; l’apice lo raggiungemmo quando con la chitarra emulò i suoni di una corsa automobilistica mentre io leggevo Ballad Of A Bad Boy. Il pubblico parve prenderla male. Io lo interpretai come un segnale positivo».

«Negli anni successivi mi misi a studiare Hank Williams e comprai uno spartito con le canzoni di Bob Dylan. Strimpellavo violentemente una Gibson anni ‘30. Lavoravo in un negozio di libri. Disegnavo. Posavo per Robert Mapplethorpe. Scarabocchiavo su bloc notes. Fantasticavo tra le macerie dei ‘60. Tanta gioia ma anche tanta insoddisfazione. Molte voci si levarono, poi si spensero. L’eredità della mia generazione sembrava in pericolo». 

«Queste cose avevo in mente: il percorso dell’artista, la via della libertà (da ridefinire), la ri-creazione dello spazio, far venire a galla nuove voci. E queste cose cercai di esprimere, anche se in maniera piuttosto rozza, usando la forma del rock&roll». (Patti Smith)

Patti Smith ha raccontato così i suoi inizi, anni fa, e possiamo farne tesoro per capire il suo primo LP, Horses, che oggi compie cinquant’anni mentre nei negozi è uscito da poco un doppio CD e vinile che all’originale aggiunge una serie di provini e inediti legati a quei fatidici giorni del 1975. Sono parole che raccontano la lunga gestazione non solo del disco ma della vocazione musicale di Patti, e sono una bella verità anche se mezza. Manca l’altra parte; la sorpresa mozzafiato di quell’album nella decaduta cittadella rock ’75 e l’incontenibile gioia da parte degli appassionati per un’amica, la musica, che tornava a essere speciale, come aveva cantato a suo tempo Jim Morrison. Quest’altra parte l’ha spiegata bene Paul Williams anni addietro: «Un grido di pura gioia e una scarica di adrenalina pura - una indimenticabile, irrevocabile dichiarazione di esistenza. Accorgiti di me, Universo!»

Fu chiaro da subito che Horses era un disco speciale. Personalmente ho il ricordo nitido di un corto circuito mentale, come la prima volta che ascoltai Hendrix o quando la voce di Bob Dylan gli sgorgò dal naso per le mie orecchie vergini. I versi vibravano di sogni, memorie, eroi fantastici, Jim Morrison come Prometeo lottava per liberarsi dalla sua tomba, donne amavano altre donne su una spiaggia di Tangeri, Patti si rotolava nell’erba “e sputai gas, accesi un fiammifero, il vuoto guizzò improvviso”. La morte incombeva come una nuvola nera su quell’immaginario ma la purezza, la forza, il desiderio erano più forti; e l’accento della musica era positivo, dalla straordinaria trasfigurazione di Gloria (Van Morrison, Them, 1965) all’ipnotico reggae di Redondo Beach, dalle spire sensuali di Birdland al lungo medley che incendiava la parte finale, Land, con la voce che dettava il respiro della musica, concitazione impeto abbandono estasi. 

Horses venne provato durante l’estate 1975 in una piccola stanza di Times Square, dietro un enorme cartellone pubblicitario, e poi registrato fra settembre e ottobre agli Electric Lady Studios, la tana musicale voluta da Jimi Hendrix. Il Patti Smith Group era giovane e voglioso: Lenny Kaye, il chitarrista amico degli inizi, Richard Sohl, il pianista “Motown o Mendelssohn”, Ivan Kral e Jay Dee Dougherty, basso e batteria, gli ultimi arrivati. Produsse John Cale e il suo merito fu quello di tenere basso il profilo e ben affilata la lama dei suoni; il Group si lamentò di certe sue resistenze “conservatrici” ma il tempo si è portato via quei lamenti.

Fu chiaro da subito che era un disco speciale, dicevamo. Fin dalla copertina, da quel bianco e nero di giovane donna che guardava fiera oltre la camera, e ti penetrava con il suo sguardo come stava per fare con la freccia appuntita del suo rock. Lo scatto era di Robert Mapplethorpe ma l’idea era venuta a Patti; una citazione di un vecchio album di Frank Sinatra, Songs For Swingin’ Lovers, con quella giacca sbarazzina sulle spalle, quella camicia slacciata al collo. Vedete com’è strano il rock. Parliamo del disco che è l’archetipo del punk e uno dei suoi ispiratori fu il vecchio Blue Eyes.

A inizio novembre 2025 Patti Smith ha pubblicato l’atteso libro di memorie, Bread Of Angels (Random House Publishing), completando i suoi ricordi dopo lo splendido memoir di qualche anno fa, Just Kids, in cui aveva rievocato i primissimi giorni della sua vita artistica e il rapporto con Robert Mapplethorpe.

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Patti & Robert (3./15)

Alphaville: le serie 17.07.2024, 12:35

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  • Paola De Angelis

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