A dieci anni dall’Accordo di Parigi, il verdetto è amaro: la soglia di 1,5°C non è più un limite da evitare, ma una realtà già superata. Il 2024 rischia di essere ricordato come l’anno in cui il pianeta ha varcato stabilmente quel confine simbolico, mentre governi e istituzioni continuano a celebrare strategie e piani che restano, troppo spesso, lettera morta. Il divario tra ciò che promettiamo e ciò che facciamo è diventato un abisso.
Non è la tecnologia a mancare. È la volontà politica, soffocata da una logica che privilegia «gli interessi immediati di pochi» a scapito dei «benefici di lunga durata per tutti». I sette trilioni di dollari in sussidi ai combustibili fossili erogati nel 2022 sono la prova più clamorosa di questa distorsione. Continuiamo ad alimentare il fuoco mentre il pianeta brucia.
La crisi climatica non è un concetto astratto: è una crisi di carne e ossa. Come ricorda Paolo Vineis (al microfono di Fabio Meliciani ne Il giardino di Albert), epidemiologo ambientale all’Imperial College, è «prima di tutto una crisi di corpi». L’ondata di calore del 2022 ha causato oltre 60.000 morti in Europa, colpendo soprattutto chi vive in condizioni più fragili. Perché alcuni corpi sono «più esposti, più vulnerabili, più sacrificabili di altri». L’ambiente pesa più della genetica nel determinare la nostra salute, e il nostro «esposoma» — il pacchetto di esposizioni che accumuliamo fin dal concepimento — si sta saturando di nuovi veleni: calore estremo, incendi, ozono.
Eppure, non siamo condannati. Esistono azioni capaci di generare benefici simultanei per clima e salute. Ridurre il consumo di carne significa meno emissioni e meno infarti. Usare meno l’auto significa aria più pulita e più movimento. Ripensare l’agricoltura potrebbe tagliare fino a dodici gigatonnellate di CO₂ l’anno. Sono scelte concrete, immediate, alla portata delle politiche pubbliche.
Mal di clima
Il giardino di Albert 13.12.2025, 18:00
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Per affrontare la crisi climatica la via maestra è la mitigazione, cioè la riduzione delle emissioni alla fonte, perché porta in sé un atto di giustizia globale. Grazie alla mitigazione, i paesi ricchi, responsabili storicamente della maggior parte dei gas serra, hanno il potere di proteggere anche le popolazioni più vulnerabili, che subiscono gli impatti più gravi pur avendo contribuito pochissimo al problema.
Meno democratico, invece, è la via dell’adattamento, perché rischia di diventare un privilegio riservato a chi dispone di risorse economiche e infrastrutture solide. Prepararsi a ondate di calore, alluvioni o siccità significa avere case resistenti, sistemi sanitari efficienti, tecnologie costose e reti sociali capaci di assorbire gli shock. Chi vive in abitazioni precarie, respira aria inquinata, lavora all’aperto o non può permettersi aria condizionata e cibo fresco è inevitabilmente più esposto. Le disuguaglianze sociali si intrecciano con quelle ambientali, amplificando i rischi e creando una frattura sempre più profonda tra chi può proteggersi e chi no.
La politica deve poi prendere in considerazione il fenomeno dei migranti climatici: milioni di persone costrette ad abbandonare territori resi invivibili dalla desertificazione, dall’innalzamento del mare o dalla perdita dei mezzi di sussistenza. Non si tratta di scelte, ma di necessità di sopravvivenza. Eppure il diritto internazionale non riconosce ancora lo status di rifugiato climatico, lasciando un vuoto etico e politico. La domanda diventa inevitabile: come garantire un futuro dignitoso a chi fugge non da guerre o persecuzioni, ma da condizioni ambientali insostenibili?
In questo intreccio di rischi e possibilità, la crisi climatica si rivela dunque non solo una sfida ambientale, ma anche una questione di giustizia, equità e capacità di immaginare un futuro diverso. Dieci anni dopo Parigi, gli slogan non bastano più. Serve coraggio. Serve applicare il principio di precauzione. Serve riconoscere che il clima non è un’entità esterna: è l’aria che respiriamo, i luoghi che abitiamo, le democrazie che vogliamo difendere. La sua crisi è la nostra. E la sua soluzione dipende da noi, adesso.




