Narra la leggenda che nelle dodici notti che vanno dal 24 dicembre al 6 gennaio gli spiriti del regno dei morti vagano sulla terra, richiamati proprio dalla nascita del divin bambino. Un periodo, quello tra Natale ed Epifania, in cui il tempo storico si arresta e presente e passato si trovano a coesistere. La più popolare rappresentazione di questa dimensione metastorica dei giorni natalizi è il presepe napoletano. Non quello settecentesco, che le élites borboniche commissionavano ai maestri del barocco e allestivano con sfarzo nella luce dei saloni affrescati, bensì quello della gente comune, espressione di ciò che Roberto De Simone chiamava «una passione collettiva, una frenesia rituale, una febbre identitaria, un sabba devoto». Al grande compositore, regista e studioso di tradizioni popolari scomparso ad aprile, Einaudi ha appena reso omaggio ristampando Il presepe popolare napoletano, un itinerario iniziatico (secondo il prefatore Marino Niola) attraverso narrazioni, leggende e miti che il dogma della nascita del bambino riesce a coagulare intorno a sé nella tradizione presepiale popolare.

Pozzo di Maria
Della collaborazione con Roberto De Simone si è arricchito il Presepe Favoloso creato nella bottega della famiglia Scuotto ed esposto nella sagrestia della Basilica di Santa Maria della Sanità a Napoli: un’opera monumentale, che occupa una superficie di dieci metri quadrati, alta più di due metri, popolata da oltre cento personnaggi e osservabile da ogni lato. Ma soprattutto un’opera splendida, con i pastori in terracotta, gli abiti realizzati a mano, gli occhi in vetro dipinto… I fratelli e le sorelle Scuotto l’hanno donata alla città e alla chiesa del loro quartiere, la Sanità, un rione che è il vero ventre di Napoli perché sorge sopra le sue viscere e a quelle dà accesso. Qui si apre, infatti, una delle porte all’ade, cento gradini scavati nel tufo che conducono al sistema di catacombe della città sotterranea.
La Neapolis greca, quella romana e poi quella paleocristiana convivono con la città odierna, in una osmosi che tiene il mondo dei vivi sempre in contatto con quello dei morti. E se la luminosità è il tratto distintivo del presepe nobiliare settecentesco, ispirato alla tradizione pittorica dell’idillio (tra le prestigiose collezioni conservate nella parte alta della città, presso il Museo Nazionale di San Martino, quella di Cuciniello è la più nota), il presepe popolare è invece un notturno.

Carmelitani in processione
Del rapporto col regno infero il Presepe Favoloso è dunque teatro (scenografia di Biagio Roscigno) dove i personaggi della liturgia natalizia convivono con le «anime pezzentelle», le ombre inquiete dei morti che si rivolgono ai vivi e che in certe tradizioni campane sono presenti da sempre nella rappresentazione della Natività.
Tra i molti personaggi che emergono dalle tenebre, quello della monaca Mafalda è forse uno dei più gotici, che ben incarna questa dimensione purgatoriale dell’universo presepiale: la leggenda è quella della principessa Cicinelli che, innamorata di un paggio, viene costretta dal padre a prendere i voti. Il padre decapiterà il giovane, lei raccoglierà la testa dell’amato, la porrà nella sua bisaccia e si pugnalerà il cuore con la stessa arma che ha ucciso lui. Secondo la leggenda, durante la notte di Natale la monaca Mafalda appare nei pressi di un ponte, con la testa dell’amato nella bisaccia e il coltello piantato nel cuore. Una variante botanica di questa storia, con protagonista la regina Giovanna D’Angiò – che avrebbe lasciato scorrere il sangue dell’amato su un vaso di fiori bianchi, diventati poi rossi – lascia ipotizzare un rapporto con la novella decameroniana di Lisabetta da Messina.

