Il 25 maggio 2020 George Floyd moriva a Minneapolis sotto il ginocchio dell’agente di polizia Derek Chauvin. Il video della sua agonia ha fatto il giro del mondo, dando il via a una delle più grandi ondate di protesta negli Stati Uniti e di conseguenza nel mondo. Black Lives Matter (BLM), movimento nato nel 2013 in risposta all’assoluzione del poliziotto responsabile dell’uccisione di Trayvon Martin e rafforzatosi nel 2014 a seguito degli omicidi di Michael Brown ed Eric Garner, si è trasformato da battaglia marginale a megafono planetario contro il razzismo sistemico proprio con la morte di Floyd.
A cinque anni da quel giorno, il mondo è cambiato. Ma quanto, davvero?
Le immagini dell’omicidio di George Floyd hanno risvegliato una nuova consapevolezza globale. In decine di Paesi, da Londra a Lagos, da Nairobi a Sydney, milioni di persone sono scese in piazza con lo slogan «I can’t breathe». Proteste che hanno fatto riemergere il tema del razzismo sistemico, aprendo discussioni nelle scuole, nelle aziende, nei media e nelle istituzioni. In particolare per molti giovani il 2020 ha segnato una politicizzazione profonda, spesso legata all’intersezione tra razza, classe e giustizia sociale. Nel mondo culturale e aziendale si è assistito a una corsa verso la diversity & inclusion (diversità e inclusione): più rappresentazione di persone nere nei media, revisione di simboli controversi (come le statue di figure coloniali) e investimenti in formazione antirazzista. Negli Stati Uniti, alcune città hanno introdotto riforme. Minneapolis ha tentato di “smantellare” il suo dipartimento di polizia (tentativo poi fallito politicamente), mentre altre realtà hanno limitato l’uso di tecniche violente, aumentato la trasparenza e destinato fondi a servizi sociali alternativi.
Tuttavia, le cifre raccontano un’altra storia: secondo il database di Mapping Police Violence, il numero di persone uccise dalla polizia americana continua a crescere dal 2020. Le promesse di cambiamento a livello federale, come il George Floyd Justice in Policing Act, si sono arenate al Congresso. La reazione non si è fatta attendere. Negli Stati Uniti, una parte del Paese ha visto nel movimento BLM un’espressione di radicalismo pericoloso. Alcuni stati repubblicani hanno bandito programmi scolastici che affrontano il razzismo storico e contemporaneo, accusandoli di “dividere” la società. Termini come critical race theory sono diventati spauracchi in una guerra culturale sempre più polarizzata. Anche il sostegno al movimento è calato; oggi la percentuale di americani che esprime sostegno al movimento BLM è pari al 52%, con un calo di 15 punti rispetto a giugno 2020. Il Pew Research Center ha recentemente pubblicato uno studio rivelando che attualmente il 72% dei cittadini afferma che «la crescente attenzione alla razza e alla disuguaglianza razziale dopo l’omicidio di Floyd non ha portato a cambiamenti che abbiano migliorato la vita delle persone di colore». La politicizzazione del tema ha portato a una radicalizzazione del dibattito pubblico, soprattutto da parte dei bianchi conservatori.
I movimenti sociali americani hanno sempre avuto un certo ritmo: uno slancio in avanti seguito da una reazione negativa. Il trionfo dell’abolizionismo ha lasciato il posto al Ku Klux Klan e alla fine della Ricostruzione. Le marce per i diritti civili si sono dissolte con l’ascesa al potere di Richard M. Nixon e della sua “maggioranza silenziosa”. Ma anche per gli standard storici, l’attuale ridimensionamento appare rapido e netto. Cinque anni fa, Repubblicani e Democratici si sono uniti e riversati nelle strade del Paese per denunciare la violenza della polizia e proclamare che le vite dei neri contano. Ora, Donald J. Trump che da tempo si fa portavoce del risentimento dei bianchi, sta dettando il tono del dibattito razziale. Nel suo secondo discordo inaugurale il presidente americano ha promesso di «forgiare una società indifferente al colore della pelle e basata sulla meritocrazia», ma la convinzione di Trump che la discriminazione «anti-bianchi» abbia sbilanciato la società a favore degli afroamericani rimane un motore delle politiche dell’amministrazione. Politiche che includono lo smantellamento di “diversità, equità e inclusione” del governo, la presa di mira delle preferenze razziali percepite nel mondo accademico e nel settore privato e lo sradicamento di un’«ideologia impropria».
Anche il movimento ha affrontato sfide interne: BLM non è un’entità unitaria, ma un’aggregazione fluida di attivisti, gruppi locali e leader con agende diverse. Di conseguenza coordinare strategie e obiettivi concreti nel lungo periodo è risultato difficile. Alcune accuse di cattiva gestione finanziaria ai vertici della BLM Global Network Foundation hanno generato sfiducia anche tra i simpatizzanti. Se nel 2021 la Black Lives Matter Foundation Inc aveva raccolto la sbalorditiva cifra di 79,6 milioni di dollari, l’anno successivo l’ammontare era sceso a 8,5 milioni. Secondo i dati monitorati dall’organizzazione giornalistica non-profit ProPublica nel 2023 la somma si aggirava intorno ai 4,7 milioni, con spese per 10,8 milioni di dollari. Le critiche sulla dubbia amministrazione dei fondi non si sono fatte attendere e si sono riversate sulla fondazione e i suoi finanziatori, danneggiando la reputazione dei suoi leader.
Cinque anni dopo, è evidente come la morte di George Floyd abbia scosso il mondo. Ha aperto ferite, turbato coscienze, ma anche dischiuso possibilità. Sul piano della consapevolezza e del dibattito pubblico le cose sono cambiate. Tuttavia, un rinnovamento strutturale e duraturo nel sistema giudiziario e nelle pratiche della polizia è stato limitato. Sì, alcuni passi avanti sono stati fatti, ma le strutture del potere – quelle che alimentano le disuguaglianze – restano fortemente radicate. Il cambiamento più duraturo, forse, è nella coscienza collettiva. E quella non si misura in leggi o statistiche, ma in ciò che una generazione sceglierà di fare con il peso e l’eredità di quel grido: «I can’t breathe».

5 anni dall'uccisione di George Floyd
Telegiornale 25.05.2025, 20:00