Società

Gen Z e IA: il primo impiego è in via d’estinzione?

Le aziende scelgono sempre più spesso l’intelligenza artificiale per le mansioni di primo impiego, limitando le opportunità di inserimento professionale dei giovani. Qualcuno parla già di “jobpocalypse”

  • Oggi, 07:24
  • 2 ore fa
IA e lavoro Artificial intelligence replaces jobs Artificial intelligence replaces jobs. 3d illustration
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Di:  Emanuela Musto 

Un tempo il primo impiego era un passaggio obbligatorio: a volte sottopagato, spesso noioso, ma fondamentale per imparare, sbagliare, crescere. Oggi, quel passaggio rischia di scomparire. Secondo un recente rapporto del British Standards Institution (BSI), i giovani che si affacciano al mondo del lavoro sono tra i più esposti agli effetti dell’automazione. Il 43% dei dirigenti intervistati prevede che le posizioni di primo impiego saranno ulteriormente ridotte nel prossimo anno, mentre un quarto ritiene che la maggior parte dei compiti svolti da un collega neoassunto possa essere svolta dall’intelligenza artificiale. Il documento sottolinea che i ruoli di primo impiego — spesso basati su compiti ripetitivi, amministrativi o di supporto — sono i primi a essere informatizzati. Questo non solo limita le opportunità di inserimento professionale, ma rischia di compromettere l’intero processo di formazione sul campo, privando i giovani di esperienze fondamentali per lo sviluppo delle competenze trasversali e relazionali.

Il BSI avverte che senza un investimento parallelo nella forza lavoro, l’adozione dell’intelligenza artificiale (IA) rischia di generarne una polarizzata, dove chi è già esperto viene potenziato, mentre chi è agli inizi viene escluso. La tensione tra efficienza tecnologica e inclusione generazionale è una delle sfide decisive del nostro tempo. Il rapporto, basato su un sondaggio condotto tra oltre 850 dirigenti aziendali in sette Paesi (tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Giappone), rivela che il 41% delle aziende sta già riducendo il personale grazie a questa logica. E quasi un terzo dei leader intervistati ammette di valutare soluzioni di IA prima di considerare l’assunzione di un essere umano.

I compiti più colpiti? Tutto ciò che è ripetitivo, amministrativo, analitico: ricerca, data entry, preparazione di briefing. In altre parole, esattamente ciò che un tempo veniva affidato ai neolaureati o agli stagisti. Ma non si tratta solo di numeri. Il primo impiego ha sempre avuto un valore simbolico: è il momento in cui si entra nel mondo degli adulti, si scopre il ritmo della produttività, si impara a stare in un’organizzazione. È un rito di passaggio, spesso faticoso, ma formativo.

Cosa succede quando questo rito viene cancellato o delegato a un algoritmo? La risposta non è solo economica, ma culturale. Perdere il primo lavoro significa anche perdere un’occasione di costruzione identitaria, di socializzazione, di apprendimento informale.

Il panorama svizzero: tra adozione tecnologica e nuove competenze

Anche in Svizzera, l’intelligenza artificiale sta trasformando il mercato del lavoro, con effetti tangibili sulle posizioni di primo impiego. Secondo uno studio di Axa pubblicato ad ottobre, il 34% delle piccole e medie imprese elvetiche ha adottato consapevolmente strumenti di IA nei propri processi operativi, in netto aumento rispetto al 22% dell’anno precedente. La quota di aziende che finora hanno rinunciato all’IA è scesa dal 45% al 29%, segno di una diffusione sempre più capillare. Una tendenza che secondo Michael Hermann, responsabile dell’istituto di ricerca Sotomo (autore dello studio), porterà molte aziende a cercare «in modo mirato specialisti con competenze tecnologiche e disposti a perfezionarsi a ciclo continuo».

Un rapporto di PwC mostra che gli annunci di lavoro legati all’IA in Svizzera sono passati da 2.000 nel 2018 a oltre 20.000 nel 2024. Tuttavia, le professioni femminili e i ruoli junior restano tra i più esposti al rischio di automazione, sollevando interrogativi sulla parità di accesso e sulla sostenibilità occupazionale. Per i giovani, il rischio è quello di restare bloccati in una sorta di limbo: troppo qualificati per essere ignorati, ma troppo inesperti per essere preferiti all’efficienza dell’IA. Un terzo dei dirigenti ammette che il proprio primo lavoro, oggi, non esisterebbe più. Il risultato è una generazione che fatica a entrare nel mercato del lavoro, che si sente sostituibile prima ancora di iniziare, e che guarda al futuro con crescente disillusione. Per chi non ha ancora iniziato, la paura è ancora più paralizzante.

Per affrontare la crisi del primo impiego potrebbe essere necessario un intervento coordinato tra istituzioni, aziende e società. Le scuole e le università dovrebbero aggiornare i programmi formativi, puntando su competenze digitali e esperienze pratiche, mentre le imprese potrebbero introdurre programmi di onboarding ( processo di inserimento e integrazione di un nuovo dipendente in un’azienda) ibrido e investire nella formazione continua dei giovani. Inoltre, le politiche pubbliche dovrebbero incentivare l’assunzione giovanile con sgravi fiscali e fondi dedicati, monitorando l’impatto dell’automazione. Infine, i giovani stessi possono reagire investendo nell’autoformazione, nel networking e nell’attivismo digitale, contribuendo a ridefinire il valore del lavoro in un’epoca dominata dagli algoritmi.

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L’IA può essere sicuramente un alleato, ma non può sostituire l’esperienza umana, la creatività, l’empatia — qualità che si sviluppano proprio nei primi anni di lavoro. Ignorare questo significa costruire un futuro efficiente, ma fragile. L’”apocalisse del primo impiego” non è solo una crisi occupazionale: è una trasformazione profonda del nostro rapporto con il lavoro, con il tempo, con il valore delle persone. È una sfida che riguarda scuole, università, aziende e istituzioni. Ma anche noi, come società: siamo pronti a ripensare il significato del “primo impiego” in un mondo dove il primo candidato è un algoritmo?

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