Mafalda
Insomma, per penetrare nel Presepe Favoloso bisogna avere dimestichezza con molte chiavi d’accesso. Ad esempio, bisogna avere nell’orecchio la Cantata dei pastori, o La nascita del verbo umanato, opera sacra in versi del 1698 composta dal drammaturgo gesuita Andrea Perrucci. Rappresentata per oltre due secoli a Napoli, nel periodo natalizio, fu riproposta fin dal 1974 proprio da Roberto De Simone (poi da Peppe Barra). La vicenda racconta di un consorzio di diavoli, capeggiati da Satana e Belfagor, determinati ad impedire la nascita del figlio di Dio, che avrebbe redento gli uomini dal peccato originale. Il viaggio verso Betlemme di Maria e Giuseppe diventa così un percorso ad ostacoli che solo grazie all’Arcangelo Gabriele arriva a destinazione. Si tratta di un’opera comica, naturalmente, raccontata dal punto di vista di due improbabili testimoni, giunti sulla scena direttamente da Napoli: lo scrivano Razzullo e il gobbo Sarchiapone.

Diavolo incatenato
Avendo in mente questa sfrenata pastorale si possono riconoscere e capire nella loro funzione i diavoli che compaiono nel Presepe Favoloso – e che nei presepi tradizionali popolari avevano già diritto di cittadinanza, prima che oscurantismo e banalizzazione li espungessero dal quadro. La sensibilità visionaria degli Scuotto non solo li ha riportati al loro legittimo posto, ma ha saputo declinare la potenza seduttiva del demonio con una lingua al tempo stesso classica e attualizzante: il fisico scultoreo del diavolo nero in catene s’ispira a quello del David michelangiolesco eppure sembra illuminato della luce inquietante di un sala pesi. Perché la tradizione esiste e vive solo se reinterpretata continuamente dallo sguardo di chi sa leggerla.
Niente di meno nello sguardo di Emanuele Scuotto, la cui raffinata ricerca di scultore impregna anche la sua arte presepiale di una dimensione universale – così, nel corteo dei diavoli, l’artista ha immaginato la splendida e perturbante figura dell’ermafrodito, che oggi è diventata una scultura autonoma, dalla forza simbolica potentissima che dice la natura consustanziale degli opposti, del bene e del male. Per chi sa coglierne la bellezza, l’ermafrodito è una figura che incarna l’essenza scandalosamente polimorfa della città di Napoli stessa.

Lupo mannaro
La città, ecco un’altra chiave per accedere a quella che è veramente un’opera-mondo, dalle traiettorie semantiche potenzialmente aperte e infinite. Il presepe come rappresentazione e riflessione sulla città, sul suo tessuto economico (nella messa in scena dei mestieri, dal cacciatore al pescivendolo, dal ciabattino all’oste, molti dei quali portatori di significati metaforici), sui suoi conflitti sociali (nella scena del riccone che sbafa all’osteria davanti al povero), sugli spazi simbolici (dagli scorci pittoreschi con rovine, alla presenza di corsi d’acqua, mulini, ponti) e sulla sua urbanistica (l’uomo col pitale in mano è un omaggio a Ferdinando Fuga, l’architetto che a Napoli ha realizzato opere illuminate come il Real Albergo dei Poveri e il Palazzo dei Granili), sulle stratificazioni storiche (un personaggio come Ciruzzo ’o niro racconta gli anni del secondo dopo-guerra, quando Napoli scoprì di essere già una società mista).

Angelo
In quest’orizzonte di fantasmi e diavoli, lupi mannari e sirene (ebbene sì!) la presenza del sacro si manifesta con intenzioni diverse: c’è San Nicola, che compie il miracolo della sua leggenda, resuscitando i bambini fatti a pezzi e messi in salamoia dall’oste, ma c’è anche, da pochissimo, San Gennaro. Il 19 dicembre scorso, infatti, il patrono della città è stato posizionato nella teca che contiene l’opera con una cerimonia ufficiale per celebrare i dieci anni della Fondazione San Gennaro, l’ente voluto da Don Antonio Loffredo per coordinare tutte le attività che hanno consentito la valorizzazione del lavoro dei giovani del Rione Sanità nonché le ricchezze culturali del territorio.
Insomma, il presepe popolare interpretato dagli Scuotto torna ad essere teatro di infinite storie e potenzialmente infinite interpretazioni del mondo. E se un’etichetta si volesse proprio dare a questo straordinario e inafferrabile palinsesto di narrazioni, bisognerebbe far appello alla nozione di polifonia. Perché il Presepe Favoloso è un’opera percorsa da voci che raccontano il mondo da punti di vista anche molto diversi, talvolta in conflitto, ma che, nella dimensione mitica dell’avvento del divino fanciullo, hanno trovato lo spazio per risuonare assieme.
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