Società

Il lato oscuro del metaverso

Abusi sessuali nella realtà virtuale: tra ripercussioni psicologiche reali e vuoto legale 

  • Oggi, 08:30
Molestie metaverso
  • Imago
Di:  Emanuela Musto 

Quando pensiamo a violenza e abusi sessuali, il nostro immaginario si muove istintivamente verso scenari tangibili e fisici. Eppure, con l’ascesa del metaverso - spazio virtuale tridimensionale dove gli utenti interagiscono tramite avatar - anche la violenza ha assunto forme subdole ancora troppo spesso invisibili alla legge. Nella realtà virtuale, la violenza non ha bisogno di mani per ferire, basta un avatar, una stanza virtuale e l’illusione dell’anonimato. Dietro a visori VR si nasconde un fenomeno in crescita: gli abusi sessuali in ambienti virtuali, spesso ai danni di donne e minorenni. Ma se la legge arranca nel definire i confini di questo nuovo crimine, la psiche delle vittime non fa sconti: il trauma è reale, anche se accade nel digitale. Il metaverso prometteva libertà, creatività e connessione, ma ha portato con sé anche vecchi fantasmi: sessismo, aggressioni, molestie.

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Sesso nel metaverso

RSI SexBox 21.04.2022, 21:00

Infatti, già nel 2016, Jordan Belamire ha testimoniato di essere stata molestata in QuiVr da un altro giocatore che nonostante i suoi ripetuti «no» l’ha “palpeggiata” e rincorsa. Un incidente che la vittima ha descritto come «reale, spaventoso e violento». Nel 2022, Nina Patel, una ricercatrice della piattaforma Horizon Worlds di Meta ha raccontato di essere stata molestata e accerchiata da altri avatar maschili. Anche in questo caso la dinamica, seppur virtuale, ha creato una reazione tutt’altro che immaginaria: panico, confusione, senso di invasione. Nel gennaio 2024 ha fatto scalpore il caso di una 16enne violentata da un gruppo di avatar in Inghilterra. Per la prima volta nella storia, la polizia britannica ha avviato un’indagine sull’accaduto.  In risposta ai commenti dubbiosi James Cleverly, ministro dell’interno britannico, aveva risposto che «potrebbe sembrare facile minimizzare questo incidente come se non fosse reale, ma il punto centrale di questi ambienti virtuali è la loro straordinaria capacità di coinvolgimento. L’impatto emotivo e psicologico sulla vittima nel lungo periodo supera qualsiasi danno fisico». Soprattutto non si è trattato di casi isolati. Da allora, sono emerse numerose testimonianze, per la maggior parte provenienti da donne e adolescenti. Il fatto che questi abusi avvengano in uno spazio digitale non li rende meno gravi. L’uso di visori VR, audio spaziale e interazione immersiva fa sì che l’esperienza sia percepita dal cervello come “vera”. Il corpo non viene toccato, ma la mente subisce un’aggressione.

«È chiaro che un’esperienza del genere può avere un impatto potenzialmente traumatico se consideriamo che il trauma è fortemente improntato da quello che è un vissuto soggettivo. Per cui se l’esperienza che io vivo è per me soverchiante, eccessivamente stressante, eccessivamente spaventosa, sento di non avere il controllo, è possibile che ne consegua una fase traumatica e quindi è altresì possibile che una violenza nel metaverso possa essere vissuta in maniera traumatica, quindi come uno stupro» afferma Gabriele Barone, psicologo e psicoterapeuta specializzato in forme di malessere legate al digitale e fondatore di Horizon Psytech. Sempre Gabriele alla domanda se gli autori di questi abusi possano sentirsi maggiormente giustificati nel perpetrarli trattandosi di realtà virtuale, risponde: «Chiaramente diventa difficile per i perpetratori/avatar riconoscere questo, perché c’è già un grosso tema legato alla distanza che lo schermo genera sulle vittime. Pensiamo agli episodi di cyberbullismo e quant’altro. Quindi ti lascio immaginare in questi casi quanto diventi difficile poi fare in modo che ci sia un riconoscimento dell’atto».

