Che sia la danza delle foglie di un faggeto a primavera, una sterminata pianura di sabbia, roccia e cactus, l’infrangersi delle onde tra i fiordi o il sorgere del sole sulle Alpi innevate, proviamo un’attrazione universale e innegabile per il paesaggio naturale incontrastato. L’uomo, di fronte alla maestosa espressione del mondo naturale, trova la pace dei sensi, il silenzio interiore, quella calma e quella fiducia che così tanto sfuggono la nostra psiche irrequieta.
Cosa succede quando osserviamo la natura? Cosa ci porta quel senso di benessere?
La separazione tra uomo e natura
L’animale uomo, perché di animale si tratta, è una bestia ben strana. Ama pensare di essersi separato da quella che definisce amabilmente come qualcosa di esterno a sé, utilizzando il termine “natura”.
Etimologicamente la parola “natura” sembra che all’origine indicasse semplicemente “ciò che è nato”. Tuttavia il suo significato odierno si è espanso fino ad allargarsi, per lo meno nel linguaggio comune, non solo a ciò che è nato, ma a tutto ciò che c’è senza che sia stato creato dall’uomo. Diciamo così che un sasso è naturale, che un fenomeno meteorologico è naturale, che un processo chimico è naturale, mentre è innaturale l’essere umano e tutto ciò da lui creato.
Ammettiamo per un momento che questa stramberia sia vera, se non siamo natura, allora cosa siamo?
L’essere umano ha innegabilmente sviluppato qualità uniche sia nel regno animale, sia a livello planetario, ha trasformato la materia, dominato gli elementi, studiato i sistemi e gli ordini, creato linguaggi complessi dato vita a tecnologie nuove e un tempo inimmaginabili. La continua innovazione propria dell’essere umano ci ha portato oggi a questa percezione sfalsata, illusoria, il pensiero cioè che esiste un mondo naturale di cui noi non facciamo parte. E che per la natura non siamo altro che un morbo pericoloso che la porterà a morte certa.
Questo concetto di separazione non è nulla di nuovo. Già nel libro Huangdi Neijing (Canone Interno dell’Imperatore Giallo), scritto più di duemila anni fa, l’imperatore chiedeva al proprio medico di corte: “perché nell’antichità gli uomini vivevano oltre i cent’anni?” ed egli rispondeva “perché oggi non viviamo più in armonia con la natura”. L’idea dunque che l’uomo si sia allontanato a talpunto da quell’entità stessa che l’ha generato non è nulla di nuovo, ma è forse più vera che mai oggi, nel nostro modo di vivere, pensare e concepire la vita. Ecco dunque che quando riusciamo (non senza sforzo) ad evadere per qualche istante la gabbia delle nostre vite frenetiche per immergerci totalmente in un paesaggio incontrastato, il nostro organismo si rilassa. Si abbandona alla profonda comunione con quella dimensione a cui non solo apparteniamo, ma dalla quale siamo generati e rigenerati ogni giorno.
Le ragioni fisiologiche del nostro benessere in natura
La scienza ci spiega i modi diversi in cui la natura genera in noi effetti positivi e sorprendenti, alcuni legati al rilascio di determinati ormoni, altri all’alterazione del sistema nervoso. Eccone qui di seguito qualcuno.
La natura ha un ritmo tendenzialmente ben più lento di quello a cui siamo attualmente abituati come società. Il suono ripetitivo delle onde sulla riva, del fiume tra i sassi, del vento tra le foglie, o il silenzio completo del deserto o di una sterminata steppa innevata, hanno su di noi un effetto calmante. Questi suoni continui, monotoni e ripetitivi suscitano in noi una risposta parasimpatica, abbassando il nostro livello di cortisolo (ormone legato allo stress).
Gli orizzonti aperti e la luce naturale aiutano a riequilibrare il ritmo circadiano e la melatonina; i fitoncidi rilasciati dalle piante hanno effetti antibatterici e antinfiammatori; il paesaggio minimale e pressoché statico riduce il carico sensoriale, cioè il numero di informazioni che il nostro cervello deve processare di continuo; gli ioni negativi abbondano vicino all’acqua in movimento, che siano le onde del mare o lo scorrere di un fiumiciattolo, migliorando l’ossigenazione del cervello e producendo la serotonina; la moderata esposizione al sole aumenta la vitamina D.
Insomma, questi processi non sono da poco, specialmente se pensiamo che il modo in cui ci sentiamo è determinato dai livelli di ormoni, vitamine e processi biochimici.
Eppure mi sento di dire che il più grande potere della natura non è legato a qualcosa di misurabile, ma a qualcosa di molto più antico e potente. In tutte le culture la natura e i diversi aspetti di essa assumono grande valore simbolico, archetipico, spirituale, a cui l’uomo si rivolge in cerca di risposte.
E se la natura questa capacità di rispondere ce l’avesse davvero?
L’eterna lotta tra il fare e l’essere
Per Rousseau (1712 – 1778) “natura” e “verità” erano sinonimi, si potrebbe infatti riassumere il suo lavoro nella frase “ritorniamo alla natura, tutto il resto è menzogna”. Ma a cosa fa riferimento Rousseau quando parla di natura come verità?
Per Rousseau, così come per il taoismo del Huangdi Neijing citato poco sopra, l’uomo, per vivere in armonia, deve seguire l’ordine naturale delle cose, vivere cioè secondo i ritmi, i vincoli e le possibilità delle stagioni, del ritmo circadiano, degli sviluppi e dell’evoluzione del mondo naturale.
In quanto esseri umani ci scontriamo ogni giorno con il fare. Ciò che facciamo (e ciò che abbiamo finora fatto) sembra diventare l’unità di misura che utilizziamo per definire il nostro valore di individui all’interno della società quanto di noi stessi. Al punto tale che non appena conosciamo una nuova persona chiediamo immediatamente “cosa fai?” e allora la risposta è la risposta è: “sono panettiere, impiegato, insegnante…” e in questo semplice scambio si rivela quanto leghiamo la nostra identità a ciò che facciamo, al punto da confonderli anche dal punto di vista sintattico.
Siamo in continua assidua lotta con il fare di più per sentire di valere di più, a scapito della calma, della serenità e del semplice essere.
La soluzione della natura
Ed è proprio questo che la natura, immancabilmente, ci offre, in ogni suo aspetto e sfaccettatura, dalla volpe che mangia il topo alla quercia che cade e marcisce, dalla pioggia che cade dal cielo e riempie fiumi laghi e mari al sole che picchia sulle dune del deserto, dai geiser alle aurore boreali, dai temporali estivi al canto del cuculo a maggio, tutto sembra suggerirci di lasciare perdere il tumulto del fare per abbracciare la pace dell’essere.
La natura non si preoccupa minimamente del fare, e solo dell’essere vive. Ecco dunque che quando ricerchiamo la comunione con la natura, che sia con una semplice passeggiata in un bosco o un’esperienza ascetica di ritiro e immersione, che ne siamo consapevoli o meno, ricerchiamo l’unione con l’essere senza il fare, con l’essere senza l’agire, con l’essere senza il pensare, con l’essere.
In sintesi, la natura ci cura non solo perché ristabilisce i nostri ritmi biologici e riarmonizza i nostri processi biochimici, ma perché ci riconnette con una verità più profonda, una verità che molto spesso scordiamo: che la nostra esistenza non è fatta solo di produzione, risultati, azione. La natura ci invita al silenzio, allo spazio, all’umiltà dell’essere.
Ed è questo, in ultima analisi, ciò che ci fa stare bene.