Scienza

Oltre la fisica classica

La meccanica quantistica, celebrata nel 2025 come patrimonio dell’umanità, rivoluziona la fisica classica e illumina processi vitali. Dalla tecnologia ai meccanismi cellulari, la biologia quantistica apre nuove frontiere tra vita e quanti

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Di: Clara Caverzasio 
Se la fisica quantistica non vi confonde, allora non l’avete capita.

Niels Bohr, fisico danese che diede contributi fondamentali nella comprensione della struttura atomica e nella meccanica quantistica, per i quali ricevette il premio Nobel per la fisica nel 1922

La fisica classica spiega con grande precisione il comportamento del mondo visibile: un treno che rallenta, un proiettile che segue una traiettoria, una navicella che entra in orbita rispondono a leggi prevedibili e continue. La meccanica quantistica, invece, la seconda delle strade imboccate dalla fisica del Novecento, descrive l’universo delle particelle subatomiche, dove accadono eventi che sfidano il senso comune. Come quelli in cui si manifesta l’effetto tunnel quantistico: ad esempio, quando una particella attraversa una barriera che invece, secondo la fisica classica, dovrebbe bloccarla. Un comportamento paradossale e sorprendente. La cui scoperta ebbe una portata letteralmente rivoluzionaria.

A 100 anni dalla prima formulazione della teoria quantistica, le Nazioni Unite hanno scelto di celebrare il 2025 come anno internazionale della scienza e delle tecnologie quantistiche, intese come un «vero e proprio patrimonio dell’umanità». La meccanica quantistica ha infatti cambiato radicalmente la nostra comprensione della realtà: una realtà non più rigida, ma fatta di possibilità. Alle scale più piccole, infatti, le leggi della fisica classica — quelle definite da Newton, che spiegano il moto dei pianeti o il movimento di una palla che rotola — non funzionano più. Nel mondo quantistico, nella dimensione microscopica e subatomica, le cose non avvengono in modo deterministico, ma probabilistico. In altre parole, la meccanica quantistica non ci dice dove si trova esattamente una particella, ma solo con quale probabilità possa trovarsi in un certo punto. È un universo dove tutto può essere «più cose insieme», finché non lo si osserva.

Concretamente significa che nel mondo quantistico una particella può essere in due luoghi contemporaneamente (sovrapposizione); due particelle possono restare collegate a distanza, come se condividessero la stessa informazione (entanglement); e che il semplice atto di osservare modifica ciò che osserviamo (principio di indeterminazione di Heisenberg).

Insomma il mondo non è composto solo da oggetti solidi che si urtano, ma da onde di probabilità che si trasformano in realtà nel momento in cui le osserviamo.

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Il lungo percorso della fisica

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  • Marco Pagani

Queste idee, per quanto controintuitive, sono state confermate da migliaia di esperimenti. E oggi sono alla base di tecnologie reali: nei campi della microelettronica (transistor, microprocessori), dell’ottica (laser, fibre ottiche), della medicina (risonanza magnetica), della scienza dei materiali (nanotubi, superconduttori) e nello sviluppo di tecnologie emergenti come i computer quantistici e la crittografia quantistica.

E non è un caso che quest’anno, nel centenario della rivoluzionaria teoria, il Nobel per la fisica sia andato proprio ai tre scienziati che hanno dimostrato che anche nel macro mondo, quello visibile, possono accadere fenomeni da universo quantistico.

John Clarke (University of California, Berkeley), Michel H. Devoret (Yale University e University of California, Santa Barbara), e John M. Martinis (University of California, Santa Barbara) hanno visto un circuito elettrico, abbastanza grande da essere tenuto in mano, «comportarsi come una particella: attraversare barriere, cambiare stato, tunnelare». In pratica, come scrive la fisica Gabriella Greison, «un circuito che disobbedisce alle regole della fisica classica».

Sta di fatto che, come detto, la meccanica quantistica già supporta molti dispositivi tecnologici che usiamo ogni giorno in svariati ambiti. E la scoperta premiata quest’anno con il Nobel amplia il campo.