Torniamo alle vittime: uno studio condotto dall’Oxford Journal of Legal Studies ha sottolineato come la sensazione di invasione corporea, accentuata dalla natura immersiva della realtà virtuale può generare «ansia, attacchi di panico, stress post-traumatico, potenziale rischio di depressione oltre che un senso di umiliazione, trauma e sentimenti di umiliazione». Chi viene bersagliato nei mondi virtuali da avatar maschili o da gruppi organizzati riporta vissuti di colpa, vergogna e panico - dinamiche psicologiche identiche a quelle rilevate nei casi di stupro fisico. Tra le vittime più esposte ci sono i minori. Molte piattaforme richiedono un’età minima, ma è facilmente aggirabile. Così, bambini e adolescenti finiscono in mondi virtuali popolati anche da adulti malintenzionati, dove le molestie sessuali - anche esplicite - sono a portata di click. Il problema si aggrava quando le piattaforme, spesso più preoccupate dalla crescita degli utenti che della loro sicurezza, non prevedono reali controlli o meccanismi di tutela efficaci. I genitori, spesso poco informati, non sono in grado di monitorare l’ambiente digitale in cui si muovono i figli. In Svizzera seppur non siano stati ancora svolti studi specifici su dinamiche simili nel metaverso, sappiamo che gli abusi e le molestie sessuali online nei confronti dei minori sono in costante aumento. Il servizio di segnalazione contro la pedocriminalità online, clickandstop.ch, fra aprile 2024 e marzo 2025 ha ricevuto 4’472 segnalazioni (più di 10 volte superiori all’anno precedente), di cui il 42% riguardava la pedofilia, il 37% la sextortion (coercizione/ricatto a sfondo sessuale) e il 21% comprendente il sexting e violenza sessuale.

Ma cosa dice la legge? Ancora troppo poco. Il diritto penale è storicamente ancorato alla materialità: punisce ciò che avviene nel mondo fisico. Certo alle nostre latitudini sono stati fatti passi avanti, ma la realtà è che la maggior parte degli ordinamenti giuridici (compreso il nostro) non prevede ancora una definizione chiara di stupro virtuale e anche laddove esistano leggi sulla violenza online, queste non riescono a inquadrare situazioni in cui il corpo fisico non è coinvolto. Questo crea un vuoto normativo per le vittime, che non sempre sanno a chi rivolgersi. Gli avatar, pur essendo rappresentazioni digitali, sono vissuti dai loro utenti come estensioni del sé, dunque un’aggressione a un avatar non è una “semplice simulazione”: è un attacco simbolico, psicologico e, per molti versi, profondamente personale. Le forze dell’ordine, in mancanza di strumenti giuridici aggiornati, faticano a raccogliere denunce. Le prove sono difficili da acquisire - serve registrare video, identificare avatar, risalire agli IP - e le aziende che gestiscono i mondi virtuali non sempre collaborano. In pratica, chi subisce una violenza nel metaverso si ritrova spesso da solo.

Osservando questi dati la responsabilità appare spalmata su tre livelli: gli utenti, che possono segnalare e bloccare, il legislatore, che dovrebbe intervenire per aggiornare le normative, e le piattaforme, che dovrebbero garantire ambienti sicuri. Meta, ad esempio, ha introdotto nel 2022 la funzione Personal Boundary, una sorta di “zona di sicurezza” attorno agli avatar, per impedire contatti non desiderati. Ma resta un sistema passivo, attivabile dall’utente, e spesso sconosciuto a chi entra per la prima volta. L’assenza di regole chiare rischia di trasformare il metaverso in una terra di nessuno, dove la libertà di alcuni diventa l’incubo di altri. C’è anche un altro ostacolo: la cultura che banalizza il virtuale. “Non ti hanno toccato davvero”, “è solo un gioco”, “spegnilo e basta”. Frasi che minimizzano l’impatto emotivo di una violenza vissuta come reale. Una retorica che colpevolizza la vittima e assolve il carnefice. In realtà, chi entra in un mondo virtuale con un avatar lo vive come estensione del proprio corpo. La sofferenza non è un effetto speciale: è un fatto.

Se è pur vero che ultimamente si è osservato un “rallentamento” dell’investimento nel Metaverso, l’industria del tech procede a ritmo serrato, a differenza di etica e legislazione che arrancano. Le piattaforme devono assumersi responsabilità proattive, rendendo obbligatori strumenti di protezione, monitoraggio delle interazioni e meccanismi efficaci di denuncia. Ma serve anche una riflessione collettiva, capace di rompere il silenzio intorno a questi abusi. Le scuole, i media, le famiglie e i centri di supporto psicologico devono iniziare a riconoscere la violenza virtuale come una forma di violenza a tutti gli effetti, agendo su prevenzione, consapevolezza e ascolto. Il metaverso è solo all’inizio, magari non più come un ecosistema tridimensionale come immaginato inizialmente, ma come un insieme di piccoli mondi virtuali fatti di giochi, esperienze immersive, app e spazi museali digitalizzati. Se vogliamo che diventi uno spazio sicuro, servono regole nuove, educazione digitale, e una giustizia pronta ad agire con leggi che riconoscano anche le nuove forme di aggressione. Servono piattaforme più responsabili e soprattutto serve una nuova coscienza collettiva, capace di dare voce a chi oggi resta inascoltato. Perché anche se non si vede, anche se non lascia lividi, lo stupro virtuale esiste. E fa male per davvero.

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