Lo possiamo ascoltare nelle feste tradizionali e in quelle dedicate, così come nelle pubblicità ispirate alle atmosfere montane, al cuore del nostro paese, e qui forse i puristi potrebbero storcere il naso, ma è innegabile che lo jodel abbia un suo lato pop. Tanto che ne affiorano tracce nella musica country nordamericana e oggi fa pure ballare su ritmiche reggaeton. Ora lo troviamo anche nel patrimonio culturale immateriale di UNESCO, in cui è stato iscritto ufficialmente l’11 dicembre 2025.

Lo Jodel patrimonio dell'UNESCO
Telegiornale 11.12.2025, 12:30
Canto caratteristico che alterna il registro di petto al falsetto e utilizza sillabe prive di significato, l’inserimento nella lista dei beni da tutelare significa puntare alla sua salvaguardia e «creare consapevolezza di quello che si possiede ma anche invitare le generazioni future a tramandare questa tradizione», fa notare a Voi che sapete Francesca Luisoni, collaboratrice scientifica del Centro di dialettologia ed etnografia della Svizzera italiana. La forza di attraversare il tempo è un aspetto importante per UNESCO, il cui prestigioso elenco, osserva Luisoni, non codifica la pratica fissandone rigidamente i canoni ma, anzi, ne considera le potenzialità di trasformazione e innovazione.
Vuole ridimensionare il «mito dello jodel» l’etnomusicologo Johannes Rühl, che spiega come questa tecnica non sia esclusiva dell’arco alpino: «esiste in molte regioni del mondo, e non può essere ridotta alla leggenda di un richiamo dei pastori. È una cultura orale, non è mai stata scritta». Il termine è apparso nel Settecento, sottolinea Rühl, e lo stile canoro in Svizzera si è sviluppato in diverse varianti regionali. Aspetti che illustrano come non ce ne sia un’unica versione diffusa in tutto il paese.
Il rischio insito in riconoscimenti come questo è che la tradizione protetta si trasformi in una “cartolina”, un prodotto turistico pronto al consumo. Francesca Luisoni non vede questo pericolo per lo jodel, poiché la lista in questione mira a «sensibilizzare sull’importanza di queste tradizioni e di questa diversità culturale. Sono forme che vanno contro una globalizzazione generale».
Sul fatto invece che la candidatura sia stata promossa solo dalla Svizzera (quando abbiamo forme di jodel anche in Baviera e in Austria), Luisoni ricorda come questo aspetto fosse chiaro agli esperti incaricati di lavorarci, i quali hanno dovuto identificare «quelle tradizioni che dicevano qualcosa della specificità e dell’identità culturale del nostro territorio».
Oggi lo jodel si tramanda anche grazie ai gruppi che nascono nelle città, contesto ben lontano dalle ambientazioni bucoliche a cui si è portati ad associarlo: ciò perché «della globalizzazione siamo un po’ stanchi, anche nelle zone urbane sono contenti di partecipare a qualcosa che è veramente di qui, che è autentico», è il pensiero di Johannes Rühl.
La pratica sopravvive e si rinnova ibridandosi con generi musicali contemporanei, come lo yodelton a cui si accennava all’inizio, e questo lascia ben sperare rispetto al ruolo che le future generazioni giocheranno in questa opera di conservazione. Anche se, secondo Francesca Luisoni, le tradizioni mutano, e nell’inventario stilato per le candidature ce ne sono «che lentamente stanno sparendo e stanno lasciando spazio a qualcosa di nuovo». Inevitabile in una società che evolve, conclude la studiosa.

Lo jodel, una tradizione che vive
Voi che sapete... 15.12.2025, 16:00
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