Abbassare il termostato, spegnere le luci, fare la doccia più breve: sono i mantra della sostenibilità quotidiana, ripetuti come formule salvifiche. Ma dietro questa retorica si nasconde una verità scomoda: la scelta ecologica non è democratica. Perché non tutti possono permettersela.
Chi vive in case mal isolate, con impianti obsoleti e redditi bassi, non ha margini di manovra. Non può scegliere di consumare meno: lo fa già, per necessità. Eppure, è proprio su queste fasce che si scarica la colpa del cambiamento climatico, come se la crisi fosse causata da chi fatica a pagare la bolletta, e non da chi vola ogni weekend o investe in SUV elettrici.
La povertà energetica è una condizione invisibile, ma diffusa. Milioni di persone vivono in abitazioni inefficienti, dove riscaldarsi è un lusso e cucinare diventa un calcolo. Mentre le classi agiate installano pannelli solari e pompe di calore, i più fragili restano esclusi dalla transizione ecologica. Non per mancanza di volontà, ma per mancanza di mezzi.
L’efficienza energetica è diventata un privilegio. E la sostenibilità, se non accompagnata da giustizia sociale, rischia di rafforzare le disuguaglianze. Chi può permettersi di “consumare meglio” viene celebrato; chi consuma meno perché non ha scelta, viene ignorato. È il paradosso verde: l’ecologia come status, non come diritto.
In Svizzera, dove il dibattito sulla neutralità climatica si intreccia con quello sulla giustizia fiscale, il rischio è quello di una transizione a due velocità. Le famiglie a basso reddito, spesso migranti o anziani, vivono in edifici vecchi e non ristrutturati, mentre le classi più agiate beneficiano di incentivi e sgravi per rendere le proprie abitazioni sostenibili. Il risultato? Un’ecologia che premia chi ha già i mezzi, e ignora chi ne avrebbe più bisogno.
Le novità in materia energetica, fra tariffe, risparmi e incentivi: è tutto chiaro?
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In questo scenario, la retorica del risparmio diventa una forma di colpevolizzazione. Si invita a “fare la propria parte”, ma si dimentica che non tutti hanno le stesse possibilità. La responsabilità individuale viene esaltata, mentre quella sistemica viene diluita. Non è la doccia lunga a causare la crisi climatica, ma i modelli produttivi, le scelte politiche, le disuguaglianze globali.
Serve un cambio di prospettiva. Non basta distribuire consigli, se non si distribuiscono anche risorse. La giustizia climatica non può prescindere dalla giustizia sociale. E la sostenibilità, per essere reale, deve essere accessibile. Altrimenti, sarà solo un’altra forma di esclusione.
Un mondo più verde non può essere un mondo più ingiusto. E la transizione ecologica non può diventare una nuova frontiera della disuguaglianza. Perché se il futuro è davvero di tutti, allora anche la possibilità di costruirlo deve esserlo.
Cristian Scapozza (1./5)
In altre parole 25.11.2024, 08:18
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