Società

«Lascia che pianga, tanto si addormenta da solo/a»

Dal manuale “La madre tedesca e il suo primo figlio” di Johanna Haarer alla genitorialità moderna. Le conseguenze transgenerazionali del modello pedagogico nazista

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madri del Reichsmütterdienst
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Di:  Emanuela Musto 

Vi hanno mai detto “Lascia che pianga, tanto si addormenta da solo/a” o “Non prenderlo/a in braccio se no lo vizi”? Per chi è neogenitore – ma anche per i più “rodati” - queste frasi potrebbero risultare familiari. Consigli non richiesti magari dati da un familiare che con tutte le buone intenzioni ripete ciò che gli è stato insegnato.

Ma se vi dicessimo che questi suggerimenti affondano le loro radici in qualcosa ben più oscuro di quanto possiate pensare?

Sì, perché alcuni di questi concetti si trovano ne Die deutsche Mutter und ihr erstes Kind (“La madre tedesca e il suo primo figlio”), scritto da Johanna Haarer e pubblicato in Germania nel 1934. Sebbene la Haarer non fosse né pediatra, né pedagoga, il suo manuale divenne ben presto il cardine della pedagogia nazista e il testo di riferimento per l’educazione infantile sotto il Terzo Reich. Vendendo oltre 600’000 copie fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il libro venne ristampato e rieditato fino agli anni ’80 (spesso senza riferimenti alla sua origine ideologica). Alcune delle sue teorie rimasero a lungo radicate nella cultura genitoriale tedesca (e non solo) contribuendo a normalizzare modelli educativi freddi e autoritari anche in contesti post-bellici.

La madre tedesca e il suo primo figlio
A noi donne ci attende il dovere più urgente, un dovere antico ed eternamente nuovo: dare figli alla famiglia, al popolo, alla razza.

Johanna Haarer

Il modello educativo promuoveva una genitorialità fortemente autoritaria, distaccata e disciplinare. L’obiettivo era formare bambini autonomi, subordinati e ubbidienti. L’obbedienza era infatti il valore dominante: il bambino doveva imparare a non disturbare, a non chiedere, a non esprimere emozioni. L’educazione doveva iniziare il giorno della nascita. Ai neonati non andava dato nulla da bere nelle prime 24 ore per “spezzare” da subito la loro volontà ed evitare che diventassero «tiranni domestici». Haarer mirava a sopprimerne l’individualità, impedendo lo sviluppo di un se autonomo a favore di una completa conformità e disciplina. La creazione di perfetti futuri soldati, insomma.

Il ruolo della madre come funzionario del Reich era tra i punti centrali del libro. Efficiente, severa, ordinata, ma soprattutto patriottica, la madre tedesca doveva mantenere un distacco emotivo da subito. Difatti era fortemente sconsigliato di coccolare o consolare il neonato, andava inoltre evitato di avere eccessive manifestazioni affettive o di prenderlo in braccio per non “viziarlo”. L’educazione alla resistenza della Haarer suggeriva di ignorare il pianto del bambino per far sì che imparasse a non essere “debole”. «Se piange, dovrebbe essere lasciato piangere. Questo rafforza i polmoni e li irrobustisce». L’alimentazione, il sonno e persino la defecazione dovevano seguire orari precisi. Questo tipo di programmazione rigida veniva vista come preparazione alla disciplina e all’obbedienza militare.

Anche se oggi tutto questo possa apparire aberrante, l’approccio de “La madre tedesca e il suo primo figlio” è sopravvissuto sorprendentemente a lungo. Il suo impatto non si fermò al periodo nazista. Seppur spogliate della retorica bellica, le sue idee hanno permeato l’educazione infantile anche nel secondo dopoguerra, contribuendo a generazioni di madri (e padri) prigioniere di un modello educativo distaccato e repressivo. Disturbi dell’attaccamento, ansia e depressione, difficoltà emotive e relazionali, paura dell’autorità sono alcune delle conseguenze causate da questo stile pedagogico.

