L’invisibile finanziario

Il capitalismo è morto. Viva il capitale

Come la finanza ha spodestato l’impresa e disorientato il conflitto sociale. Sindacati, imprese, cittadini: tutti smarriti davanti a un nemico che non ha volto

  • Oggi, 07:30
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Di: Mat Cavadini 

Il capitalismo d’impresa, quello fatto di fabbriche, investimenti reali e lavoro salariato, non è più il nemico che si conosceva. E questo disorienta tutti. I sindacati, che faticano a intercettare il conflitto in un mondo dove il lavoro è frammentato, invisibile, precario. Le imprese stesse, che si scoprono subordinate a logiche finanziarie, algoritmi, fondi sovrani e piattaforme globali. Il vecchio campo di battaglia — capitale contro lavoro — si è dissolto. Al suo posto, una nebulosa di flussi, dati, rendite e volatilità.

Oggi il capitale non produce: circola. Non investe: specula. Non assume: ottimizza. La sua forma dominante è la finanza, la sua logica è algoritmica, il suo tempo è istantaneo. Il capitalismo contemporaneo vive e si trasforma attraverso crisi pilotate, dove il valore si genera dalla volatilità più che dalla produzione.

La globalizzazione ha fatto il resto. Le imprese non sono più entità stabili legate a un territorio, ma nodi mobili in una rete planetaria, dove la produzione è delocalizzata, il lavoro esternalizzato, la fiscalità elusa. Il capitalismo industriale, con le sue fabbriche e i suoi sindacati, è stato smantellato pezzo dopo pezzo. Al suo posto, una economia logistica, dove il valore si misura in velocità di consegna e ottimizzazione fiscale. Mezzadra e Neilson parlano di «rivoluzione logistica» come nuova infrastruttura del capitale globale.

E il lavoro? Non è più il centro del sistema, ma una variabile da comprimere. Il soggetto non è il lavoratore, ma l’utente, il consumatore, il prosumer. Il capitalismo digitale monetizza l’attenzione, profila i comportamenti, intermedia le relazioni. Le piattaforme non producono beni, ma estraggono dati. Come scrive Shoshana Zuboff, «il capitalismo della sorveglianza trasforma ogni esperienza umana in materia prima per pratiche commerciali nascoste».

In questo scenario, parlare ancora di “capitalismo” rischia di essere fuorviante. Meglio dire: post-capitalismo, capitalismo mutante, capitalismo senza impresa. Un sistema dove il potere economico si è sganciato dalla produzione e si è rifugiato nella finanza, nei dati, nei flussi. Dove il valore non nasce dal lavoro, ma dalla rendita. Dove la disuguaglianza non è un effetto collaterale, ma una condizione strutturale.

Eppure, il discorso pubblico continua a inseguire fantasmi: la ripresa industriale, il rilancio dell’impresa, il ritorno alla crescita. Ma quale impresa? Quale crescita? In un mondo dove le cinque aziende più capitalizzate sono tech-finance (Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, Nvidia), e dove il PIL non misura più né benessere né produzione, il capitalismo d’impresa è un’illusione nostalgica.

Serve una nuova grammatica. Serve chiamare le cose col loro nome. Serve riconoscere che il conflitto non è più tra capitale e lavoro, ma tra capitale e società. Tra algoritmi e democrazia. Tra piattaforme e diritti. Tra rendita e redistribuzione.

Il passaggio dal capitalismo d’impresa al capitalismo finanziario e digitale (come ha evidenziato Chiara Carabini) ha effetti profondi sulla struttura sociale. Il lavoro, da sempre fondamento di identità, diritti e appartenenza, si dissolve in forme intermittenti, invisibili, non sindacalizzabili. Le comunità produttive si frammentano, i territori si svuotano, le relazioni si virtualizzano. La disuguaglianza si amplifica non solo nei redditi, ma nell’accesso al tempo, alla stabilità, alla voce. Il cittadino si trasforma in utente, il lavoratore in algoritmo, il conflitto in rumore. In questo scenario, la democrazia stessa vacilla: non perché manchi il voto, ma perché manca il potere di incidere sulle logiche che governano la vita. Il capitale non è più solo un sistema economico: è un dispositivo sociale che ridefinisce ciò che conta, ciò che vale, ciò che esiste. E chi non rientra nei suoi parametri — chi non produce dati, chi non genera profitto, chi non è tracciabile — rischia di essere espulso dal mondo.

Le parole dell'economia

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Bibliografia

Harvey, David (1993). La condizione postmoderna. Resoconto sulle origini del cambiamento culturale
Jameson, Fredric (1991). Postmodernism, or, The Cultural Logic of Late Capitalism
Shoshana Zuboff, Shoshana (2020). Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri
Mezzadra, Sandro & Neilson, Brett (2024). The Rest and the West: Capital and Power in a Multipolar World

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