Società

Il grido filosofico di Umberto Galimberti

Famiglie assenti, scuole svuotate, giovani senza desiderio: il filosofo italiano denuncia il collasso emotivo dei giovani e l’indifferenza degli adulti

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  • IMAGO / Depositphotos
Di: TG/Mat 

C’è un’intera generazione che non sogna più. Non per ribellione, ma per resa. Umberto Galimberti lo dice senza giri di parole: «Il futuro per loro non è più una promessa». È il nichilismo, quello vero, quello che Nietzsche temeva: «Manca lo scopo, manca la risposta al perché, tutti i valori si svalutano». E noi adulti? Guardiamo altrove, mentre i ragazzi affondano.

Galimberti, intervistato da Raffaele Pedrazzini, non fa sconti. Racconta di quando a ventun anni insegnava filosofia, senza laurea, perché «non c’erano filosofi». Oggi chi si laurea in filosofia «deve sapere che non insegnerà mai». Il sapere non serve più. Il pensiero è un lusso. Il futuro è un miraggio.

La famiglia? «Un disastro». Non educa, non ascolta, non accompagna. I figli crescono «come le piante», dice Galimberti, cioè da soli, nel silenzio. E la scuola? Annaspa, svuotata di senso, schiacciata dalla burocrazia e dalla tecnica. Sì, la tecnica: il nuovo dio.

«La tecnica non è un mezzo. È un mondo». Non siamo noi a decidere come comunicare, «l’ha deciso la tecnica e noi ci siamo rigorosamente adeguati». Non è più l’uomo a usare gli strumenti, sono gli strumenti a usare l’uomo. E tutto ciò che non è razionale — dolore, amore, sogno — diventa rumore da eliminare.

Il risultato? Ragazzi incapaci di sentire. Di provare empatia. Di riconoscere l’altro. «Tutti nasciamo con l’empatia», ma se non la coltiviamo, la perdiamo. E quando la perdiamo, succede questo: «Questi ragazzi che stuprano, quando rispondono ai giudici, dicono: che cosa abbiamo fatto?». Non c’è risonanza emotiva. Non c’è coscienza. Solo alienazione.

E noi, invece di educare, regaliamo. «Il primo omicidio che i genitori fanno ai figli è sul desiderio». Parlano poco, compensano con oggetti. Ma il regalo estingue il desiderio. Lo uccide. E senza desiderio, non c’è slancio, non c’è vita.

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Umberto Galimberti: «Se ti limiti a sperare, non succede proprio niente»

RSI New Articles 10.11.2025, 16:16

  • Raffaele Pedrazzini

Galimberti non crede nella speranza. «O ti dai da fare, o se ti limiti a sperare non succede proprio niente». L’ottimismo è una favola cristiana, dice. Una scusa per non agire.

Il filosofo mette in discussione l’idea stessa di progresso, radicata nella cultura occidentale. «Il cristianesimo non è solo una religione, è un modo di pensare», afferma. Un modo di pensare che vede il passato come male, il presente come redenzione e il futuro come salvezza. Questa struttura di pensiero, secolarizzata, permea anche la scienza e persino la psicoanalisi. Ma cosa succede quando questa visione collassa?

Ci troviamo in uno spaesamento totale, dice Galimberti. E la tecnologia, lungi dall’essere la soluzione, diventa parte del problema. «La tecnica deve sempre migliorare», spiega, «perché la politica è stata messa fuori gioco dall’economia». Ma questo miglioramento continuo non porta necessariamente a una vita migliore. «Siamo sicuri di essere più felici dei nostri nonni?», chiede provocatoriamente.

Questo non è solo un grido filosofico. È una diagnosi antropologica. Una chiamata alle armi. Se non torniamo a educare - davvero, profondamente, con presenza e ascolto - ci estinguiamo. Non come specie, ma come civiltà.

Serve coraggio. Serve pensiero. Serve carne, non pixel. Serve risonanza emotiva, non notifiche. Serve desiderio, non consumo. Serve dire ai giovani: il futuro non è una trappola, è una possibilità. Ma per farlo, dobbiamo smettere di mentire. E cominciare a educare.

La sfida è immensa, ma non impossibile. Richiede un ripensamento radicale del nostro rapporto con la tecnologia, con l’educazione, con noi stessi. Richiede di riconnetterci con quelle parti di noi che la razionalità tecnica vorrebbe eliminare. Richiede di riscoprire il valore del corpo, del sogno, dell’irrazionale.

Perché, come ci ricorda Galimberti, «ogni notte vien fuori dalla nostra follia quello che propriamente noi siamo». E forse, è proprio da questa follia, da questo caos creativo, che possiamo ripartire per ridare senso e direzione alle nostre vite.

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L'intervista a Umberto Galimberti

Telegiornale 09.11.2025, 20:00

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