Possibili influenze in Europa e Stati Uniti ed evoluzione pedagogica

In Austria e nella Svizzera tedesca, essendo aree germanofone, vi fu un’influenza indiretta, soprattutto tramite la cultura e l’editoria tedesca. Non ci fu un uso ufficiale del libro, ma i medici e gli operatori sanitari formatisi in Germania portarono con sé quelle teorie. L’educazione austera e poco affettiva rimase a lungo diffusa.

In Italia il modello di madre fascista presentava tratti simili a quelli indicati dalla scrittrice tedesca: l’educazione rigida e autoritaria restò dominante nella penisola almeno fino agli anni ’60/’70.

Anche nella Spagna franchista (1939–1975) si ritrovano somiglianze ideologiche: il regime di Franco promosse un modello femminile e materno basato sull’obbedienza, il sacrificio e la subordinazione all’autorità patriarcale e religiosa. Il manuale non fu tradotto in spagnolo, ma la pedagogia repressiva e la sfiducia nei confronti delle emozioni infantili erano ben presenti.

Anche se non furono direttamente influenzati dalla Haarer, nei paesi scandinavi alcuni modelli di maternage rigido vennero condivisi in contesti protestanti austeri. Negli anni ’40 e ’50, i manuali scandinavi di puericultura mostravano ancora elementi di distacco emotivo. Dagli anni ’60 prevalsero modelli più progressisti come congedi parentali estesi, educazione precoce basata sul gioco e supporto psicologico alla genitorialità, rendendo i paesi nordici pionieri dell’educazione empatica e partecipativa.

Negli Stati Uniti e nel Regno Unito (anni ‘40–’60) si diffusero, almeno per un periodo, teorie educative basate sul distacco emotivo, promosse da medici come John B. Watson e il pediatra neozelandese Frederic Truby King, che sconsigliavano abbracci e coccole ai bambini.

Molti genitori del dopoguerra, cresciuti secondo questi dettami, hanno inconsapevolmente replicato quegli stessi schemi educativi, contribuendo a un’educazione fredda e distante anche negli anni ‘50-’70 (e forse anche oltre). Con l’arrivo di pedagogie più empatiche (es. Winnicott, Bowlby, Spock), il libro venne duramente criticato e disconosciuto. Eppure i suoi effetti persistono ancora oggi in alcune pratiche culturali inconsce.
Solo a partire dagli anni ‘70 infatti la psicologia dell’infanzia inizia a ribellarsi a quell’ideale di fredda efficienza materna. Nel 1969 John Bowlby, psicoanalista britannico, introduce la teoria dell’attaccamento, dimostrando quanto un legame affettivo stabile nei primi anni sia fondamentale per lo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino.

Contemporaneamente, negli Stati Uniti, Benjamin Spock ridisegna il ruolo del genitore: non più esecutore di regole, ma guida affettuosa e flessibile. «Abbiate fiducia in voi stesse» scrive alle madri americane. Un concetto semplice, ma rivoluzionario. E poi c’è Maria Montessori, che già nei primi decenni del Novecento parlava di « bambino competente» e di « libertà nella disciplina», un’idea radicale che solo molti decenni dopo sarebbe stata pienamente compresa.

08:02

Intervista a Maria Montessori, RSI, 3 giugno 1947

RSI Cultura 30.08.2020, 22:21

Dalla madre-funzionaria del Reich alla madre empatica del XXI secolo l’educazione dei figli è cambiata e continua a cambiare. Il cammino è stato lungo, non lineare, spesso doloroso, ma necessario. Oggi, educare è prima di tutto un atto relazionale, non di controllo. Il resto – regole, routine, metodi – viene dopo. La sfida è non cadere negli eccessi: né autoritarismo né permissivismo. Forse il vero progresso sta nel non cedere alla paura dell’errore o all’ossessione della perfezione coltivando relazioni sane con i nostri figli e insegnandogli a nominare le emozioni.

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