Ma al di là delle sue applicazioni tecnologiche straordinarie, capire e conoscere la fisica quantistica significa gettare luce su molti processi naturali che avvengono nel cuore della materia, a livello atomico e subatomico, lì dove la fisica classica non basta più.

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Buon compleanno alla fisica quantistica!

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Fenomeni fondamentali come la fusione nucleare, la fotosintesi, il modo in cui percepiamo gli odori, la respirazione cellulare o i meccanismi del DNA si basano tutti, in misura diversa, su meccanismi quantistici.

In altre parole, la facoltà degli organismi viventi di autoriprodursi, conservare informazioni genetiche e mantenere un ordine organizzato sembra fondarsi su dinamiche non lineari riconducibili ai principi della fisica quantistica.

Nel nostro organismo, lo sappiamo, le cellule comunicano in continuazione per coordinare crescita, difese immunitarie, riparazione dei tessuti. Lo fanno tramite segnali chimici o impulsi elettrici, una comunicazione intricata ma nel complesso «classica», che procede passo dopo passo, molecola dopo molecola. Negli ultimi anni, tuttavia, diverse ricerche hanno iniziato a suggerire che questa rete di messaggi sia ancora più raffinata di quanto si pensasse. Vari indizi sperimentali indicano che, accanto ai meccanismi noti, le cellule potrebbero sfruttare anche effetti propri della fisica quantistica per scambiarsi informazioni con maggiore rapidità ed efficienza.

Del resto, è naturale chiedersi come è possibile che organismi estremamente semplici — come batteri o funghi — riescano a coordinarsi e a prendere decisioni collettive senza un sistema nervoso, oppure come una singola cellula possa controllare miliardi di reazioni al secondo senza andare in tilt. Per lungo tempo queste capacità sono state attribuite esclusivamente alla biochimica classica. Ma alcune osservazioni sperimentali indicano appunto che la rapidità e la precisione di tali processi non sono compatibili con una spiegazione puramente tradizionale. È come se, in qualche modo, le cellule avessero ancora qualcosa da rivelarci.

Un segreto che oggi si sta cercando di svelare: fra le ricerche più recenti, quella del fisico Philip Kurian della Howard University (dove è Principal Investigator and Founding Director del Quantum Biology Laboratory). Kurian ha scoperto che le cellule elaborano informazioni miliardi di volte più velocemente grazie al fenomeno quantistico della superradianza. A conferma non solo dell’intuizione avuta ottanta anni fa dal leggendario fisico Erwin Schrödinger, secondo la quale gli effetti quantistici svolgono un ruolo cruciale nel mantenere la stabilità genetica negli organismi viventi, ma anche delle affermazioni successive di alcuni fra i più grandi fisici teorici del ‘900. Nel 1981 Richard Feynman, comunicatore brillante e anticonvenzionale, in Simulating Physics with Computers scriveva: «Tutte le analisi che usano solo la teoria classica non mi soddisfano, perché la natura non è classica, porca miseria; se si vuol fare una simulazione della natura va fatta quantistica e, perdinci, è un problema fantastico, perché non sembra affatto facile».

In questo panorama in rapida evoluzione, la biologia quantistica si sta trasformando in disciplina riconosciuta, capace di gettare nuova luce su meccanismi fondamentali della vita. Non solo potremmo comprendere meglio come la vita sia in grado di mantenere ordine, memoria e funzionalità in un ambiente dominato dal caos, ma potremmo anche ispirarci ai meccanismi quantistici biologici per sviluppare nuove tecnologie: sensori ultra precisi, reti di comunicazione più veloci, algoritmi di calcolo più efficienti.

È una frontiera ancora aperta, che richiede prudenza e rigore sperimentale, ma che promette di collegare due mondi che per lungo tempo abbiamo considerato separati: quello dei quanti e quello della vita. Ed è proprio in questo dialogo inatteso tra fisica e biologia che potrebbe nascondersi una nuova rivoluzione scientifica.

La rivoluzione quantistica

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    • Fabio Meliciani

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