«È una red flag vivente». Fino a quel momento, non ti era nemmeno passato per la testa che la persona che stai frequentando potesse nascondere segnali d’allarme. Ma basta quella frase, pronunciata con tono deciso da un’amica o un amico, per farti precipitare in un vortice di dubbi e ansia. E se avesse ragione? E se quei piccoli comportamenti che hai sempre giustificato fossero in realtà campanelli d’allarme che non hai voluto ascoltare?
Le cosiddette red flag possono essere un’idea utile, beninteso: prima di investire emotivamente in una nuova relazione, è fondamentale capire se si ha di fronte una persona potenzialmente nociva.
Il problema nasce quando un tema così delicato e serio viene semplificato o distorto dalla comunicazione sui social, dove spesso manca la profondità necessaria per distinguere tra un vero segnale d’allarme e una semplice incompatibilità. Questo può confondere soprattutto i più giovani, che faticano a tracciare confini chiari tra ciò che è davvero una red flag e ciò che non lo è.
Ma cosa sono, esattamente, le red flag? Il termine red flag - letteralmente “bandiera rossa” - indica un segnale di pericolo, un comportamento o atteggiamento che, in una relazione, dovrebbe far suonare un campanello d’allarme. Non si tratta di semplici differenze caratteriali o di gusti, ma di indizi che possono rivelare dinamiche tossiche, incompatibilità profonde o comportamenti pericolosi e violenti.
Al proposito, uno studio condotto dal ricercatore Richard C. White presso la Louisiana State University ha sviluppato una tipologia dettagliata di relational red flag, identificando nove categorie principali e 23 sottotipi di segnali problematici nelle prime fasi di una relazione romantica. Lo studio evidenzia anche come il riconoscimento di questi segnali sia influenzato dall’età, dall’esperienza personale e dal contesto sociale dell’individuo.
In questo senso, la Signal Detection Theory offre una chiave di lettura interessante, suggerendo che la capacità di distinguere tra un vero segnale d’allarme e un falso positivo dipende dalla sensibilità individuale e dal “rumore” ambientale - come pressioni sociali o esperienze passate. Questo spiega perché alcune persone tendono a vedere queste red flag ovunque, mentre altre le ignorano completamente.
Ma perché i giovani - e non solo, visto che il tema è molto discusso anche tra chi ha superato i trent’anni, seppur con maggiore maturità - sentono il bisogno di etichettare subito una persona e di individuarne immediatamente i possibili lati negativi? Forse perché viviamo in un’epoca in cui tutto deve essere definito in fretta, incasellato, semplificato.
Le relazioni oggi sembrano sempre più complesse e instabili, e così molti giovani sviluppano una sorta di “radar emotivo” ipersensibile. La paura di soffrire, di essere manipolati o di perdere tempo con la persona sbagliata porta a un bisogno quasi compulsivo di individuare subito i segnali di pericolo. È un meccanismo di difesa: se riesco a riconoscere una red flag in tempo, posso evitare di farmi male. Daniel Siegel, neuropsichiatra, evidenzia come lo sviluppo del mindsight - la capacità di osservare i propri stati mentali e quelli altrui - è essenziale per interpretare correttamente i segnali relazionali. Una bassa capacità di analisi può portare però a giudizi affrettati e a una visione rigida dell’altro, dove ogni stranezza diventa una minaccia.

Esempi di "red flag"
A questa prospettiva si affianca anche la teoria dell’attaccamento di Bowlby, secondo cui chi ha uno stile ansioso o evitante tende a percepire più facilmente minacce relazionali, anche quando non sono reali. Tale predisposizione può generare una sovrainterpretazione dei comportamenti altrui, alimentando uno stato di allerta costante. Inoltre, la psicologia cognitiva evidenzia il ruolo del bias di conferma: la tendenza a cercare prove che confermino le proprie paure, ignorando segnali rassicuranti. Questi meccanismi, se non riconosciuti, possono distorcere profondamente la percezione dell’altro e della relazione.
Questa iperconsapevolezza - intesa come una forma di attenzione eccessiva e spesso distorta ai segnali relazionali - se non accompagnata da maturità emotiva e capacità di discernimento, rischia allora di trasformarsi in paranoia. E qui entrano in gioco i social media, dove il concetto di red flag è diventato virale, semplificato, spesso ridotto a meme o battute. Un comportamento fuori dagli schemi, un modo di vestire, una frase detta male - o anche avere troppi follower sui social, oppure non pubblicare subito una foto di coppia: tutto può essere etichettato come red flag, anche quando non lo è.
Il risultato? Una cultura della relazione basata più sulla paura che sulla conoscenza reciproca. Dove si cerca il difetto prima ancora di dare spazio alla scoperta. E dove il confine tra protezione e pregiudizio diventa sempre più sottile.
Ma è importante ricordare che non tutto ciò che ci infastidisce o ci sembra “strano” è necessariamente una red flag. A volte si tratta semplicemente di differenze caratteriali, di gusti, di modi di comunicare o di vivere le emozioni. Confondere una divergenza con un segnale d’allarme può portarci a precluderci esperienze di vita che potrebbero arricchire. La psicologia relazionale contemporanea invita infatti a distinguere tra “divergenze funzionali” – differenze che possono stimolare crescita e confronto - e “segnali disfunzionali”, che minano il rispetto e la sicurezza emotiva.
La sfida, oggi, è trovare un equilibrio: imparare a riconoscere i segnali davvero preoccupanti, senza cadere nella trappola della diffidenza generalizzata. Perché non tutte le differenze sono pericolose, anzi, e non tutte le imperfezioni sono red flag. A volte, ciò che ci sembra strano all’inizio può rivelarsi semplicemente umano.
Relazioni tossiche: come uscirne?
La consulenza 11.03.2024, 12:50
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