Guardare la propria vita che scorre su uno schermo, un’immagine dopo l’altra. Questo è quello che accade a Robbie Williams nella docuserie che racconta la sua carriera lunga più di 30 anni. L’artista si trova sul letto di casa sua e sul pc osserva la sua storia, diventandone spettatore. La maggior parte di queste immagini non sono mai state viste da Williams perché si tratta di materiale raccolto dietro le quinte dei suoi concerti o prese dai suoi viaggi. Noi vediamo quindi le sue reazioni, i suoi sguardi, i suoi sorrisi. E sono delle vere montagne russe. C’è sofferenza, tristezza, vergogna, sgomento ma anche euforia. Quello che traspare, più di tutto, è l’autenticità di queste emozioni. Una confessione a cuore aperto. Tra le prime parole di Robbie Williams nell’omonimo documentario troviamo: “Quello che è successo nella mia vita è incredibile. Ma è come se il passato mi tenesse per il collo”. Il passato che nella serie, uscita questo mese su Netflix e composta da 4 episodi, viene affrontato e scandagliato passo a passo. Una serie che porta alla luce molti elementi: il rapporto con il successo, le sfide, la salute mentale, la dipendenza, le fragilità, la famiglia. E lo fa senza edulcorare nulla, mostrando tutte le ombre dell’artista e dell’uomo.
Il documentario diretto da Joe Pearlman - che già ci ha raccontato la vita di Lewis Capaldi in “Lewis Capaldi: How i’m feeling now” - parte dagli albori della carriera di Robbie Williams. Nato in Inghilterra, a soli 16 anni entra a far parte di una delle boy band più influenti e di successo della storia: i Take That. La band britannica, con cinque componenti, si forma nel 1990 a Manchester ed inanella un successo dopo l’altro. Da subito sono evidenti le sue doti di showman, di intrattenitore a tutto tondo che non si risparmia, che si dà al pubblico senza riserve. Doti che diventano ancora più evidenti quando decide di lasciare il gruppo, nel 1995, e di lanciarsi nella carriera da solista. I Take That, l’anno successivo alla sua partenza, si sciolgono.
Addio ai Take That
RSI Cultura 17.02.1996, 16:00
Ecco allora che arrivano gli album, i concerti, l’incontro e la collaborazione con Guy Chambers, suo autore per anni. I brani criticati e quelli che conquistano e che ancora oggi sembrano immortali, come “Angels”, da Williams definita la canzone “che cambia tutto”.
La serie affronta i picchi e le cadute di un percorso che lo porta a diventare una delle più grandi pop star mondiali mai esistite, con oltre 90 milioni di copie vendute in tutto il mondo. “Let Me Entertain You” titola una delle sue canzoni più celebri. E se non lui, chi?La tossicità dello star system, il rapporto con la fama e tutte le sue conseguenze creano un fil rouge attraverso il documentario. Vediamo nitidamente l’impatto reale che i media, i titoli dei tabloid, - soprattutto quelli inglesi - il giudizio, la pressione e la paura del fallimento hanno sull’artista. “La fiducia in me stesso mi ha abbandonato e il mio lavoro si basa sulla fiducia in me stesso”, dice Williams, manifestando il suo stato d’animo. Parla esplicitamente di dipendenze da alcol e droghe e del successivo ingresso in rehab. Anche il tema della salute mentale viene affrontato senza filtri. Una delle parti della serie che restano più impresse è quando parla dell’attacco di panico dilaniante che lo colpisce durante il suo concerto a Leeds, nel 2006, davanti a 90.000 persone. Nei suoi occhi, durante quell’esibizione, si legge sgomento e anche una richiesta di aiuto. Negli occhi dell’artista - oggi quasi cinquantenne - che guarda quelle immagini, quando la camera stacca sul suo viso, c’è invece tristezza. Ma anche il sollievo di non essere più lì, in quel momento della sua vita, ma ben oltre.
C’è stata più sofferenza che serenità nel passato di Robbie Williams e non te l’aspettavi, forse, tutta questa onestà nell’ammetterlo. La storia dell’artista che sorride e intrattiene sul palco ma che poi soffre nella vita privata non ci suona nuova, i casi noti sono moltissimi. Ma quello che il documentario riesce a fare, è raccontare un’esistenza dal fondo alla risalita senza distogliere lo sguardo.