Per decenni abbiamo creduto che la storia girasse attorno a un asse fisso: Washington, Bruxelles, Londra. Ma oggi quell’asse è incrinato, e il mondo non ruota più come ci aspettavamo. Le potenze emergenti non chiedono più il permesso. Le alleanze non durano quanto le dichiarazioni. Le crisi non si risolvono, si moltiplicano.
Viviamo in un tempo in cui la geografia del potere non coincide più con quella delle mappe. Il multipolarismo è ormai una condizione data. E in questo scenario, chi resta fermo non è neutrale: è irrilevante. Gli Stati Uniti oscillano tra leadership e ripiegamento, l’Europa si dibatte tra autonomia strategica e dipendenza strutturale, mentre il Regno Unito cerca ancora una direzione dopo la Brexit. Nel frattempo, altri attori avanzano: la Cina con la sua pazienza imperiale, l’India con la sua ambizione demografica, la Russia con il suo orgoglio geopolitico. E poi ci sono i nuovi club: BRICS, ASEAN, Unione Africana.
Nuovo ordine mondiale
Modem 04.09.2025, 08:30
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In questo contesto, il dibattito tra multilateralismo e policentrismo non è più astratto. Il multilateralismo, con le sue regole condivise e le sue istituzioni storiche, ha garantito per decenni una certa prevedibilità. Ma oggi, quella prevedibilità è messa in discussione da un mondo che non riconosce più un centro unico, ma molti centri, spesso in competizione tra loro. Il policentrismo non è una deviazione dal multilateralismo: è la sua evoluzione caotica, frammentata, talvolta contraddittoria.
In questo scenario, le istituzioni multilaterali rischiano di diventare contenitori vuoti se non riescono a includere le nuove voci, le nuove priorità, i nuovi linguaggi del potere. Il G7 parla ancora con l’accento del Novecento, mentre il G20 fatica a trovare una sintesi. Le Nazioni Unite oscillano tra legittimità e impotenza, e le organizzazioni regionali si moltiplicano, ma non sempre si coordinano. Il policentrismo impone una diplomazia più agile, più fluida, capace di muoversi tra geometrie variabili e alleanze temporanee. Non basta più sedersi al tavolo: bisogna saperlo ridisegnare.
Il rischio, però, è che il policentrismo degeneri in frammentazione, e che la coesistenza si trasformi in competizione permanente. Per questo, il multilateralismo non va abbandonato, ma reinventato. Serve un multilateralismo adattivo, capace di dialogare con il policentrismo senza rinunciare ai principi fondamentali: cooperazione, trasparenza, responsabilità. In un mondo dove il potere è distribuito, ma non sempre condiviso, la sfida è costruire ponti tra i centri, non muri tra le differenze.
La Svizzera, da sempre laboratorio di equilibrio, si trova ora davanti a una sfida nuova: come restare fedele alla propria vocazione diplomatica senza diventare irrilevante. La finanza, l’innovazione, la sostenibilità sono leve potenti, ma richiedono una postura più assertiva. Non basta essere stabili: bisogna essere strategici, e gli ultimi passi non sembrano essere in linea con questa esigenza. In questo contesto, ciò che manca non è la forza, ma la visione.
I nuovi equilibri non sono una minaccia, ma un’opportunità. Per ripensare il proprio ruolo serve intelligenza. E serve, soprattutto, la capacità di leggere il mondo non come un campo di battaglia, ma come uno spazio di responsabilità condivisa. E serve guardare in modo policentrico e non solo oltreoceano.

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Telegiornale 14.11.2025, 12:30


