Società

Sovrappopolazione: numeri, diritti, biosfera

Un viaggio interdisciplinare tra scienza, società e natura: Alfonso Lucifredi affronta il tabù della sovrappopolazione, interrogando esperti e giovani sul futuro di un pianeta abitato da otto miliardi

  • 9 dicembre, 08:00
  • 9 dicembre, 09:41
sovrappopolamento
Di: Clara Caverzasio 

Quando Alfonso Lucifredi sceglie di intitolare il suo libro Troppi (Conversazioni sulla sovrappopolazione umana e sul futuro del pianeta, Codice Edizioni, Premio Galileo 2026 per la divulgazione scientifica) non lo fa per provocazione gratuita. Quel titolo è, come lui stesso spiega, «una presa di posizione di cui mi prendo la responsabilità». Ma è anche il punto di partenza di una riflessione su un tema spesso rimosso che attraversa dati scientifici, questioni sociali, prospettive biologiche e interrogativi morali. 

«La sensazione che siamo troppi—dice Lucifredi—va verificata scientificamente. Oggi sul pianeta ci sono oltre otto miliardi di persone, ed è un numero reale, concreto. Ma la domanda vera è: tutte queste persone hanno accesso a cure mediche, acqua potabile, istruzione, diritti garantiti? E soprattutto: riusciamo a non danneggiare in modo irreversibile il resto della biosfera? È questo il punto da cui partire».

Negli ultimi decenni il tema della crescita demografica è stato spesso affrontato con toni apocalittici, mentre nel frattempo i principali modelli hanno iniziato a divergere. Per anni le proiezioni delle Nazioni Unite hanno indicato un aumento deciso della popolazione mondiale; negli ultimi anni altri centri di ricerca hanno prodotto previsioni più conservative, parlando persino di una stabilizzazione già a metà secolo. Le Nazioni Unite stesse, nei report più recenti, hanno drasticamente rivisto i loro scenari.

«La demografia non è una scienza esatta—ricorda Lucifredi—e nessuno ha la sfera di cristallo. L’ipotesi più condivisa è stata per lungo tempo quella dei 10,4 miliardi a fine secolo. Ma altre stime parlano di un picco molto più basso, intorno agli 8,7 miliardi. È un ventaglio di possibilità molto ampio. Ciò che però non cambia è il presente: siamo già in tanti, e dobbiamo chiederci se questi otto miliardi vivono bene, se riusciremo a evitare nuove pandemie, a garantire diritti a tutti. Prima ancora di preoccuparci del numero futuro, dobbiamo guardare a come viviamo oggi».

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A questo proposito una domanda cruciale riguarda la distribuzione delle risorse e la struttura dei sistemi economici. Anche con cinque miliardi di persone, se le dinamiche restassero le stesse, non vivremmo forse in condizioni molto diverse dalle attuali.

Lucifredi non elude il tema:

«Questa è una delle obiezioni più fondate, ed è quella progressista: non è questione di quanti siamo, ma di come è organizzata la società. Dall’altra parte c’è l’obiezione conservatrice, secondo cui in molte regioni del mondo si fanno troppo pochi figli e questo minaccerà l’economia. Sono entrambe posizioni legittime. Io non escludo affatto la giustizia sociale dall’equazione: anzi, dove la natalità è molto alta spesso la società non è sana, perché tanti figli sono un indicatore di mancanza di diritti, sicurezza e prospettive. E poi c’è il punto di vista biologico: non si è mai vista, nella storia della vita sulla Terra, una singola specie di mammifero di medie-grandi dimensioni arrivare a otto miliardi di individui. È un’anomalia con impatti enormi sulla biosfera».

Uno dei contributi originali del libro sta proprio nella prospettiva biologica (Lucifredi è naturalista di formazione), ovvero non guardare solo agli esseri umani, ma all’intero sistema vivente.

«Secondo me siamo in sovrappopolazione già ora, molto oltre le capacità produttive sostenibili del pianeta—afferma—. Certo, la tecnologia potrà aiutarci a ridurre gli impatti, dall’uso del territorio alle emissioni. In quel caso forse otto miliardi potrebbero vivere bene, lasciando spazio a ciò che resta della natura selvaggia. Io sarei più felice se la natura selvaggia fosse ricca come cinquanta o cento anni fa. Ma bisogna trovare compromessi e capire che questi processi non cambiano da un giorno all’altro. Non voglio dipingere scenari catastrofisti: voglio che il tema dell’essere così tanti, un tema tabù, venga discusso. È alla base di molti problemi: dal clima alla giustizia sociale. E sì, penso che se fossimo un po’ meno si vivrebbe meglio: è una mia opinione personale, non l’assunto del libro».

I numeri però, come evidenzia lo stesso Lucifredi, ci dicono molto ma non tutto: non è solo una questione di “numero di persone”, ma di “come” le risorse vengono utilizzate, e di chi paga il prezzo della transizione ecologica.

Ma allora, lo sollecitiamo, a seconda di come le persone si interfacciano con l’ambiente e si relazionano tra di loro, possono risultare tanti, troppi oppure no, perché se l’essere umano dovesse finalmente imparare a convivere e ad approcciarsi con il resto del vivente e della natura di cui fa parte lui stesso, in modo equilibrato e rispettoso, probabilmente otto miliardi di persone non sarebbero un problema.

