Editoriale

La svolta della Germania e il ritorno degli ammiragli

Riarmo, generali che tornano al centro della scena, industria che si riconverte alla produzione bellica: un impeto bellicista scuote l’Europa

  • Ieri, 08:00
Ammiraglio Cavo Dragone
Di: Mat Cavadini 

Il riarmo della Germania, con un piano da 900 miliardi di euro che intende trasformare l’industria bellica nella nuova locomotiva nazionale, non può essere liquidato come semplice adeguamento alle sfide globali. È un terremoto politico e culturale che rimette in discussione l’equilibrio europeo costruito faticosamente dopo il 1945.

Per decenni Berlino ha preferito il ruolo di potenza economica, lasciando a Parigi la guida militare dell’Unione. Oggi, invece, la Germania si propone come nuovo centro della difesa europea, con aziende come Rheinmetall che riconvertono stabilimenti automobilistici in fabbriche di armi. Non è un dettaglio: significa che la crisi dell’automotive viene compensata da un’economia di guerra, con la retorica del «dovere di proteggere l’Europa» che giustifica la militarizzazione della società. Il cancelliere in pectore Friedrich Merz ha dichiarato, non a caso, che «il futuro del mondo si crea in Europa».

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Un carro armato dell'esercito ucraino

L’Europa al riarmo

Kappa e Spalla 28.11.2025, 17:35

  • Keystone
  • Natascha Fioretti

Ma dietro questa frase si cela un’ambizione egemonica: plasmare il futuro da Berlino, con i generali tornati protagonisti nelle conferenze internazionali e nei vertici NATO. Non più figure marginali, ma volti mediatici, quasi star televisive, che parlano di deterrenza, di «preparare i tedeschi a un possibile attacco russo». La Germania ha persino chiesto all’Unione Europea la deroga al «Patto di stabilità» per liberare la spesa militare dai vincoli di bilancio. In altre parole: la disciplina fiscale vale per scuole e ospedali, ma non per i carri armati. È un messaggio chiaro: la priorità è la difesa, anche a costo di sacrificare il welfare.

Questa svolta bellicista si accompagna a un linguaggio che inquieta. Si parla di «economia di guerra», di «mobilitazione industriale», di «preparazione della popolazione». Cantieri navali pronti a sfornare fregate in serie, partnership tecnologiche per reti di comunicazione tattica, missili Joint Strike per i caccia F-35, scudi spaziali pronti ad entrare in funzione. È un lessico che riporta alla mente epoche che si pensavano sepolte.

Il problema non è solo tedesco. L’Europa intera rischia di essere trascinata in una spirale di militarizzazione (sociale, politica, economica, culturale), con Berlino che detta l’agenda e gli altri al seguito. L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare della NATO, ha parlato di recente di «guerra ibrida» contro la Russia, affermando che un attacco cibernetico preventivo possa essere considerato difensivo. Una dichiarazione che mostra come la retorica bellicista non sia confinata a Berlino, ma attraversi l’intera architettura occidentale, dalla NATO ai governi europei. La Francia vede minacciato il suo ruolo tradizionale, l’Italia si adegua senza fiatare, i Paesi baltici applaudono.

Chi mette in dubbio che questa corsa agli armamenti possa accrescere davvero la sicurezza (denunciando altresì il rischio di una escalation delle tensioni) viene bollato come un ingenuo pacifista. Eppure la storia insegna che quando i generali tornano a occupare la scena pubblica, la politica abdica. La Germania, che aveva fatto del «mai più guerra» un pilastro identitario, oggi sembra pronta a riscrivere quel motto. Non è solo un riarmo: è un cambio di paradigma culturale, un ritorno a un passato che rischia di diventare presente.

Il riarmo tedesco (ed europeo) non è una questione tecnica di bilancio o di deterrenza. È una scelta di civiltà. E la civiltà europea, che si era costruita sull’idea di pace e cooperazione, oggi appare minacciata da una nuova furia bellicista che, sotto il pretesto della sicurezza, rischia di riportarci indietro di settant’anni.

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Il grande gioco - Ariècco i generali

RSI Cultura 27.05.2021, 09:00

  • RSI
  • Andrea Rigazzi

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