Editoriale

Gaza, la Cisgiordania e il paradigma coloniale

Dalla distruzione alla riconfigurazione neoliberale. Il colonialismo predatorio continua a plasmare la politica internazionale

  • Oggi, 07:00
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Occhi puntati sulla Cisgiordania

  • Keystone
Di: Mat Cavadini 

Le recenti proposte avanzate da Donald Trump e Tony Blair per il “futuro” di Gaza si inseriscono in una cornice ideologica che riproduce, sotto nuove forme, la logica del colonialismo predatorio. Presentate come iniziative di ricostruzione e stabilizzazione, queste proposte delineano un modello di governance esterna, tecnocratica e depoliticizzata, che mira a trasformare Gaza in una zona economicamente funzionale, ma politicamente svuotata. Il passaggio da una dominazione militare diretta a una gestione neoliberale del territorio non rappresenta una rottura, bensì una continuità: si tratta di una riconfigurazione del dominio, non della sua abolizione. Questo scenario prende forma proprio mentre il “piano di pace” proposto da Trump (il suo grande “capolavoro” come da più parti è stato definito) è in fase di attuazione. Ed è sollievo, per questo!

Cionondimeno le proposte di Blair e Trump, che prevedono la creazione di una zona “deradicalizzata” e la gestione del territorio da parte di un’autorità internazionale, ripropongono il modello del mandato coloniale, già sperimentato nel Medio Oriente del primo Novecento. L’assenza di qualsiasi coinvolgimento palestinese nel processo decisionale conferma la persistenza di un binarismo gerarchico: da un lato, il salvatore occidentale, razionale e civilizzatore; dall’altro, la vittima assoluta, passiva e priva di agency. Questo schema non solo perpetua la disumanizzazione, ma impedisce la possibilità di autodeterminazione.

Allo stesso tempo, la Cisgiordania resta drammaticamente esclusa dal cosiddetto “piano di pace”. Mentre l’attenzione internazionale si concentra su Gaza e sulla tregua, i coloni israeliani — spesso protetti o affiancati dall’esercito — continuano a esercitare una violenza sistematica contro la popolazione palestinese. Solo nell’ottobre 2025 si sono registrati decine di attacchi a raccoglitori di olive nei pressi di Nablus e Salfit, costretti ad abbandonare i propri terreni. Secondo la Colonization & Wall Resistance Commission, negli ultimi due anni si contano oltre 38.000 episodi di aggressione, demolizione o esproprio in Cisgiordania. Questo contesto di brutalità diffusa, che include incursioni notturne, arresti arbitrari e demolizioni di abitazioni, dimostra come il progetto coloniale israeliano non sia confinato alla Striscia, ma si estenda in modo capillare anche nei territori formalmente amministrati dall’Autorità Nazionale Palestinese. Il piano Trump-Blair, nel suo silenzio su questi crimini, non solo li legittima, ma li normalizza, confermando l’irrilevanza della sovranità palestinese nella visione geopolitica dominante.

07:09

Il futuro della regione

Telegiornale 13.10.2025, 20:00

La retorica della “ricostruzione” e dello “sviluppo” maschera una realtà di espropriazione e controllo. Gaza viene trattata come uno spazio da reinserire nel circuito globale del capitale, attraverso investimenti, turismo e infrastrutture, senza alcuna restituzione storica o giuridica. La violenza non è più solo militare: è epistemica, economica, simbolica. La governance proposta non mira a restituire sovranità, ma a gestire l’instabilità, a contenere il dissenso, a normalizzare l’ingiustizia.

In questo contesto, è fondamentale rifiutare le narrazioni neutralizzanti e riconoscere la natura coloniale del progetto. Parlare di “conflitto” o di “crisi umanitaria” significa occultare le strutture di dominio che lo rendono possibile. Gaza non è un territorio da pacificare, ma una comunità da ascoltare, da riconoscere nella sua storia e nella sua resistenza. Solo un cambiamento radicale di prospettiva — che metta al centro la giustizia, la memoria e la restituzione — può interrompere la riproduzione del paradigma coloniale. Un paradigma che, come teorizzato da studiosi quali Patrick Wolfe, Ilan Pappé e Edward Said, non si limita alla conquista territoriale o alla subordinazione politica, ma si manifesta attraverso pratiche di espropriazione sistematica, cancellazione culturale e riduzione dell’altro a oggetto di intervento. La logica sottostante è quella della sostituzione: eliminare la presenza indigena, riscrivere la storia, imporre una narrazione egemonica.

03:29

Il commento di Reto Ceschi

Telegiornale 13.10.2025, 20:00

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