Nel film Non sono un uomo facile (2018), la regista Eléonore Pourriat immagina come sarebbe la società se le donne si comportassero come gli uomini. Ma se provassimo invece a immaginare un mondo in cui gli uomini si comportano come le donne?
Lo hanno fatto l’economista Ginevra Bersani Franceschetti e la storica Lucile Peytavin, nel saggio Il costo della virilità. Quello che l’Italia risparmierebbe se gli uomini si comportassero come le donne (Il Pensiero Scientifico Editore, 2023), scritto a quattro mani sulla scia dell’analogo Le coût de la virilité : ce que la France économiserait si les hommes se comportait comme les femmes, opera della sola Peytavin (Anne Carriere Eds, 2021).
«In Italia, gli uomini sono responsabili della maggior parte dei comportamenti antisociali», documentano le autrici: nel 2018 sono stati responsabili dell’82% dei reati. Rappresentano il 92% degli imputati per omicidio, quasi il 99% degli autori di stupri, l’83% degli autori di incidenti stradali mortali, e oltre il 95% della popolazione mafiosa e carceraria. Sono uomini anche la stragrande maggioranza di chi evade le tasse, compie furti o commette usura. I dati in questo saggio riguardano l’Italia, ma le percentuali in Svizzera non sono così diverse, al netto della peculiarità della mafia, che merita un paragrafo a parte. Per fare un paragone: in Ticino nel 2023 il 76,5% delle persone imputate per infrazioni al Codice penale erano uomini (UST Statistica criminale di polizia, Rapporto annuale Ticino 2023). Erano uomini il 75,46% di persone imputate per reati violenti, il 94% di quelle imputate per aver compiuto reati gravi, il 73% di quelle imputate per reati di poca entità.
Sono cifre impressionanti, e documentate minuziosamente. Eppure Bersani e Peytavin notano, incredule, che «tale squilibrio non è quasi mai oggetto di approfondimento nella nostra società» (e questo si nota anche nel Rapporto annuale Ticino 2023 citato). Ci concentriamo sull’età o sulla provenienza, passiamo sotto silenzio il fatto che «se non tutti gli uomini sono criminali e delinquenti, la quasi totalità dei criminali e dei delinquenti sono uomini».
Questa frase ricorda qualcosa? L’ormai noto motto «Non tutti gli uomini, ma sempre uomini», ripetuto fino alla nausea dalle femministe quando parlano di femminicidi, in realtà è molto più versatile: si adatta a quasi tutti i comportamenti dannosi, pericolosi, violenti, antisociali e, in generale, costosi per la società.
«Il costo della virilità [...] è la differenza che esiste, in ogni categoria di reato, tra l’importo speso per il comportamento degli uomini e quello speso per il comportamento delle donne», cioè «il risparmio che potrebbe essere realizzato dallo stato italiano se gli uomini si comportassero come le donne».
Con un’analisi accurata e rigorosa, Bersani e Peytavin hanno quantificato il costo che l’Italia paga per questa cultura che definiscono “virilista”, negli ambiti dell’applicazione della legge (polizia e soccorso), giustizia e salute: circa 98 miliardi di euro all’anno. Per fare un paragone: la spesa pubblica per l’istruzione nel 2023 in Italia è stata di circa 82 miliardi di euro.
Bersani e Peytavin demoliscono l’idea che la violenza, la criminalità e la sopraffazione siano tratti innati negli uomini. Al contrario, dimostrano che sono le risposte a un preciso modello culturale, che si è sviluppato nel corso dei millenni. «La nozione di virilità prende corpo alla fine del Neolitico, con l’avvento delle armi metalliche che permettono alla potenza maschile di imporsi simbolicamente e concretamente», spiegano. Altro che testosterone, altro che differenze neurologiche: l’idea di virilità non ha origini “naturali”, ma è il risultato di un lungo processo culturale. Le radici della violenza affondano nell’educazione: gli uomini non nascono violenti, le donne non nascono pacifiche: lo diventano.
La virilità ha un costo ingente per le donne, ma anche per gli uomini: se un uomo piange, non è un vero uomo. Se mostra debolezza, è un fallito. In buona sostanza, deve dimostrare tutta la vita di meritarsi l’etichetta di “uomo”. Sono sotto giudizio anche le sue azioni più banali: «Guidare un’auto elettrica, usare una borsa riutilizzabile, acquistare prodotti biologici, riciclare i rifiuti, ecc. non sono azioni considerate come generalmente virili», commentano Bersani e Peytavin.
In The Stag. Se sopravvivo mi sposo (2013) un gruppo di amici si ritrova per un addio al celibato. Viene però loro imposta la presenza del “virilissimo” The Machine – il nome è un programma – fratello della futura sposa. La sua sola presenza turba gli amici dello sposo, dal carattere più tranquillo. La gita nei boschi si trasforma in una continua sfida per la sopravvivenza, perché The Machine li espone a una serie di prove di forza e di virilità. Ma in fondo entrambe le tipologie di uomo sono frutto di una società che vuole gli uomini pilastri di razionalità e freddezza oppure spacconi imprudenti e violenti. Sono due facce della stessa medaglia. È The Machine che alla fine rompe l’inganno, e mostra la sua vulnerabilità. I sei uomini capiscono che possono permettersi di esprimere le proprie emozioni, rivelando la mascolinità per quello che è: una performance.
Al modello di maschilità virile si contrappone quello di Ted Lasso, protagonista dell’omonima serie tv (2020-2023). Ted è un allenatore che rifiuta la mascolinità tossica e competitiva, abbracciando caratteristiche considerate tradizionalmente “femminili”. Non teme di mostrarsi vulnerabile ed esprime la sua identità attraverso la gentilezza, l’empatia e un approccio emotivamente aperto. Il suo metodo dimostra che non sono la forza o il successo a definire un uomo, ma la capacità di essere una persona complessa e consapevole, creando un ambiente più sano, relazioni più profonde e una crescita collettiva.
La virilità non è un fatto biologico, ma un’armatura pesante che impedisce il movimento, la connessione e la libera espressione della nostra umanità. Un’armatura che ha costi colossali per la società: quasi 100 miliardi di euro l’anno per la sola Italia. La responsabilità di smantellare questo sistema è di ogni persona. «L’educazione data alle donne costruisce dei cittadini molto più adatti a vivere in società», notano Bersani e Peytavin. E quindi «perché, mentre la metà della popolazione (le ragazze) è educata a rispettare le regole che regolano la nostra società, non fare lo stesso con l’altra metà (i ragazzi)?».
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