Musica italiana

Nel ghiaccio di “Siberia” il seme del rock alternativo d’Italia

Ispirato alla new wave britannica, il disco dei Diaframma mette in luce la scrittura poetica di Federico Fiumani, fondatore e anima del gruppo. A distanza di quarant’anni resta album di riferimento per l’underground italofono

  • 5 dicembre 2024, 09:00
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Federico Fiumani, leader dei Diaframma

  • Domenico Cippitelli/ipa-agency/Live Media IPA
Di: Patrizio Ruviglioni 

Succede tutto nel giro di pochi mesi. A fine 1984, quarant’anni fa, esce “Siberia” dei Diaframma, a marzo del 1985 i Litfiba, loro “cugini” con cui dividono i palchi di Firenze e provincia, rispondono con “Desaparecido”; poi basta, fine. La new wave italiana si consuma in una manciata di settimane, in ritardo rispetto al resto del mondo, che già ne assiste alla fine, in appena due album. Ma sono due pietre miliari. E se i Litfiba sembrano magma, lasciano intendere di essere destinati a grandi cose (anche) diverse da quelle, i Diaframma sono perfetti e finiti così, ortodossi e scolpiti come le geometrie di queste otto canzoni, in debito anche con il post-punk dei Joy Division, a cui devono almeno la spinta iniziale.

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Federico Fiumani su “Siberia” dei Diaframma

Baobab, Rete Tre 22.08.2011, 16:25

Perché “Siberia”, s’intende, è un capolavoro vero. “Rolling Stone” l’ha messo al settimo posto tra gli album italiani più belli di sempre, in generale non smette di affascinare le nuove generazioni, con i Diaframma stessi che lo ristampano e lo celebrano ciclicamente (ci sono un’edizione speciale e un tour anche per quarant’anni, saranno in giro fino alla prossima primavera). Ma arriva in ritardo, dicevamo, perché nel mondo la lezione della new wave è già stata assodata e reinventata, mentre in Italia la scoperta va a rilento. Pochi mezzi, più che altro. Federico Fiumani – leader della band, chitarrista, compositore ma non ancora cantante, come sarà poi – impiega quattro anni per mettere su un gruppo credibile (alla sezione ritmica ci sono i fratelli Cicchi, Leandro e Gianni, basso e batteria) e trovare chi ci scommetta su. I tasselli s’incastrano solo a fine 1983, quando entra nella band un nuovo cantante, Miro Sassolini, con zero esperienza sul palco ma una voce distaccata e baritonale che fa storia a sé, e la I.R.A. Records di Alberto Pirelli investe su di loro.

Siamo nella Firenze dei primi anni Ottanta, sta nascendo una sottocultura legata al punk e alla new wave, ma l’underground è poverissimo. Lo stesso Fiumani, che ha ventiquattro anni e nel frattempo lavora nel negozio di dischi dell’etichetta, racconterà spesso di quanta fatica gli costasse cercare far emergere la band, organizzare date al Sud, farsi notare. Ma qualcosa, in tutta Italia, si sta comunque muovendo: dall’Emilia, con un passaggio su Berlino, sono arrivati i CCCP, mentre Pordenone con il Great Complotto ha già stabilito, forse, l’embrione dell’alternative italiano. Poi, appunto, tocca ai Litfiba e ai Diaframma, che in un paese dominato da Sanremo e dalle radio rappresentano, davvero, un’alternativa.

Musicalmente, dicevamo, “Siberia” è scolpito: ci sono suoni scuri e opprimenti, ma è scarno, con la chitarra ispirata e agile di Fiumani che si muove dentro una sezione ritmica marziale, con atmosfere che vanno dal post-punk ad altre più cupe, gotiche. Già questo, nell’Italia del 1984, è una notizia: e lo resterà per decenni. Ma a marcare la differenza sono i testi, scritti sempre da Fiumani sulla sua “Siberia interiore” – quindi un senso di solitudine e oscurità, che poi rivelerà coincidere con un profondo stato di depressione personale – e ispirati alla poesia simbolista, a Rimbaud. Oltre che alla Siberia vera e propria: un luogo inospitale, ma pieno di risorse preziose sotto il ghiaccio: come fosse un invito a scoprire cos’altro la musica italiana ha da offrire.

E in ogni caso, questi versi, declamati da Sassolini, diventeranno dei classici, come il “dove il giorno ferito impazziva di luce” che tiene in piedi “Amsterdam”, una marcia scritta dopo un breve tour in Olanda che l’anno dopo sarà protagonista di una versione memorabile in coppia con i Litfiba. E poi la title-track (“Oltre il muro, solo ghiaccio e silenzio”), il riff che la apre, “Impronte” (“Per ogni cosa che ci divide resta soltanto qualche segno sbiadito sul muro”), ma anche le corse affannose e opprimenti delle varie “Neogrigio”, “Delorenzo”.

La boccata d’aria è talmente ampia e radicale che oggi si parla di pezzi di storia dell’underground italiano, omaggiati e riconosciuti a tutti i livelli, ma – sorpresa – nel 1984 “Siberia” va malissimo. Gli scarsi strumenti a disposizione per promuoverlo, dai tour a un videoclip che se non altro consente di entrare in rotazione sulle reti musicali e un fugace passaggio sulla RAI, oltre a un generale ostracismo verso la musica indipendente, lo fermano ad appena 5’000 copie vendute. Abbastanza da rendere i vinili originali dei cimeli per collezionisti, poche per Pirelli, con cui i rapporti s’incrineranno. Maledetto come l’immaginario che evoca, “Siberia” finisce in un limbo, prima di essere riscoperto, con gli onori del caso, oltre dieci anni dopo.

E i Diaframma? Come i Litfiba, seppelliranno la new wave poco dopo, già con il successivo “3 volte lacrime”, più rock classico e arioso, ma per scelta non avranno la stessa fortuna commerciale. Dopo la rottura con la I.R.A. pubblicheranno “Boxe” (1988), prima di sciogliersi e tornare, nel 1989, con Fiumani come unico perno – sia autore che, finalmente, cantante e frontman – e il resto della formazione “volante”. L’avventura continua ancora oggi, con un’impronta più cantautorale, tanta persistenza e una presenza costante nell’underground, rifiutando palchi mainstream come Sanremo. In mezzo, album riusciti (“In perfetta solitudine” e “Anni luce”, tra il 1990 e il 1992) e altri meno, momenti di sconforto e il senso, in generale, di cosa significhi essere indipendenti e di come sia difficile sopravvivere a quelle condizioni. Ma se non fosse stato per Fiumani, che non ha mai tradito quel disco degli esordi e ne ha sempre portato avanti l’eredità, oggi non parleremmo di “Siberia”. O, peggio, ne parleremmo come di un vecchio souvenir: invece è materia viva, come quella ancora nascosta sotto il ghiaccio della Siberia.

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