«Sì sono d’accordo, è vero che il numero assoluto è solo un pezzo del problema, ma lo è altrettanto il fatto che il nostro rapporto con la natura è condizionato da una profonda ignoranza: noi siamo profondamente ignoranti per tutto quello che riguarda il resto del mondo naturale. Durante esplorazioni sottomarine sistematiche si scoprono ogni volta decine di specie nuove. Proprio recentemente abbiamo osservato per la prima volta dal vivo un cetaceo delle dimensioni di una piccola automobile: prima ne conoscevamo solo resti o scheletri. Come possiamo proteggere ciò che non conosciamo? Il primo passo è la conoscenza».

E proprio per cercare di conoscere e capire, e di dare una visione equilibrata e completa su una problematica “scomoda” e complessa come quella della sovrappopolazione, l’autore opta per un approccio interdisciplinare, intervistando esperti di varie discipline, dalla fisica del clima all’economia, dalla demografia alla medicina, dalla biologia all’agricoltura, così che il libro si struttura come una serie di interviste-conversazioni. In tal modo Lucifredi esplora non solo le previsioni demografiche, ma anche le implicazioni: come l’aumento della popolazione influenzi le risorse naturali, il suolo agricolo, la biodiversità, l’inquinamento e la sostenibilità.

Tra i vari specialisti da lui interpellati—e che includono anche voci controcorrente ed estreme, come ad esempio quella di Les U. Knight, fondatore del Movimento per l’estinzione umana volontaria—due in particolare lo hanno colpito e ispirato: il primo è Roberto Scaini, ex vicedirettore di Medici Senza Frontiere.

«È un medico di frontiera che ha lavorato nelle peggiori epidemie. Parlare con lui mi ha fatto capire come in molte regioni povere la natalità sia percepita diversamente che da noi: lì per esempio la perdita di un figlio diciottenne può essere più drammatica di quella di un neonato, perché un figlio già grande è anche un aiuto, un supporto per la famiglia. Sono ragionamenti che a noi sembrano crudeli, ma riflettono realtà culturali e materiali molto diverse dalle nostre».

Un altro contributo per lui fondamentale è quello dell’antropologa Serena Fiorletta di AIDOS, che ha aiutato Lucifredi a comprendere quanto l’empowerment femminile sia decisivo per affrontare sia l’alta natalità in alcuni paesi che la denatalità in altri:

«Quando le donne hanno diritti, istruzione superiore, possibilità di lavorare e di avviare attività proprie, si fanno figli perché li si desidera, non per necessità o tradizione. E il numero medio di figli scelti è molto più vicino a due che non a dieci o a zero».

L’empowerment femminile è dunque una delle soluzioni illustrate nel libro, soprattutto per gestire un’eccessiva natalità.

C’è poi però anche il rovescio della medaglia, ovvero la denatalità—qualcuno a questo proposito parla addirittura di Age of Depopulation—, un fenomeno che sta interessando non solo l’Europa, ma molte altre parti del mondo: come scrive e ci ricorda Lucifredi, si fanno pochissimi figli in Corea del Sud e a Taiwan; in India se ne fanno molti meno di quanto si pensi, e anche in Cina. Per cercare di risolvere questo problema, la soluzione proposta potrebbe non piacere a molti:

«Capisco perfettamente che sia un problema enorme per l’economia. Ma le politiche di sostegno alla natalità adottate finora sono inefficaci, perché non affrontano le vere difficoltà dei genitori: non basta qualche centinaio di euro in assegni familiari per tirare su un figlio, occorrono accesso ai nidi, servizi, stabilità, lavoro. L’immigrazione invece è la soluzione più rapida; certo, pone problemi culturali e linguistici, ma permette di riequilibrare la popolazione nel giro di una o due generazioni. Ignorare questo fatto mi sembra poco realistico».

Sarà anche per questo che il libro sembra aver avuto particolare presa sui lettori più giovani, che lo hanno votato decretando la sua vittoria al premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica. Oggi, infatti, molti ragazzi guardano al futuro con preoccupazione: non solo per l’instabilità del lavoro, ma anche per gli effetti della crisi climatica e per il timore di un pianeta impoverito di risorse. Un insieme di fattori che, alimentando l’ecoansia, porta sempre più persone a rivedere la scelta di avere figli. 

«Forse il libro è piaciuto ai giovani perché parla di futuro—aggiunge Lucifredi—. Parla del mondo in cui vivranno tra dieci, venti trenta anni. E tratta problemi concreti, che determineranno il pianeta che abiteranno. I ragazzi vogliono capire cosa dovrebbe fare la politica, la società, per garantire un futuro vivibile. È normale che si sentano coinvolti». 

Chiudiamo con un’ultima sua considerazione: questi giovani potrebbero essere parte della soluzione e non solo del problema, a condizione però che si agisca collettivamente: 

«Io credo molto nel lavoro corale dell’umanità. Quando collaboriamo, realizziamo cose straordinarie: nella scienza, nella medicina, nello spazio. I singoli contano, ma la vera forza nasce quando le persone cooperano a livello internazionale. L’obiettivo non dovrebbe essere il bene di una nazione, ma il benessere dell’umanità e del resto del vivente. La differenza la faremo insieme, non da soli». 

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